“Una buona e una cattiva notizia. Hanno trovato il cadavere di don Paolo Dall’Oglio in un cimitero di Frousia a Raqqa. Un gruppo di specialisti è partito da Raqqa e hanno potuto identificare il suo cadavere”. Queste le parole del vescovo di Qamishlie in Siria sulla rivista Oggi. Il nunzio, mons. Zenari, è stato avvertito ieri sera del ritrovamento.
Dopo undici anni di silenzio e speranza, arriva dalla Siria una notizia che potrebbe finalmente gettare luce sul destino di padre Paolo Dall’Oglio. Il vescovo di Qamishlie, nel nord del paese, ha rivelato in esclusiva che un corpo compatibile con quello del gesuita romano sarebbe stato rinvenuto in una fossa comune nei pressi di Raqqa. Una squadra di specialisti è già al lavoro per le necessarie verifiche. Se confermata, la scoperta chiuderebbe una delle pagine più dolorose della recente storia religiosa e politica del Medio Oriente.
Una vocazione nata dal dialogo
Nato a Roma nel 1954, Paolo Dall’Oglio ha consacrato la sua esistenza al dialogo tra cristianesimo e islam. Laureato in lingua araba a Napoli e in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, aveva scelto come tema della sua tesi una scommessa profonda e coraggiosa: Speranza nell’Islam. Gesuita dal 1975 e ordinato sacerdote a Damasco nel 1984 nel rito siro-cattolico, non ha mai smesso di cercare ponti tra le fedi, le culture e le persone.
Il sogno di Mar Musa
È sulle colline a nord di Damasco che padre Paolo ha tradotto la sua visione in un’esperienza concreta: nel monastero di Deir Mar Musa al Habashi (San Mosè l’Abissino), che scoprì nel 1982 abbandonato e semi-distrutto, ha dato vita a una comunità monastica fondata su accoglienza, preghiera e dialogo. Con l’aiuto di volontari provenienti da tutto il mondo, ha restaurato pietra dopo pietra quel complesso fondato nel VI secolo, trasformandolo dal 1991 un un monastero, che subito divenne in un laboratorio vivente di convivenza. Qui, cristiani e musulmani si sono incontrati, hanno condiviso la vita, hanno pregato insieme. Mar Musa è diventato un simbolo per la Siria e per l’intero Medio Oriente, in un contesto in cui il regime di Bashar al-Assad aveva esasperato le divisioni comunitarie e religiose.
Contro la paura, fino all’ultimo
Padre Dall’Oglio non è stato solo un uomo di fede, ma anche un instancabile testimone di giustizia. Quando, nel 2011 e nel contesto della primavera araba, il regime siriano ha iniziato a reprimere nel sangue le proteste popolari, padre Paolo ha scelto da che parte stare: con i poveri, con i prigionieri, con chi chiedeva libertà. La sua voce, sempre più scomoda, è stata messa a tacere nel giugno del 2012 con l’espulsione forzata dalla Siria. Ma non si è fermato. L’anno successivo è rientrato clandestinamente nelle aree controllate dai ribelli. Voleva trattare il rilascio di ostaggi nelle mani di un gruppo jihadista che si sarebbe presto trasformato nell’ISIS. A Raqqa, nel luglio 2013, il suo ultimo gesto di mediazione si è concluso nel silenzio della scomparsa.
Una missione che continua
A Deir Mar Musa, la comunità che lui ha fondato non ha mai smesso di accendere candele per lui, né di custodire il suo sogno. Nelle pietre del monastero, nei volti di chi ancora prega e lavora, nel legame indissolubile tra cristiani e musulmani, vive la sua eredità spirituale. Una vocazione, la sua, che ha saputo incarnare il Vangelo là dove molti vedevano solo confini, sospetti e ostilità.
La speranza oltre la morte
Il ritrovamento del corpo, se confermato, non sarebbe soltanto la conclusione di un mistero, ma l’epilogo di una testimonianza radicale, vissuta fino al martirio. Paolo Dall’Oglio non ha cercato il palcoscenico, ma la fedeltà a una chiamata: essere “fratello tra i fratelli”, anche nel cuore di un conflitto atroce. Il sangue versato a Raqqa, in nome della pace e del dialogo, non è stato inutile. È seme che ancora oggi continua a germogliare.
E forse ora, finalmente, potremo onorare la sua memoria con la verità.
Dal Tipico del monastero di Mar Musa, comprendente gli statuti della confederazione monastica Al-Khalil.
Questo testo ha ricevuto il «nulla osta» della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2006.
Estratto dall’introduzione
1. La peculiare vocazione del monastero di San Mosè l’Abissino e della Confederazione monastica al-Khalil (l’Amico di Dio) presenta tre priorità:
- la vita contemplativa secondo la tradizione siriaca e con un impegno spirituale nell’ambito del contesto cristiano vicino-orientale e arabo islamico;
- l’impegno nel lavoro manuale a partire dall’alto esempio della famiglia di Nazaret;
– l’ospitalità abramitica.
Estratto dal canone secondo
L’orizzonte è costituito dalla nostra consacrazione particolare all’amore di Gesù Redentore per i musulmani come persone e per il mondo musulmano in quanto Umma (Comunità). Questo fatto ci conduce a offrire la nostra vita affinché il lievito evangelico sia presente efficacemente nella società musulmana secondo lo spirito di discernimento, di speranza e di carità capace di trasformare le sofferenze di ieri e di oggi in una base per la mutua comprensione e il mutuo amore nella considerazione e nel rispetto reciproci. Questo amore di Cristo per i musulmani e le musulmane è un aspetto autentico del Suo amore per l’umanità intera e richiede d’essere realizzato secondo l’inno all’amore di san Paolo (1 Cor 13) e l’insegnamento del capitolo sesto del Vangelo di san Luca. D’altronde l’esercizio della carità non esclude il riconoscimento dei diritti della persona e dei gruppi umani né esclude la difesa delle minoranze. Al contrario, essa dona ai diritti il loro ultimo fine e la metodologia evangelica efficace in vista della loro salvaguardia.
Estratto dal canone tredicesimo
Tutti i membri della Comunità monastica, superiori o soggetti, dovranno osservare in modo fedele e perfetto il voto di consacrazione a Dio in questa via monastica orientale, nella castità, la povertà e l’obbedienza e così pure nella vita contemplativa, il lavoro manuale e l’ospitalità nell’orizzonte dell’offerta speciale di se stessi per esprimere l’amore del Signore Gesù per i musulmani e per il loro mondo musulmano.
Se vi è nel Vangelo un amore preferenziale, sarà per il povero, il piccolo e l’emarginato e anche in questo siamo impegnati interamente. Ogni membro di questa Comunità tenga sempre presente come sorgente della sua spiritualità questo Tipico assieme con i primi testi legislativi e spirituali esprimenti la particolarità di questa vocazione e di questo carisma (cfr. can. 426 del CCEO).
L’identità particolare della Comunità al-Khalil, in rapporto al mondo musulmano, obbedisce alla visione della Chiesa del Concilio Vaticano II e dell’insegnamento magisteriale successivo. La ricerca teologica in questo campo, tanto delicato e decisivo nella nostra epoca, è sicuramente un compito tra quelli peculiari della Comunità. Tale impegno teologico è sempre unito all’afflato contemplativo e alla pratica del dialogo della spiritualità, di quello dell’impegno sociale comune, e di quello del dialogo della vita, che caratterizzano la nostra esperienza.
Estratto dal canone quattordicesimo
I chierici del monastero dovranno aver acquisito un’autentica sensibilità liturgica orientale, tanto teorica che pratica, sotto la guida di esperti riconosciuti tali. Essi dovranno anche sviluppare una profonda sensibilità ecumenica radicata nella teologia patristica, nella conoscenza delle tappe percorse dal movimento ecumenico e nella dottrina cattolica. Così pure dovranno aver acquisito un’adeguata conoscenza del mondo musulmano nel contesto del quale esercitano il loro ministero ecclesiale.
Estratto dal canone sessantaquattresimo
Avranno tutti una grande devozione per la croce del Salvatore innalzata nella chiesa del monastero. Loderanno l’uso di portare la croce al collo o tatuata, secondo le usanze più equilibrate dei cristiani locali. Nel caso che la carità discreta e il discernimento missionario – non il timore umano, la tiepidezza della fede, un atteggiamento secolaristico o la paura del martirio – consigliassero, e specialmente in ambiente musulmano, di non esporre la croce sull’abito, sostituendola o meno con un altro segno cristiano, si ricorderanno d’essere chiamati a un’unione sempre più perfetta con il Cristo servo umile e sofferente per la redenzione d’ogni uomo. Ogni decisione in proposito sarà presa dalla sinassi ordinaria.
Canone ottantaseiesimo
I monaci e le monache della Confederazione al-Khalil si sono candidati, per il fatto stesso della consacrazione monastica e spinti dall’amore, al martirio in tutte le sue forme; il martirio della fatica, il martirio della malattia, il martirio del fallimento, il martirio dei propri cari e della famiglia come il martirio del sangue e il martirio dell’obbedienza e della pazienza. Ciascuno rinnovi questa offerta perfetta ogni giorno ringraziando Iddio della grazia della partecipazione alle sofferenze di Cristo nell’orizzonte della luce della vita eterna.
Estratto dal canone ottantasettesimo
I membri della Comunità monastica che muoiono nel monastero nella speranza della vita eterna, siano sepolti nel cimitero del monastero nel modo adatto alla nostra vocazione particolare e secondo quanto sia noto dei desideri del morto.
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