La deriva dell’Occidente secondo Franco Cardini: toscano, italiano e mediterraneo, da oltre sessantanni spera di potersi dire europeo: civis Europaeus sum!, di quella nostra, dolce carissima Europa di San Benedetto, delle cattedrali, delle università; l’Europa che ha scelto come suo inno l’Ode alla Gioia di Schiller, vestita della Nona di Beethoven. Un’Europa che non è né orientale, né occidentale. Cardini, in un’epoca non di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca – come ebbe a dire papa Francesco – compie nel suo ultimo libro una cavalcata orientale-occidentale in questo tempo di disincanto sul senso di parole segnate ormai da troppi malintesi: Occidente, Modernità, Identità. La sostanza dello spirito occidentale è, per l’autore, nell’obiettiva contraddizione tra una forte vocazione umanitaria dell’Occidente e una non meno forte volontà d’assoggettamento e di modificazione del mondo, della natura e della storia. La Weltanschauung occidentale è sì fondata sulla libertà e dignità della persona umana, sulla tolleranza, sui diritti dell’uomo e sulla ricerca della felicità, ma la sua prassi politica, economico-finanziaria e tecnologica è radicata invece nei principi di produzione, consumo e profitto. Da L’invenzione dell’Occidente a L’ipocrisia dell’Occidente a La deriva dell’Occidente, l’autore segnala come la nozione di Occidente, nata dallo storico confronto con l’Oriente – fosse bizantino, islamico, indigeno, russo o cinese – sia tra le più infide e scivolose.
C’è stata molta fede nell’epoca dell’alleanza trono-altare, c’è stata molta virtù alla radice della Modernità, c’è stato grande ingegno nelle scoperte tecniche-scientifiche: senza di loro l’Occidente non avrebbe potuto decollare e soggiogare il resto del mondo con la sua Volontà di Potenza. Una Volontà di Potenza, quella della civiltà occidentale, che ha offerto all’umanità, da grande benefattrice, i princìpi primi della scienza, della ragione, della libertà e del progresso. Ma a caro prezzo e serenamente autoassolvendosi da tutte le violenze, le rapine, gli orrori, le menzogne e le infamie di cui si è resa responsabile nella conquista del mondo. Dal colonialismo alla transizione coloniale alla neocolonizzazione il risultato è lo stesso: la rapina e la fuga degli sventurati boat people verso la prosperità dei fortunati occidentali. La schizofrenia dell’identità europea e moderna è ben rappresentata da tre suoi eroi: il viaggiatore Ulisse, che affronta ogni genere di sofferenza per tornare in patria, ma che al tempo stesso non rinuncia a conoscere qualunque sorta di novità e di sensazioni, per seguire virtute e canoscenza; il titano Prometeo che, abbattendo le barriere tra l’umano e il divino, affronta l’ira degli dèi con struggente filantropia, pur di beneficare l’uomo, trasmettendogli il fuoco della conoscenza e la chiave del progresso; infine Faust, che accetta di mettere a rischio l’anima pur di recuperare un’esistenza che gli consenta di raggiungere sapienza e godimento perfetti e che insegue – ahimé invano – l’istante tanto bello e perfetto da potergli far desiderare di fermarlo eternamente.
Il dominio dell’Occidente sul mondo, dal Cinquecento al Novecento, consisté sì nella proposta-imposizione del Dio venuto dall’Europa e usato come alibi ultimo e sostanziale, ma al contempo l’equilbrio catto-protestante lasciava spazio a un processo di secolarizzazione che toglieva a Dio e dava all’Io la centralità. Proprio dal senso di quella tragica e contraddittoria Europa, animata da forti valori etici e religiosi e al contempo da un’illimitata Volontà di Potenza, sono usciti i totalitarismi del Novecento, certo rifiutati e rinnegati, ma che oggi rivivono all’interno del Leviathan della globalizzazione. Dai tempi delle guerre persiane al tramonto dell’Occidente di Spengler, dalla svolta quattro-cinquecentesca di un’apertura della cosmografia antica all’imperialismo dei diritti del Leviathan americano di terra e di mare, oggi il processo di globalizzazione portato da quel divino camaleonte – direbbe Pico della Mirandola – che è l’uomo occidentale, sembra essere giunto a un momento importante di critica e di ridefinizione, se non al suo capolinea. La Western Civilization, dalla Grecia classica all’eredità romana, attraverso l’Europa rinascimentale giungerebbe al ruolo odierno degli Stati Uniti, ultimo anello di una catena concettuale, baluardo contro qualunque dogmatismo. Almeno così è stato fino agli anni Novanta: ma il centro e il protagonista di tale impero non sono più gli USA in senso stretto, ma una nuova e complessa entità sovranazionale, internazionale e a-nazionale, un impero senza confini e limiti, un deep empire guidato da una élite internazionale di gruppi imprenditoriali e finanziari. Non è un grande complotto, bando alle dietrologie: non ci sono Savi o Superiori Sconosciuti. Ma disegni e programmi formulati per conseguire interessi di particolari lobby e di corporation da personaggi e gruppi al di sopra della legalità interna e internazionale, questi sì, che ci sono.
Quali le prospettive per il futuro? La perdurante guerra in Ucraina, le mai sopite tensioni in Medio Oriente, l’accelerazione dei flussi migratori, e tutti gli le catastrofi degli ultimissimi anni sembrano rimettere tutto in discussione. Le elezioni USA del 2024 e una possibile uscita di scena di Vladimir Putin non sembrano essere la panacea di tutti i mali di un’Europa che, per dirla con Mario Draghi, deve diventare Stato, ora più che mai, di fronte all’attuale caos imperiale. “Io credo nella Resurrezione dell’Europa”, è l’appello finale di Cardini, “come autentica patria”. Un grido patriottico, ma di un sereno, consapevole, auspicabile patriottismo europeista, che molti di noi hanno sognato e nel quale sarebbe tanto bello vivere. Europa, Occidente, Modernità forse cesseranno di essere la Trinità di uno stanco e logoro conformismo, quando sapremo individuare strumenti e metodi atti a sciogliere questo opaco e inestricabile grumo di contraddizioni, che è il peccato originale dell’Occidente. E francamente, quando ci si addentra negli spazi aperti dall’ambientalismo, dalla bioetica, dall’ingegneria biologica e dall’intelligenza artificiale, rispetto a tutte queste cose, le vecchie e tradizionali categorie esegetiche risultano particolarmente arcaiche.
Saprà la Postmodernità – questa misteriosa Fenice sempre chiamata in causa – farsi carico di questa responsabilità, o avrà l’ardire di comportarsi come Alessandro Magno dinanzi al nodo di Gordio? Chissà se a prezzo di durissime prove. Il tempio di Giano ha riaperto i battenti nella nostra vecchia Europa: “Padre Pòlemos”, invoca Cardini la personificazione greca della guerra, “Padre nostro crudele che sei tornato sulla terra, farai dunque la Tua volontà? A Te, proprio a Te, non possiamo certo chiedere di liberarci dal Male”.