«Guardiamo ai due Apostoli Pietro e Paolo: il pescatore di Galilea che Gesù fece pescatore di uomini; il fariseo persecutore della Chiesa trasformato dalla Grazia in evangelizzatore delle genti. Alla luce della Parola di Dio lasciamoci ispirare dalla loro storia, dallo zelo apostolico che ha segnato il cammino della loro vita. Incontrando il Signore, essi hanno vissuto una vera e propria esperienza pasquale: sono stati liberati e, davanti a loro, si sono aperte le porte di una nuova vita». Papa Francesco ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la santa messa, sabato mattina, nella quale ha benedetto i palli per i nuovi arcivescovi metropoliti.
Il Santo Padre – nella sua omelia – ha fatto riferimento al prossimo Giubileo, e ha utilizzato l’immagine della porta, per indicare il Cristo, per mezzo del quale ciascun cristiano può entrare nella vita. E, a partire dalla Prima Lettura proclamata (At 12,8; cfr. Es 12,11), ha presentato a tutti la necessaria dimensione dell’esodo, nella vita cristiana: «Quello che ci viene narrato è un nuovo esodo. Dio libera la sua Chiesa, libera il suo popolo che è in catene, e ancora una volta si mostra come il Dio della misericordia che sostiene il suo cammino».
In riferimento alla testimonianza dell’Apostolo Paolo, il Pontefice ha utilizzato le seguenti espressioni, per comunicare lo zelo che animava la fede di questo discepolo del Signore: «Anche il cammino dell’Apostolo Paolo è anzitutto un’esperienza pasquale. Egli, infatti, dapprima viene trasformato dal Risorto sulla via di Damasco e poi, nella continua contemplazione del Cristo Crocifisso, scopre la grazia della debolezza: quando siamo deboli – egli afferma – in realtà è proprio allora che siamo forti, perché non ci aggrappiamo più a noi stessi, ma a Cristo (cfr 2 Cor 12,10). […] Il fine di tutto ciò non è una religiosità intimista e consolatoria – come oggi ci presentano alcuni movimenti nella Chiesa: una spiritualità da salotto –; al contrario, l’incontro con il Signore accende nella vita di Paolo lo zelo per l’evangelizzazione».
Il Vescovo di Roma ha concluso le sue riflessioni, presentando – brevemente – la incisiva testimonianza dei due Apostoli: «Fratelli e sorelle, i due Apostoli Pietro e Paolo hanno fatto questa esperienza di grazia. Hanno toccato con mano l’opera di Dio, che ha aperto le porte del loro carcere interiore e anche delle prigioni reali dove sono stati rinchiusi a causa del Vangelo. E, inoltre, ha aperto davanti a loro le porte dell’evangelizzazione, perché sperimentassero la gioia dell’incontro con i fratelli e le sorelle delle comunità nascenti e potessero portare a tutti la speranza del Vangelo»; per invitare ciascuno ad attingere all’infinito e universale tesoro della grazia divina.
Durante la preghiera dell’Angelus, Francesco ha insistito sul ruolo di Pietro nella comunità ecclesiale: «La missione che Gesù affida a Pietro non è quella di sbarrare le porte di casa, permettendo l’accesso solo a pochi ospiti selezionati, ma di aiutare tutti a trovare la via per entrare, nella fedeltà al Vangelo di Gesù. Tutti, tutti, tutti possono entrare. E Pietro lo farà per tutta la vita, fedelmente, fino al martirio, dopo aver sperimentato per primo su di sé, non senza fatica e con tante cadute, la gioia e la libertà che nascono dall’incontro con il Signore. Lui per primo, per aprire la porta a Gesù, ha dovuto convertirsi, e capire che l’autorità è un servizio. E non è stato facile per lui».
La conclusione del messaggio del Santo Padre invita – fortemente – alla conversione: «Oggi possiamo chiederci: io coltivo il desiderio di entrare, con la grazia di Dio, nel suo Regno, e di esserne, con il suo aiuto, custode accogliente anche per gli altri? E per farlo, mi lascio “limare”, addolcire, modellare da Gesù e dal suo Spirito, lo Spirito che abita in noi, in ognuno di noi?».
Opera propria<p><a href=”https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Grabarka_Piotr_i_Pawel.jpg#/media/File:Grabarka_Piotr_i_Pawel.jpg
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