Ti è mai capitato di organizzare un’uscita fuori porta con gli amici, per andare a mangiare in un posto dove ti sei trovato bene anni prima, e poi al momento di prenotare scopri che quel posto non esiste più? Quante volte hai fatto esperienza di un fallimento? Cosa hai provato?
so (Malaga, Spagna 1904 – Madrid, Spagna 1991) è stata una pensatrice spagnola del XX sec., intenta a chiedere al suo lettore una risonanza interiore alla ricerca di nuovi squarci di interpretazione esistenziale. Ci sono persone fisicamente vive ma interiormente morte, e ci sono persone morte fisicamente che però continuano a illuminare, a nutrire le nostre esistenze. Zambrano è una di queste, per me, e per molti. A volte l’attualità è vecchia e c’è più capacità di futuro in cose antiche, che sembrano passate, piuttosto che in ciò che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno e che si spaccia per novità. A volte il passato e coloro che gli appartengono, continuano a vivere attraverso noi, “esistono nascendo” ancora, e ancora. Maria Zambrano è stata una filosofa e saggista spagnola del XX secolo, conosciuta per le sue riflessioni profonde e complesse su temi come l’identità, la filosofia della storia e la condizione umana. Zambrano ha vissuto in esilio durante la dittatura franchista in Spagna e questa esperienza ha plasmato profondamente la sua filosofia. Ha riflettuto sulla condizione dell’esilio come una situazione che mette in discussione l’identità e la radice stessa dell’essere. L’esilio diventa un tema centrale nella sua opera, portandola a esplorare il senso di appartenenza e il significato di patria. Ma invece di proporre un’antropologia del limite, del soggetto mancante, di ciò che ci manca per essere davvero uomini, Zambrano propone un’antropologia della creatura nascente. La cosa fondamentale che affrontiamo nella vita non è solo la nascita biologica, ma la tensione del veramente nascere in modo esistenziale, la tensione che porta a completare la nostra nascita. Non basta la nascita biologica, serve poi una nascita psicologica (quando interiorizziamo la grammatica delle relazioni, degli affetti), e soprattutto una nascita radicale, esistenziale, quando arriviamo ad essere ciò che siamo in verità. E questo non è un fatto privato, semmai è un fatto personale sì, ma non è un fatto privato, perché nascere davvero significherà poi essere se stessi ma insieme agli altri. Zambrano risente fortemente delle influenze che le provengono dall’ esistenzialismo, dal pensiero greco antico e dalla tradizione mistica spagnola di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, ma riuscirà ad amalgamare tutti gli ingredienti che le provengono da queste tradizioni di pensiero in un modo suo proprio, specifico, unico e originale, come solo le donne sanno fare. Si è interessata alla filosofia della storia, indagando il significato e lo scopo della storia umana, e riscontrando l’obiettivo nel diventare se stessi, nel portare a compimento la propria nascita radicale, insieme agli altri, nella comunità. Ha cercato di sviluppare una prospettiva filosofica che integri le dimensioni personale e collettiva della storia, superando concezioni meccanicistiche e deterministe, e ha parlato di ragione poetica, come di un modo di conoscere che va oltre la razionalità concettuale e che abbraccia la sfera emotiva e simbolica. La poesia per lei è divenuta mezzo per esplorare la realtà in modo più ampio e profondo. Di fatto noi cerchiamo, per capire chi siamo, uno specchio nell’ Assoluto. Anche le filosofie atee partono sempre da Dio, dicendo “siccome Dio non c’è, allora, l’essere umano è ….”; volendo dire che, per capire chi siamo, dobbiamo comunque prima specchiarci e farci un’idea di ciò che Dio è o non è. In L’uomo e il divino del 1955 Zambrano traccia una sorta di storia di questo viaggio dell’uomo verso l’Assoluto, in questa nostalgia acuta che ha l’essere umano di incontrare tale interlocutore “assoluto”, immaginabile in Dio, nel Divino, nel Sacro. E la prima tappa immaginifica è proprio l’incontro che non si può avere, che angoscia, col Sacro inaccessibile in cui ci rispecchiamo come anomalie viventi, limitate, che poi permettono un rapporto solo attraverso le divinità greche. con Aristotele e Platone il Sacro poi diventa il “divino”, il luogo per eccellenza della razionalità. Poi però questa ricerca del rapporto con l’assoluto non si ferma e non si esaurisce, e si arriva al Cristianesimo dei Vangeli dove l’uomo può incontrare Dio in una forma nuova e sconosciuta. Dio si propone come amore e non come potere. Non terrorizza ma si lascia uccidere. Un Dio che si incontra non cercandolo oltre le stelle, ma nel bambino, nell’immigrato, nel contadino che esce a seminare. L’uomo, nel suo delirio di trovare l’Assoluto, pretende in realtà di sostituirsi all’Assoluto, al Sacro. L’uomo, come in un eccesso di amore mal interpretato, vorrebbe arrivare ad essere Dio, arrivare alla fusione. Di fronte ad una relazione di amore con questo Dio che ci insegna l’umanità, la reazione dell’uomo è distruttiva. Non è Dio che salva gli uomini ma sono gli uomini che distruggono Dio. E l’annuncio della morte di Dio non se l’è inventato Nietzsche o Hegel, ma lo si trova già nei Vangeli. Dio fu rifiutato e ucciso, non per fraintendimento, non perché non venne riconosciuto come Dio, ma perché gli uomini non volevano una relazione bensì una sostituzione, mossi più che dall’amore, dall’angoscia di essere soltanto umani. Dio sconosciuto significa un Dio che non è stato accolto per ciò che è. Questa la grande lettura della storia del sacro data da Maria Zambrano in L’uomo e il divino, dove si va al cuore del delirio umano, il quale sconfina dal suo campo e per invadere il territorio del Sacro, il territorio dell’amore, il territorio di Dio, l’uomo tenta un’identità che non gli appartiene e che non conosce. L’unico specchio adeguato, il Dio dei Vangeli, è stato rifiutato e distrutto. E ora è nella grande sofferenza, l’uomo si ostina a vivere per ciò che non è, come se un pesce volesse vivere sulla sabbia ostinandosi a creare sulla sabbia la città dei pesci. Questo è il delirio odierno, per Zambrano. Il delirio è il tentativo umano di completare la sua nascita, sbagliando strada. Poi l’altro movimento, il disnascere, è il movimento dettato dall’angoscia e dal non voler venire al mondo, perché il confine non si passa a cuor leggere e così si blocca il proprio cammino di nascita e si torna indietro, come un bambino che preferisce restare nel grembo materno. L’altro aspetto interessante e terribile del disnascere invece è quello del disfarsi della propria libertà, vissuta come un fardello, un peso. Rifiuto la responsabilità di vivere a modo mio e mi conformo al modo comune di vivere, di parlare, di pensare, rifuggendo e disfacendo la mia unicità e la mia libertà. L’invito di Maria Zambrano è di diventare figlie e figli di Dio, che hanno ricevuto tutto gratis, fuori da scambi utilitaristi e da logiche di sacrificio, lontano da un’economia della salvezza. Figlio significa essere nato perché desiderato, significa esser nato per amore, per passione. Figlio significa somigliante al padre, significa affrontare e liberarsi con coraggio dalla prima forma di radicamento che è l’egoismo, il piacere, le auto-gratificazioni, per imparare ad amare come il padre, trasformando l’esistenza in dono ricevuto e ricomunicato, fuori dalla retorica dell’altruismo e del volontariato, perché imparando a ricevere si impara a comunicare nuovamente, a donare gratuitamente a modo proprio e originale. Noi abbiamo solo ciò che siamo in grado di donare liberamente. Zambrano ha mostrato un profondo interesse per la tradizione mistica spagnola, in particolare per figure come Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, cercando di integrare la dimensione mistica nella sua filosofia, vedendo la mistica come un’apertura alla trascendenza e all’incomprensibile, esplorando la possibilità di essere veramente liberi, di ritrovare la propria identità autentica e responsabile. La riflessione filosofica di Maria Zambrano è profondamente radicata nella sua esperienza personale di esilio per abbracciare e ancor più vivere, come dovrebbe fare ogni filosofia, ciò che pensa, i suoi temi preferiti, quali la libertà, la storia, la mistica e la ragione poetica, cercando di abbracciare la complessità dell’esistenza umana in tutte le sue sfaccettature.