«L’emozione estetica ci raggiunge e in noi risuona, grazie alla risonanza incarnata che fa di noi degli esseri naturalmente relazionali» (p. 221). La persona umana è relazione; essa si gioca – sempre – nel presente, attraverso l’interiorità e con il corpo.
Il nucleo di questa recente pubblicazione di Vittorio Gallese e Ugo Morelli (Raffaello Cortina Editore, 2024), “Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente”, è proprio l’intersoggettività (cfr. pp. 20.24.26.28.36.39.57.104.116.146.159.160.217); e quest’ultima viene declinata per mezzo delle «interdipendenze tra i nostri standard di vita, le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse e nella loro appropriazione, e le ingiustizie sociali che la crisi climatica evidenzia in una maniera sempre più chiara» (p. 268).
Il suo contenuto è diviso in 10 capitoli: 1. Chi crediamo di essere? Corpo, cervello, mente, relazione; 2. In corso di individuazione. Spazio noicentrico ed esperienza; 3. Eppur ci muoviamo…Azione, movimento, educazione, conoscenza; 4. Non finiamo qui. Siamo parte del tutto nel sistema vivente; 5. Tutti passione ed esattezza. Emozioni, pensieri, ragione; 6. Specchio, specchio delle mie brame…Empatia, risonanza, riconoscimento; 7. Corpo non mente. Linguaggio, parola, corpo; 8. Facciamo finta che…Immaginazione, finzione, comportamento simbolico; 9. Il bello della storia. Creatività, esperienza estatica e bellezza; 10. L’interno e l’intorno. Dal paesaggio/corpo al paesaggio/mondo.
Gli autori rilanciano la centralità del corpo: nel benessere personale, così come nei rapporti: «Il ritorno al corpo può essere lo spazio storico e formale insieme in cui emerge nel nostro tempo il discorso estetico e poetico, finalmente riconosciuto come esito della nostra naturale matrice corporea. Il corpo ritorna, come punto di partenza e punto di arrivo della possibilità di comprenderci e riconoscerci, grazie all’esperienza estetica» (pp. 224-225). Corpo, cervello, mente sussistono nella relazione, secondo un continuum (cfr. pp. 17.18.91.115); per cui, la mente viene concepita – oltre che come «relazionale» (p. 47) – in quanto «corporea» (p. 190).
La realtà della relazione – sottolineano Gallese-Morelli – necessita dell’allostasi, «la reciproca regolazione tra sé e altro da sé» (p. 29); e si accompagna, necessariamente, con l’empatia: il «sentire con l’altro» (p. 38). «La più diretta forma di esperienza dell’altro è quella che ci fornisce l’empatia, cioè la capacità di sentire con l’altro» (p. 64); «c’è empatia nella nostra relazione con lo spazio, e non è una scelta» (p. 249).
La «mancanza» (pp. 46.118), la «vulnerabilità» (pp. 117.119.244) e il «riconoscimento» (pp. 67.169.255) generano la reciprocità: «Stabiliamo con l’ambiente e con gli altri una relazione di reciprocità che ci precede ed è una condizione necessaria» (p. 115); tuttavia, chiamano in causa anche l’educazione (cfr. pp. 97.103.195). Ci riscopriamo – fino alla fine dei nostri giorni – imperfetti (cfr. p. 142); ma, proprio in virtù di questo stato, siamo chiamati alla ascesi: «è perché diveniamo e siamo capaci di tendere oltre ciò che è, verso quel che significa; è perché continuamente ci trascendiamo che, tra l’altro, siamo umani» (p. 215; cfr. pp. 229.238).
Il libro ci consegna una vocazione, e anelito insieme, quella della bellezza: «La bellezza rivela quello che senza la sua esperienza non avremmo sentito e incontrato, e allo stesso tempo, per farlo, ri-vela, pone un nuovo velo, una nuova soglia, una nuova domanda che prima di quella esperienza non saremmo stati in grado di porci. La bellezza non si lascia ricondurre a uno stato perpetuamente cristallizzato nella propria fissità. L’evento o l’avvento della bellezza è sempre un processo, una tensione: quest’ultima è, probabilmente, lo stesso modo di essere della bellezza. Con la bellezza siamo di fronte a uno slancio continuamente ripetuto, che ogni volta si presenta come nuovo» (p. 236); proseguendo nella lettura, scopriamo ancora più approfonditamente: «La bellezza sembra essere frutto di una vista superiore alla vista sensibile, l’epopteia, cioè la capacità di vedere più in là. Ciò ci porta oltre il primato dell’occhio e della visione come fondamenti dell’esperienza di bellezza, accreditando la rilevanza del corpo e del movimento. Se l’esperienza di bellezza è connessa a quella estetica, non può essere ridotta alla visione e al piano sensibile, ma esige il coinvolgimento corporeo emozionale. […] Se non ci consegniamo alla riduzione del concetto di bellezza alla cosmesi, all’esteriorità o alla classica isola che si staglia dallo sfondo configurando uno stato di eccezionalità, allora è nei labili confini tra la creatività, l’esperienza estetica e l’immaginazione che dobbiamo provare a cercare» (p. 237).
“Cosa significa essere umani?” è un testo dall’impronta fortemente psicologica, che inquadra la realtà antropologica secondo le centrali categorie di: corporeità, emozioni, noità, relazione.