Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica nell’Abbazia di Santa Maria del Monte di Cesena, aprendo così l’anno dedicato a papa Pio VII, a 200 anni dalla sua morte avvenuta a Roma il 20 agosto 1823. Presenti mons. Giancarlo Perego, vescovo di Ferrara-Comacchio e abate di Pomposa, mons. Calogero Marino, vescovo di Savona-Noli, mons. Giovanni Mosciatti, vescovo di Imola, mons. Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli e Palestrina, mons. Andrea Turazzi, vescovo di San Marino-Montefeltro, mons. Livio Corazza, vescovo di Forlì-Bertinoro, mons. signor Giorgio Biguzzi, missionario saveriano originario di Cesena e vescovo emerito di Makeni in Sierra Leone.
Insieme a loro i rev.mi abati D. Mauro Maccarinelli di Cesena, D. Luca Fallica di Montecassino, D. Mauro Meacci di Subiaco, D. Stefano Visintin di Praglia, D. Luigi Tiana di Sorres, D. Giulio Pagnoni di Padova e D. Riccardo Luca Guariglia di Montevergine, nonché i P. Priori D. Paolo Lemme di Miracoli, D. Mattia Gazzera di Finalpia e D. Franceso La Rocca di Parma.
La Romagna verso la fine del ‘700 ha avuto dal destino la straordinaria ventura di dare due papi uno di seguito all’altro: Pio VI Braschi, che regnò per 24 anni dal 1775 al 1779 e Pio VII Chiaramonti, che regnò per 23 anni dal 1800 al 1823; tutti e due furono eletti quando avevano 58 anni ed entrambi sono stati fra i papi più longevi della storia. Inoltre Pio VI prima e Pio VII dopo dovettero affrontare una età piena di sconvolgimenti, segnata dal difficile rapporto con la Francia e Napoleone. Ma questo concentrato straordinario non finisce qui: prima di Pio VI, altro papa romagnolo fu papa Clemente XIV Ganganelli di Santarcangelo di Romagna. Inoltre i papi Benedetto XIII e Pio VIII, prima di salire al soglio pontificio, furono vescovi a Cesena.
Il servo di Dio Pio VII è stato l’ultimo Papa benedettino, perché dopo di lui ci fu solo il camaldolese Gregorio XVI. Barnaba Chiaramonti era nato a Cesena il 14 agosto 1742 e a otto anni fece il suo ingresso come educando nell’abbazia di S. Maria del Monte, che sovrasta la città di Cesena. Qui avrebbe preso il nome di Gregorio e sarebbe rimasto a Cesena fino a quando emise la sua professione il 30 agosto 1758. Egli non avrebbe mai dimenticato il monastero della sua giovinezza: lo riscattò a sue spese e, dopo la soppressione napoleonica, sotto il suo pontificato si impegnò perché riprendesse la vita monastica; inoltre lasciò S. Maria del Monte erede della sua biblioteca privata. Ritornando al giovane D. Gregorio, dopo la professione viene inviato all’abbazia di S. Giustina di Padova per completare i suoi studi filosofici, che dopo il 1763 continueranno a Roma, nel Pontificio collegio di S. Anselmo, allora incorporato all’abbazia di S. Paolo fuori le mura, dove fu poi illustre docente di teologia e diritto canonico. Nel frattempo un suo lontano parente, il cardinale di Cesena Gian Angelo Braschi viene eletto papa col nome di Pio VI e sarà proprio lui a nominare Gregorio Chiaramonti dapprima abate e poi vescovo di Tivoli. Nominato cardinale, Pio VI lo destina alla più importante sede vescovile di Imola. Il decennio trascorso ad Imola viene funestato dall’invasione francese d’Italia, che arriva fino a Roma. Pio VI viene fatto prigioniero in Francia, dove morirà il 29 agosto 1799. Il conclave non può tenersi a Roma e perciò si ritrovano a Venezia, all’epoca sotto il controllo asburgico, nell’abbazia di S. Giorgio maggiore, dove il 14 marzo 1800 il card. Gregorio Chiaramonti viene eletto papa col nome di Pio VII. L’incoronazione si tenne il 21 marzo seguente, nella festa di san Benedetto e nella stessa basilica. Il cardinale ha ripercorso i momenti salienti della vita di Pio VII nella sua omelia:
“Cari fratelli nel sacerdozio, cari diaconi, distinte autorità civili e militari, fratelli e sorelle in Cristo, saluto tutti voi convenuti in questa veneranda abbazia di Santa Maria del Monte per celebrare l’eucaristia in rendimento di grazie al Signore per il dono che ha voluto fare alla Chiesa nella persona del servo di Dio Pio VII, tornato alla casa del padre il 20 agosto 1823. Questa celebrazione apre l’anno Chiaramontiano voluto dalla diocesi di Cesena-Sarsina insieme a quelle di Tivoli, Imola e Savona per ricordare, a 200 anni dalla morte, la luminosa figura spirituale di Barnaba Niccolò Maria Luigi e in religione Gregorio Chiaramonti, che meritò l’attenzione della chiesa, non solo per l’alto profilo spirituale testimoniato. La ragione dell’attenzione alla figura di Pio VII va infatti ricercata principalmente nella sua santità: egli già in vita era venerato come un vero uomo di Dio ed ha saputo stare alla guida della Chiesa in un momento tra i più difficili della sua storia; ha saputo far fruttificare su vasto raggio e in maniera incisiva i preziosi talenti di nature e di grazia di cui Dio lo aveva dotato. Uno spirito di semplicità e di mitezza, lo spiccato senso della giustizia, l’indubbia capacità di contemperare prudenza e fermezza, una singolare passione per la salvezza delle anime: per questo nel 2021 è stata avviata la sua causa di beatificazione. Come abbiamo ascoltato nella prima lettura tratta del profeta Isaia, Barnaba Chiaramonte fin dalla giovane età a 14 anni fu condotto sul Monte Santo del Signore per essere colmato di gioia nella sua casa di preghiera. Possiamo facilmente immaginare che qui, leggendo e meditando le Sacre Scritture e praticando la lectio divina prescritta dalla Regola di San Benedetto, egli abbia potuto nutrirsi delle parole dello stesso profeta e sentirsi parte di coloro che hanno aderito al Signore “per servirlo e per amare il nome del Signore e per essere i suoi servi”. Il servizio del Signore però lo porterà ben presto fuori dalla stabilitas di queste mura: nel 1782 fu nominato vescovo di Tivoli e dopo essere stato creato cardinale da un altro cesenate, Pio VI Braschi, nel 1785 venne trasferito a Imola. […] Ma Barnaba Chiaramonti fu soprattutto un uomo della fede incrollabile, la stessa fede che risplende nella donna cananea che incontriamo oggi nel Vangelo. È una pagana, che però sa avvicinarsi a Gesù per invocare la guarigione della figlia certo, spinta verso il maestro dalle sue necessità e dalle necessità della figlia, tormentata da un demonio. Poi lo riconosce come Signore e come figlio di Davide e così il suo grido di disperazione si purifica diventando preghiera, la più antica di tutte le preghiere cristiane “Kyrie, eleison”, Signore pietà, che anche noi ripetiamo ad ogni santa messa. E quando Gesù non vuole esaudirla con una durezza che certamente non manca di stupirci: prima di silenzio, voce nemmeno una parola, dice il Vangelo, poi di esplicito “Sono stato mandato alle pecore perdute della casa di Israele” e infine di apparente dispregio “prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Ma lei non demorde e ritorna alla carica: “è vero Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. La cananea è intelligente e indomita e riesce perfino a far cambiare idea a Gesù e convertirlo, da maestro di Israele, a pastore di tutto il dolore del mondo. Questa volta a stupirsi è Gesù: “donna, grande è la tua fede. Avvenga per te come desideri”. E qui, cari fratelli e sorelle, vediamo come la fede non si ferma davanti a ciò che appare umanamente impossibile, ma lo rende possibile: la Bibbia è piena di storie dell’impossibile che diventano possibili, perché nulla è impossibile a Dio, come dice l’angelo alla vergine Maria al momento dell’annunciazione. E ogni cosa è possibile per chi ha fede: la fede, anche se piccola, può avere la forza di sradicare persino un gelso, ha commentato Papa Francesco e poi di trapiantarlo nel mare, che è una cosa ancora più improbabile, ma nulla è impossibile a chi ha fede, perché non si affida alle proprie forze, ma a Dio che può tutto. È la fede che ci dà la capacità di guardare con speranza le vicende alterne della vita, che ci aiuta ad accettare anche le sconfitte brucianti, le sofferenze e la consapevolezza che il male non ha mai e non avrà mai l’ultima parola e credo che possiamo proprio concludere che questa fu la fede di Barnaba Chiaramonti, manifestatasi soprattutto durante il suo pontificato. Eletto Papa il 14 marzo 1800 con il nome di Pio VII, il vostro concittadino si è costantemente confrontato con l’impossibile. Tornato a Roma da Venezia, dove si era svolto il conclave, sceglie come nuovo segretario di Stato Ercole Consalvi: non si fece influenzare dalle potenze straniere, specialmente dall’impero austriaco. Iniziò ad occuparsi delle riforme amministrative divenute improrogabili, ma fu molto preoccupato di ristabilire l’unità della chiesa in Francia, divisa dallo scisma della costituzione civile del clero. Il concordato del 1801 però divenne immediatamente per lui fonte di grandi dispiaceri, perché nel 1803 ad esso furono aggiunti unilateralmente i cosiddetti “articoli organici”, che in pratica lo vanificavano. E ben poco è servita la sua disponibilità ad andare a Parigi per l’incoronazione di Napoleone a Notre-Dame: le concessioni che ricevette in cambio furono magre. Animato da questa fede, Pio VII in varie occasioni trova dunque un coraggio eccezionale per la fedeltà alla sua missione apostolica: scatenò le ire dell’imperatore, che nel 1808 occupava militarmente i territori dello Stato pontificio e nel 1809 li annetteva alla Francia, dopo che il Papa aveva risposto alla sua richiesta di cederli all’impero francese con la famosa frase “Non debemus, non possumus, non volumus”, cioè “Non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo”. Nella notte tra il 5 il 6 luglio di quell’anno lo stesso, il papa fu arrestato e trasferito a Savona e successivamente nel castello di Fontainebleau, dove rimase fino alla sconfitta di Napoleone. E ancora una volta ciò che sembrava umanamente impossibile si realizzò: il viaggio di ritorno si tramutò in un trionfo, folle esultanti si accalcarono al passaggio dell’anziano pontefice, che rientrò a Roma nel maggio 1814 e durante il percorso fece numerosi gesti di filiale devozione mariana, incoronando di propria mano alcune immagini della Madonna, tra cui anche la vostra venerata statua della Madonna del Monte. A Napoleone disse di aver perdonato tutto e fu praticamente l’unico ad offrire ospitalità alla sua famiglia: dopo la sua caduta tutte le porte o quasi tutte le porte si chiusero; rimase aperta solo quella del papa, che tanto aveva sofferto per le mani del loro congiunto, dell’imperatore Napoleone. Ormai vecchio e fragile, immobilizzato nel letto per i postumi di una caduta che gli aveva procurato la frattura del femore, il Papa visse gli ultimi giorni della sua vita consumato nelle forze, ma con la mente vigile e l’occhio sereno di chi aveva vinto la sua battaglia. Questa è la vittoria che sconfigge il mondo, la nostra fede. Papa in tempi particolarmente turbolenti tra rivoluzione e restaurazione, Pio VII, vostro concittadino, è vissuto nell’abbandono alla volontà divina e nella fedeltà al suo ministero apostolico. Egli, come hanno osservato alcuni storici, ha magnificamente contribuito ad aprire la chiesa ai tempi nuovi, anzi, è stato definito in alcune opere come il primo papa moderno il primo Papa moderno. Molti diranno meglio di me di questo pontefice, io ho voluto sottolineare, sulla scorta della parola di Dio di questa domenica, la grande fede di Papa Pio VII. Scriveva San Giovanni Paolo II nel messaggio alla comunità benedettina nella ricorrenza del bicentenario dell’elezione di Papa Pio VII, nell’agosto del 2002: “Sorretto dalla fede non cedette a soprusi e violenze, testimoniando un attaccamento alla sua missione ed al servizio della chiesa e del mondo, che resta motivo di imperitura ammirazione. Nel suo ministero Pio VII fu sempre sorretto da indomita fiducia nel Signore e da amore filiale per la celeste Madre di Dio”. La commemorazione di Pio VII a 200 anni dalla morte non ha soltanto il significato di ricordare e di rendere omaggio ad una grande figura della storia della Chiesa, ma ha conseguenze e riflessi sulla realtà odierna: anche se le circostanze sono mutate, dobbiamo vivere la nuova situazione di oggi con la stessa fede, ovvero con la stessa fede con cui Papa Chiaramonti ha affrontato le tante vicissitudini del suo tempo. Una fede che sappia sfidare l’impossibile, perché ancorata saldamente nel Dio, cui nulla è impossibile. Così si augurava anche Giovanni Paolo II nel documento appena citato con il quale voglio concludere questa mia riflessione: “In effetti, i cristiani di ogni epoca, nonostante contrasti e umiliazioni, ostacoli e persecuzioni, sono chiamati a proseguire senza sosta nella fedeltà al loro Signore. Essi sanno di dover aderire al Vangelo senza compromessi, senza paure, disponibili ogni giorno a prendere la croce per seguire Lui, il Maestro crocifisso”. Auguro di cuore che questa ricorrenza del bicentenario della morte offra l’occasione di conoscere meglio il messaggio di Papa Chiaramonti e di apprezzare ancor più la sua sapienza e la sua fortezza interiori. Guardando alla sua vita e al suo esempio, possano gli uomini del nostro tempo trarre preziose indicazioni per affrontare con uguale ardore missionario le sfide dell’epoca moderna. Ci aiuti Maria, la Madonna del Monte, così cara al cesenate Pio VII e così sia”.