Qual è l’origine della nozione di persona? Tornare alla fonte della parola che usiamo normalmente per definire l’essere umano, ovvero noi stessi, può essere particolarmente interessante. Riappropriarci della storia, della radice e del significato originario del concetto di persona può aiutarci a fare luce sulla nostra identità, andando a cogliere l’essere sostanziale che ci caratterizza, la nostra essenza più autentica.
Gli studiosi sono concordi nel riconoscere che il concetto di persona è estraneo all’antichità classica. In effetti tale nozione, come vedremo, mette l’accento sul singolo, sull’individuo, sul concreto, mentre la filosofia greca riveste di importanza l’universale, l’ideale, l’astratto.
Per il pensiero greco, il singolo, l’individuo, il concreto, ha valore provvisorio come momentanea fenomenizzazione della specie universale, oppure, come attimo transitorio del grande ciclo onnicomprensivo della storia. Il valore assoluto dell’individuo è, invece, un dato della Rivelazione cristiana. Questa, infatti, non è rivolta al genere umano in astratto, non riguarda l’universale, ma è diretta a tutti gli uomini presi individualmente, nella propria concreta esistenza, in quanto ciascuno di essi è considerato figlio di Dio. Ma nel Cristianesimo il concetto di persona non è stato tramandato come un semplice dato di fede. È soprattutto nello sviluppo del pensiero relativo alla Scolastica che esso è stato sottoposto ad una approfondita analisi razionale ed ha finito per acquistare una solida veste filosofica, con la definizione di persona data da Severino Boezio poi ripresa da Tommaso d’Aquino.
All’origine, i primi teologi, per chiarire questioni trinitarie e cristologiche apparentemente insolubili, come il dogma della triplice modalità di sussistenza dell’unico Dio in quanto Padre, Figlio e Spirito Santo, e quello della duplice sussistenza delle nature divina e umana in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, assunsero il vocabolo greco pròsopon e l’equivalente latino persona.
Il pròsopon era la maschera che adoperavano gli attori antichi nelle rappresentazioni teatrali. La maschera nascondeva il volto dell’attore e faceva risuonare la voce fortemente; per tale ragione, pròsopon, significava anche personaggio, colui che viene rappresentato tramite la maschera dall’attore e che ne definisce l’identità e il ruolo. Nelle dispute teologiche, però, il termine persona perse l’antico significato di maschera e presto venne identificato con il vocabolo greco hypòstasis.
Hypòstasis si traduce direttamente in latino con substantia, suppositum, dunque: sostrato, fondamento, ciò che è realmente in opposizione alle sue apparenze. In questo modo, la nozione di persona, intesa come ipostasi, viene ad essere caratterizzata da un’ulteriore portata di senso e significato.
In particolare, è nell’ambito della speculazione filosofico-teologica della Patristica bizantina che verrà attribuito un ruolo fondamentale al concetto di hypòstasis. Il rapporto tra natura e persona, infatti, viene sviluppato soprattutto da Gregorio di Nissa, il quale è protagonista delle controversie teologiche intorno ai grandi misteri della Trinità e dell’Incarnazione, alla cui soluzione ha contribuito in maniera decisiva proprio la formulazione esatta del concetto di persona.
Nel pensiero di questo grande Padre della Chiesa, con il termine ousìa si designa ciò che è comune a più cose in maniera astratta, ovvero, la natura, l’essenza delle cose (ousìa = astratto generale); con il termine hypòstasis, invece, qualcosa di singolare, ciò che “sta sotto” e che sussiste in sé, ciò che conferisce concretezza ad una natura comune e che permette di cogliere e definire l’individuo (ipostasi = concreto particolare).
Intesa come singolo concetto, l’ipostasi, però, non basta ancora a designare la “solida stabilità” di un determinato individuo. Occorre che vengano definite anche le sue caratteristiche specifiche. Per tale ragione, fu utile prendere in considerazione anche la nozione di perigraphein che vuole significare: circoscrivere, tracciare il contorno, schizzare quella che può essere definita una sorta di silhouette. Ma il contorno di un singolo individuo può avere ancora molte linee in comune con gli altri soggetti. Così, con il termine charakterizein si intese marcare le peculiarità di una determinata ipostasi, arrivando a porre l’attenzione davvero sul singolo e originale individuo che è, per l’appunto, la persona intesa come un concreto circoscrivibile e caratterizzato. Questi fattori permisero di distinguere l’ipostasi dal comune indeterminato dell’essenza.
Questo concetto di persona, sviluppatosi in un contesto teologico, dispiegò tutto il suo potenziale antropologico solo nel medioevo e in età moderna, offrendo una nuova considerazione: le persone sono esseri il cui modo di sussistere è l’autorelazione. Esseri che non sono semplicemente ciò che sono ma che entrano in relazione con ciò che sono. Il loro essere è l’avere una natura, l’avere un corpo e persino l’avere un’interiorità. Un’esistenza che si condensa e manifesta in molteplici volti, nella soggettività di ciascun individuo, unico e irripetibile.
Avveniva, in questo modo, una vera e propria rivoluzione culturale, un cambiamento radicale di mentalità. La portata epistemologica e gnoseologica di questo cambiamento e la principale conseguenza di questa nuova concezione è, pertanto, il fatto che la cosa più importante nell’ontologia non veniva più ad essere solamente ciò che è comune e attinente all’essenza (grecità classica) ma, piuttosto, quanto è inconfondibilmente personale.
Da questo cambio di paradigma ontologico originato dalla riflessione sul dato di fede cristiano e incentrato sul concetto di ipostasi, prenderà le mosse quella cultura occidentale che è stata capace di affermare il valore oggettivo e assoluto di ogni persona umana, quale unità di corpo e spirito, unica e indisponibile, dotata di una dignità intrinseca, propria della natura umana e dalla quale deriva il principio personalista alla base della nostra società, che si esplica e articola nel principio della difesa della vita fisica, in quanto intangibile e indisponibile; nel principio terapeutico, per il quale ogni intervento sulla persona si giustifica solo se ha il fine di guarire o curare il soggetto malato; nel principio di libertà e responsabilità, secondo il quale la libertà personale incontra un limite oggettivo nel rispetto della vita e della libertà dell’altro; nel principio di socialità e sussidiarietà, che si propone il raggiungimento del bene comune attraverso il bene del singolo e la solidarietà verso chi ha più bisogno.