Domenica 30 marzo 2025, alle ore 15:00 è stata celebrata nella chiesa abbaziale di Kremsmünster la benedizione dell’abate Bernhard Eckerstorfer, ex rettore di Sant’Anselmo, da parte del vescovo di Linz Manfred Scheuer. La cerimonia di benedizione abbaziale di Abate Bernhard si è svolta domenica 30 marzo 2025 alle ore 15:00 nella chiesa abbaziale di Kremsmünster.
Bernhard Eckerstorfer, nato nel 1971 a Linz, è entrato nell’Abbazia di Kremsmünster nel 2000. Ha studiato filosofia, teologia e geografia a Salisburgo, Vienna, negli Stati Uniti e a Roma. Ordinato sacerdote nel 2005, ha ricoperto vari incarichi, tra cui quello di maestro dei novizi e docente presso l’Università Cattolica Privata di Linz e l’Università di Salisburgo. Dal 2017 è stato membro del comitato scientifico del Pontificio ateneo Sant’Anselmo. A fine ottobre del 2019 la Facoltà di Teologia gli ha conferito il titolo di professore associato. Nel 2019 il collegio professorale dell’ateneo lo ha eletto Rettore, nomina quadriennale confermata il 5 dicembre dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica.
Dal 2020 fino alla sua elezione ad abate, è stato rettore del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo a Roma. Il 25 gennaio 2025 è stato eletto abate di Kremsmünster. Ora, l’abate Bernhard continuerà la sua missione spirituale e culturale, mantenendo viva la tradizione benedettina nel cuore dell’Austria.
Riportiamo una traduzione fedele, anche se in alcuni punti adattata, dei discorsi tenuti in occasione della celebrazione.
Omelia del vescovo Manfred Scheuer
Un responsabile delle risorse umane di una banca dell’Alta Austria mi ha raccontato di un colloquio di lavoro. Durante l’incontro si è parlato sia dei requisiti richiesti per il lavoro sia di ciò che l’azienda aveva da offrire. Alla fine, il candidato ha detto: “Vi siete presentati bene, probabilmente entrerete nella mia selezione finale. Nei prossimi giorni o settimane vi farò sapere”. È anche questa la vostra esperienza a Kremsmünster?
Oggi chi è interessato alla vita religiosa visita più comunità monastiche, ma sorge la domanda: chi sceglie chi? Quando si tratta di una vocazione, è essenziale che ci sia la ricerca di Dio nella propria vita, ma anche che la comunità e la Chiesa discernano, accolgano, accompagnino e favoriscano questa chiamata. Non siamo noi a scegliere Dio, ma è Lui che ci cerca. E alla fine ci si deve chiedere se questa vocazione sia una benedizione per chi la riceve e per la comunità.
La vocazione si trova in una tensione tra i bisogni personali e la testimonianza del Vangelo. Sarebbe fuorviante ridurre questo processo a una dinamica di domanda e offerta, come se Dio fosse un coordinatore delle nostre esigenze o un fornitore di servizi per i nostri desideri. Dio non può essere degradato a “tappabuchi” delle nostre carenze.
Questo vale anche per un abate, per quanto giovane. Nella Regola di San Benedetto si legge: “Si osservi attentamente se il novizio cerca davvero Dio, se è pronto per la preghiera, obbediente e capace di sopportare le difficoltà”. Si deve parlare apertamente con lui delle sfide e delle prove del cammino verso Dio. La Regola ci insegna che dobbiamo trovare e lodare Dio in ogni cosa, e che “nulla deve essere anteposto al servizio di Dio”. Questo è un principio centrale anche per l’abate Bernhard: nel servizio divino non celebriamo noi stessi, non promuoviamo la nostra agenda politica, sociale o culturale, ma cerchiamo Dio. La ricerca di Dio deve essere più forte dei nostri interessi personali, delle nostre crisi e difficoltà. La questione di Dio è più importante della questione della Chiesa, della crisi ecclesiale o della crisi delle vocazioni.
Il responsabile delle risorse umane di cui parlavo prima mi ha raccontato anche di un giovane manager di 32 anni che voleva ridurre il suo orario di lavoro a 25 ore settimanali. Alla domanda se avesse figli, genitori da assistere o problemi di salute, ha risposto di no: voleva semplicemente più tempo libero e una nuova “work-life balance”. Ma la “work-life balance” è conciliabile con la vita monastica?
Nel nostro mondo si cerca la vita più nel tempo libero che nel lavoro. Tuttavia, la tradizione benedettina ci insegna a integrare armoniosamente tutti gli aspetti della vita: preghiera e lavoro, solitudine e comunità, mangiare e bere, gioia di vivere, eros e castità, consumo e rinuncia, veglia e riposo, movimento e quiete. L’abate Bernhard richiama la Regola di San Benedetto, secondo la quale il ritmo di un monastero deve essere vissuto “naturaliter ex consuetudine”, ossia in modo naturale, come abitudine. La tradizione benedettina può insegnarci molto sulla fede vissuta nella quotidianità. Due atteggiamenti fondamentali possono aiutare a trovare un equilibrio fisico e spirituale:
- Stabilitas – La stabilità. Significa restare fedeli a se stessi e al proprio cammino. Ma chi vuole trovare sé stesso deve anche avere il coraggio di cambiare e rinnovare continuamente la propria vita.
- Laetitia – Una serena leggerezza. In un mondo complesso, non possiamo basarci solo sull’ottimizzazione personale o su nuovi strumenti di gestione. È molto più utile un sano distacco e un pizzico di umorismo. Una “santa leggerezza” permette allo Spirito di agire, creando gioia di vivere e un clima sereno.
L’abate Bernhard si richiama alla descrizione che Gregorio Magno fa del monaco secondo San Benedetto: “L’uomo di Dio abita in sé stesso sotto lo sguardo di Dio”. Riusciamo noi ad “abitare in noi stessi”? Di Karl Valentin si ricorda: “Questa sera vado a trovarmi. Sono curioso di vedere se sono a casa”. Possiamo vivere con noi stessi senza distrazioni continue? Non esiste vera libertà senza silenzio, senza uno spazio interiore ed esteriore di solitudine in cui la libertà possa svilupparsi.
La contemplazione è un semplice stare davanti a Dio. Essa richiede un amore per la realtà così com’è, per le cose e le persone, senza volerle cambiare o eliminare con la forza. Oggi molti vogliono eliminare tutto ciò che non si adatta alla loro visione. Benedetto, invece, ci insegna ad accettare noi stessi di fronte a Dio.
Nella Regola di San Benedetto, le dimensioni personale e liturgica sono in costante interazione. Un rituale senza silenzio e attenzione diventa vuoto e superficiale. Anche la comunicazione e il dialogo senza profondità esistenziale si riducono a chiacchiere senza senso. E senza fede e interiorità, la legge resta una pura formalità e la liturgia si svuota di significato. Ma anche l’interiorità personale ha bisogno della dimensione comunitaria: la preghiera e la liturgia sono sempre un’interruzione della routine quotidiana, un’apertura alla trascendenza.
La vocazione è anch’essa un’interruzione, una svolta nella biografia di chi la riceve. Nella tradizione di San Benedetto non è l’entusiasmo o l’euforia a essere determinanti, ma la costanza e la profondità della vita e della preghiera. L’abate Notker di Einsiedeln parlava del “carisma della calma” dei benedettini. Forse oggi ci farebbe bene un po’ di questa calma, senza agitarsi per ogni cosa. La stabilitas ha molto a che fare con la sostenibilità: la tradizione spirituale è la trasmissione della vita e si nutre della rivelazione di Dio.
L’abate Bernhard sentirà spesso le parole con cui inizia la Regola di San Benedetto: “Ascolta, o figlio”. L’ascolto è oggi più che mai fondamentale per la Chiesa. È un ascolto che implica l’obbedienza, intesa come un cuore aperto a Dio e alla comunità. I punti di riferimento per l’ascolto sono: Dio stesso, il Vangelo, la Regola, l’abate, la comunità e in particolare i più giovani e i più deboli. L’obbedienza benedettina è disponibilità alla conversione continua, a un nuovo inizio ogni giorno.
San Benedetto può essere una grande scuola di comunicazione e di comunità: come trattano gli anziani i giovani? Come trovare il giusto equilibrio tra vicinanza e rispetto? Ascolta, figlio mio!
I saluti dell’Abate Primate Jeremias Schröder
Il giorno dell’elezione a Kremsmünster, lo scorso gennaio, non è stato per noi a Sant’Anselmo, a Roma, un giorno di gioia. Abbiamo perso un rettore molto capace, che aveva appena iniziato il suo secondo mandato. Tuttavia, il tempo del lutto è ormai passato e oggi possiamo festeggiare con tutto il cuore, condividendo la gioia qui a Kremsmünster. Celebriamo questo momento per l’Abate Bernhard, per la comunità monastica e per le centinaia e migliaia di persone che oggi sono presenti o rappresentate qui.
Noi benedettini siamo sostenuti dalla fiducia e dalla consapevolezza di avere una solida e antica relazione con Kremsmünster. Più di cento monaci di questo monastero hanno studiato nel corso del tempo a Sant’Anselmo e siamo certi che, con l’Abate Bernhard, questo legame si rafforzerà ulteriormente. Per questo motivo, posso con gioia celebrare oggi con voi.
Certo, Bernhard si era immaginato il suo futuro in modo diverso. Prima, mentre riflettevo su questi eventi, mi è venuto in mente che molti di noi avevano altri progetti per la loro vita. Ma poi è arrivata una chiamata, un incarico, un evento che ha sconvolto i piani. Molti di noi si sono ritrovati a dover riempire un vuoto. E probabilmente è giusto che sia così.
La storia è dinamica: dobbiamo costantemente adattarci a ciò che viene richiesto. La disponibilità dimostrata da Bernhard al momento della sua elezione è qualcosa che molti di noi hanno dovuto mostrare più volte nella vita. Questa prontezza è profondamente evangelica: essere dove si è necessari, non solo dove si vorrebbe essere o dove si erano fatti dei piani.
Grazie, Bernhard, perché più volte nella tua vita hai accettato di intraprendere un cammino che non avevi previsto. Spero che anche altri, qui presenti oggi, possano dire “sì” quando si troveranno di fronte a una chiamata inaspettata.
Oggi abbiamo ascoltato molte parole preziose e profonde, tratte dalla Sacra Scrittura. Ho partecipato a molte benedizioni abbaziali e ho sentito tanti vescovi riflettere su questo tema. Ma posso dire con certezza che raramente ho ascoltato parole con la profondità che oggi ci ha donato il Vescovo Manfred. A lui va un sincero ringraziamento.
Un momento di questa celebrazione mi ha toccato particolarmente: quando il coro ha intonato il Locus iste di Anton Bruckner. Locus iste, “Questo è il luogo”. Bernhard, a te è stata affidata una comunità, molte reti di relazioni, tante persone legate a questo monastero. Ma anche questo luogo stesso, dove da circa 1.300 anni si loda Dio e si vive secondo la regola benedettina.
Noi benedettini segniamo profondamente i luoghi in cui viviamo. Quando entriamo in monastero, professiamo il voto di stabilitas, legandoci a quel luogo. Locus iste – “Questo è il luogo”.
Caro Bernhard, auguro a te, ai tuoi confratelli e a tutti coloro che contribuiscono a mantenere viva Kremsmünster, che questo luogo rimanga sempre un luogo di vita. Che possa essere, per molti, un luogo di speranza. Che Dio conceda questo dono!
Il ringraziamento dell’abate Bernhard Eckerstorfer
Cari fratelli e sorelle,
voi tutti che siete qui presenti, dalla piccola Felicitas di un anno al fratello David Steindl di 99 anni: una grande varietà di persone che, in questo momento della storia dell’abbazia di Kremsmünster, sentono questo evento come un proprio impegno. Ringrazio tutti per il vostro servizio e per tutti i preparativi. È bello vedere come in questa celebrazione abbiano partecipato le persone che incontriamo quotidianamente qui: nei nostri settori economici, nella parrocchia, nel ginnasio dell’abbazia e oltre. È incoraggiante sapere che molti, sia in patria che all’estero, si uniscono a noi tramite il livestream.
Prima di rivolgermi a tutti voi, desidero parlare ai miei confratelli. Potrei farlo anche all’interno del monastero, ma sento che questo è il momento giusto. Dopo il mio ritorno da Roma, probabilmente anche a causa della distanza fisica di questi anni, ho potuto riscoprire la ricchezza della nostra comunità: la buona collaborazione, i molti talenti di voi, cari confratelli, e la vostra dedizione, dal più giovane al più anziano monaco, anche oltre i 90 anni. Questi confratelli sono per me un esempio. E, in questa domenica Laetare, posso dire che ridiamo molto in monastero. Ed è bello essere qui. Sono convinto che continueremo ad attrarre giovani che desiderano diventare benedettini.
Noi benedettini di Kremsmünster siamo consapevoli della nostra corresponsabilità per la Chiesa locale e per il dialogo ecumenico, per fare del nostro monastero un centro di vita spirituale e di formazione per tutti. Questo lo dico in particolare ai rappresentanti politici qui presenti: siamo consapevoli di questa responsabilità.
Vogliamo portare il nostro contributo al mondo e, in questo tempo, forse soprattutto promuovere l’unità in un’epoca segnata dalla polarizzazione. Dalla mia elezione in poi, è stato toccante vedere quante persone pregano per noi, si identificano con noi e si impegnano per il monastero. Noi monaci riceviamo molto esempio e sostegno.
Ieri sera, durante la preghiera della vigilia di questa domenica Laetare, sono stato chiamato fuori dalla chiesa. Sotto la pioggia battente, ho trovato un gruppo di giovani che vengono regolarmente a Kremsmünster. Hanno costruito un candeliere simbolico. In Alta Austria lo chiamiamo Schwibbogen, e ai tedeschi qui presenti dico: avete qualcosa da imparare! Potete vederlo all’uscita, sulla sinistra della scalinata dell’abbazia. È stata una sorpresa commovente, che dimostra come le persone vivano e pensino insieme a noi.
Su questo oggetto è scritto Quaerere Deum – “Cercare Dio”. È il mio motto episcopale, che il Vescovo Manfred ha già spiegato in modo magistrale oggi. Per me, è la mia missione più importante in un tempo in cui l’oblio di Dio si diffonde sempre più. Ma questo non significa che a Kremsmünster abbiamo già Dio nelle nostre mani! No, abbiamo la sete di appartenere a Lui e di vivere in relazione con Lui.
Per questo, il nostro confratello, padre Claudio, ha disegnato per il mio stemma un cervo che si abbevera a una sorgente, come si vede nei mosaici delle antiche basiliche romane. Potete trovare questo simbolo sul retro del libretto della celebrazione e sulle immaginette commemorative che ha realizzato graficamente.
Vogliamo metterci in cammino per trovare la sorgente vera, come comunità monastica, come abbazia e come Chiesa. E per farlo, dobbiamo sempre tornare sui nostri passi e riorientarci. Come ci ha ricordato con insistenza il nostro stimato abate primate, Jeremias, proprio prima dell’elezione: dobbiamo convertirci e cercare continuamente la nostra vera meta.
E posso dire con sincerità che oggi ho potuto ripetere cinque volte: “Sono pronto”, non perché io sia già arrivato, ma perché sono in cammino. Non sono perfetto, ma mi sento sostenuto da Dio, dai miei confratelli e da tante persone.
Caro Abate Primate Jeremias, voglio assicurarti che qui a Kremsmünster ci sentiamo profondamente uniti ai benedettini di tutto il mondo e che consideriamo ancora Sant’Anselmo un luogo importante per il nostro continuo rinnovamento. Sappiamo di essere uniti anche con i cistercensi e con tutte le altre comunità monastiche qui presenti. Siamo in un processo di rinnovamento interiore, e questo si riflette anche in questa celebrazione. Parte della nostra comunità oggi è separata da una grande parete, fuori dalla nostra vista, ma unita a noi tramite schermi e altoparlanti. E poi ci sono coloro che ci seguono online attraverso il nostro canale YouTube.
Nel mio ultimo semestre a Sant’Anselmo, con un gruppo internazionale di studenti, abbiamo letto un libro, tradotto in italiano con il titolo La presenza e l’assenza di Dio. Questi studenti provenivano da quattro continenti, spesso da zone di guerra o da paesi in cui i cristiani sono perseguitati. Ci hanno mostrato quanto sia importante parlare anche dell’assenza di Dio. Dio è il Dio nascosto, che possiamo comprendere e trovare solo attraverso la ricerca.
E proprio in questo consiste il mio motto: Quaerere Deum, “Cercare Dio”. Vogliamo vivere il cristianesimo e la nostra missione ecclesiale in sintonia con il nostro tempo, un’epoca in cui Dio è divenuto una domanda, non solo là fuori, ma anche dentro di noi e intorno a noi.
Pensando a questo, mentre ora sono qui con mitria, pastorale, anello e croce, mi sembra importante ricordare che, quando mi incontrerete nella vita quotidiana, noterete solo la croce. Questo dice molto su chi e che cosa stiamo cercando.
Vorrei concludere con il mio versetto preferito dalla Regola di San Benedetto, il Prologo, versetto 49: “man mano che si avanza nella vita monastica nella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato dell’indicibile sovranità dell’amore”.
Cari fratelli e sorelle, questo amore indicibile, che affonda le sue radici in Dio, lo auguro a tutti voi. Grazie.