Il Natale con Gregorio Magno. San Giovanni apostolo ed evangelista
Essere l’amato è l’origine e il compimento della vita dello spirito. Dal momento in cui scopriamo la verità di essere amati, ci mettiamo in cammino alla ricerca della pienezza di questa verità. È quanto ha fatto Giovanni, apostolo ed evangelista. Giovanni, il discepolo amato, è colui che si è adagiato sul petto di Gesù e ci ha lasciato le parole più grandie perfette intorno a Cristo: Io sono la luce del mondo; Io sono la via la verità e la vita; Io sono la resurrezione; Io sono laporta; Io sono il buon pastore. Il simbolo dell’evangelista Giovanni è l’aquila perché, secondo un detto rabbinico, l’aquila è l’unico uccello capace di guardare il sole, che per Giovanni è Cristo, senza rimanere accecato. Giovanni ha visto e ascoltato il Signore. Tutto inizia dell’esperienza dell’apostolo, vissuta a contatto di Gesù. La sua testimonianza si fa annuncio e comunione tra i fratelli della comunità, comunione che in realtà è autentica partecipazione della vita divina con il Padre e il Figlio di Dio fatto carne. Giovanni mette sulle labbra di Gesù, che pensa ai futuri credenti, questa preghiera: “Così potranno essere perfetti nell’unità, e il mondo potrà capire che tu mi hai mandato, e che li hai amati come hai amato me (Gv 17, 20-23)”. Scrive Origene: “Colui che vorrà essere un altro Giovanni, deve diventare tale da essere indicato da Gesù, al pari di Giovanni, come se lui stesso fosse Gesù“.
L’evangelista Giovanni andò al di là di tutto il creato
Anna rinuncia a salire a Silo con suo marito, finché allatta figlio, perché la santa Chiesa ha evitato di toccare nella sua predicazione le verità più alte, finché ha visto i suoi uditori poco istruiti e incapaci, come piccoli, di comprendere le cose troppo elevate. Ecco perché alle origini della santa chiesa noi vediamo dare il latte al figlio di Anna, ancora troppo piccolo, mediante gli scritti dei tre evangelisti Matteo, Luca e Marco, che hanno raccontato la storia umana del Signore sfiorando appena la sua divinità. Ma quando il popolo della chiesa, uscendo dall’infanzia, cominciò a crescere e a progredire verso la statura dell’età adulta di Cristo, non si accontentò più di bere il latte, ma cercava un nutrimento più solido. Allora la chiesa nostra madre fu costretta a salire, a farsi a sua volta cherubino, ad avvicinarsi al Redentore che volava al di sopra di essa, a prendere le ali dei venti, a raggiungere colui che si muoveva su di esse nelle sublimi altezze dei suoi misteri, e prendere nella sua gloria l’alimento che rispondeva alla domanda del suo unico figlio. Fu così che l’evangelista Giovanni, pregato dai fratelli, superando non solo la sfera umana ma anche quella angelica, andò al di là di tutto il creato e proclamò colui che egli aveva ottenuto di vedere, il Figlio unico nel seno del Padre, dicendo: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv I,I).
Orbene, Anna salì allorché la santa chiesa si elevò a tali altezze, predicando le più sublimi verità divine. E fu allora che essa offrì il sacrificio solenne, perché accese nel cuore dei suoi uditori la fiamma di una mirabile devozione, che scaturì da questa conoscenza della divinità. Sì, il suo solenne sacrificio fu l’offerta di un’incomparabile devozione, generata dalla sua incomparabile parola. Allora condusse il figlio alla presenza del Signore, quando infuse nel cuore dei suoi uditori la perfetta conoscenza del più alto mistero di Dio. Questa conoscenza di Dio bisogna custodirla non solo credendo, ma anche confessando, e ciò che noi crediamo e confessiamo, non ci è concesso di ignorarlo o di tacerlo.
Dal Commento al Primo libro dei Re I, 48