La festa di Santo Stefano – Protomartire della Chiesa – acquista un significato profondo, quest’anno, con papa Francesco: egli, infatti, in questo giorno, si è recato presso la casa circondariale di Rebibbia, dove ha voluto aprire la seconda porta santa del Giubileo e celebrare la santa messa. Lo ha affermato il Pontefice stesso nella sua omelia: «Ho voluto spalancare la Porta, oggi, qui. La prima l’ho aperta a San Pietro, la seconda è vostra. È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere. Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza»; per poi proseguire, invitando ciascuno alla riflessione: «A me piace pensare alla speranza come all’àncora che è sulla riva e noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terraferma (cfr Eb 6,17-20). Non perdere la speranza. È questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi. Io il primo. Tutti. Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai. Delle volte la corda è dura e ci fa male alle mani … ma con la corda, sempre con la corda in mano, guardando la riva, l’àncora ci porta avanti. Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa che ci fa andare avanti. La corda in mano e, secondo, le finestre spalancate, le porte spalancate. Soprattutto la porta del cuore. Quando il cuore è chiuso diventa duro come una pietra; si dimentica della tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili – ognuno di noi ha la propria, più facile, più difficile, penso a voi –
sempre il cuore aperto; il cuore, che è proprio quello che ci fa fratelli. Spalancate le porte del
cuore. Ognuno sa come farlo. Ognuno sa dove la porta è chiusa o semichiusa. Ognuno sa».
Francesco lo ha sottolineato, con forza: «Due cose vi dico. Primo: la corda in mano, con l’àncora della speranza. Secondo: spalancate le porte del cuore. Abbiamo spalancato questa, ma questo è un simbolo della porta del nostro cuore. Vi auguro un grande Giubileo. Vi auguro molta pace, molta pace».
Durante la consueta preghiera dell’Angelus, Bergoglio si è soffermato sulla testimonianza di fede di santo Stefano (cfr. At 6,8-12; 7,54-60); ed ha evidenziato il suo spirito misericordioso: «Questo ci fa riflettere: anche se a prima vista Stefano sembra subire impotente una violenza, in realtà, da uomo veramente libero, continua ad amare anche i suoi uccisori e ad offrire la sua vita per loro, come Gesù (cfr Gv 10,17-18; Lc 23,34); offre la vita perché si pentano e, perdonati, possano avere in dono la vita eterna. In questo modo, il diacono Stefano ci appare come testimone di quel Dio che ha un solo grande desiderio: “che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4) – questo è il desiderio del cuore di Dio –, e che nessuno vada perduto (cfr Gv 6,39; 17,1-26). Stefano è testimone di quel Padre – il nostro Padre – che vuole il bene e solo il bene per ciascuno dei suoi figli, e sempre; il Padre che non esclude nessuno, il Padre che non si stanca mai di cercarli (cfr Lc 15,3-7), e di riaccoglierli quando, dopo essersi allontanati, ritornano pentiti a Lui (cfr Lc 15,11-32) e il Padre che non si stanca di perdonare. Ricordate questo: Dio perdona sempre e Dio perdona tutto».
Il Vescovo di Roma ha concluso le proprie riflessioni, consegnando a tutti i cristiani queste domande: «Chiediamoci allora, ognuno di noi: sento io il desiderio che tutti conoscano Dio e tutti si salvino? So volere il bene anche di chi mi fa soffrire? Mi interesso e prego per tanti fratelli e sorelle
perseguitati a causa della fede?».