Il Natale con Gregorio Magno. Ottava di Natale
L’evangelista Luca conclude la narrazione della nascita di Gesù con la presentazione di Gesù al tempio. È l’occasione per sottolineare che il padrone si è fatto servo: Gesù entra con Maria nel tempio come un bambino, per mettersi a disposizione di tutti. L’intuizione di Simeone, che si effonde nel Nunc dimittis, è commovente e profonda. Il Tempio si lascia irrorare dalla luce vera, perché è arrivato il Santo, per il quale il Tempio stesso era stato edificato. Proprio in questo sta la gloria di Israele, perché è da Gerusalemme che la luce del mondo si è sparsa per il mondo intero. Israele è scelto come strumento di illuminazione, conoscenza, apertura all’amore per il mondo intero. Ma la luce del Messia avrà il riflesso del dolore, perché questa lama di luce sarà segno di contraddizione e la stessa vergine Maria sarà coinvolta nel destino di sofferenza del Figlio. Sì, perché il Natale è “l’inizio della vita divina in noi. Non è ancora la contemplazione beata di Dio nella luce della gloria; è ancora l’oscurità della fede, però non è più di questo mondo ed è già un’esistenza del regno di Dio”, chiosa Edith Stein.
Il mediatore fra Dio e l’uomo
Giobbe invoca il mediatore tra Dio e l’uomo, colui che è Dio e uomo. E rendendosi conto che tarderà molto a venire, deplorando questo fatto dice: “Non c’è fra noi due un arbitro che ponga la mano su noi due” (Gb 9,33). Il Redentore del genere umano diventò, per mezzo della carne, il mediatore fra Dio e l’uomo. Egli apparve fra gli uomini il solo giusto e tuttavia, pur senza peccato, accettò la pena dovuta al peccato; e così rimproverò all’uomo il suo peccato e impedì a Dio che lo colpisse, offrì l’esempio di una vita innocente e accettò il castigo per il peccato. Con la sua passione, quindi, rimproverò l’uno e l’altro: promovendo la giustizia condannò la colpa dell’uomo e morendo placò l’ira del giudice. Egli pose la mano su tutti e due, perché agli uomini offrì i suoi esempi da imitare e a Dio presentò in sé opere tali da renderlo propizio verso gli uomini. Prima di lui non ci fu nessuno che intercedesse per le colpe degli altri senza averne di proprie. Uno era tanto meno in grado di impedire la morte eterna negli altri in quanto era personalmente prigioniero della colpa. E così si presentò agli uomini l’Uomo nuovo, avversario della colpa e amico dell’uomo fino ad assumerne la pena. Manifestò cose meravigliose e subì cose crudeli. Egli dunque pose la mano su entrambi, perché mentre insegnò la rettitudine al colpevole, placò il giudice adirato. Egli fece vedere una cosa ancor più meravigliosa degli stessi suoi miracoli, perché convertì il cuore dei colpevoli più con la mitezza che con il terrore.i
Per mezzo della legge Dio aveva preso in mano la verga, quando diceva: Chi farà questo o quello, morirà. Ma incarnatosi, depose la verga e con la mitezza mostrò le vie della vita.
Perciò il salmista gli dice: “Avanza, trionfa e regna per la verità, la mitezza e la giustizia” (Sal 44,5). Non volle esser temuto come Dio ma ci ispirò ad amarlo come Padre. E quanto chiaramente dice Paolo: “Voi non avete ricevuto uno spirito di schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abba, Padre!” (Rm 8,15).
Dal Commento morale a Giobbe IX, 61-62