Periodico di informazione religiosa

«PRENDETE, MANGIATE, QUESTO È IL MIO CORPO». Una delle tavolette del ciclo eburneo di Salerno

by | 9 Giu 2023 | Cultura

Al Museo Diocesano di Salerno è custodita una tra le più grandi raccolte di tavolette istoriate in avorio che si siano conservate di età medievale. Il ciclo eburneo, pur totalmente smembrato, si compone di settantadue tavolette, di esse: sessantaquattro sono esposte a Salerno, mentre gli altri esemplari sono presso musei stranieri. La loro realizzazione oscilla tra il 1084 – anno della dedicazione della cattedrale di San Matteo per mano di papa Gregorio VII – e la metà del XII secolo. La lavorazione risente degli influssi romanici e bizantini per mezzo della tecnica ad incisione effettuata direttamente sulle formelle eburnee, le immagini invece attingono a repertori paleocristiani e tardo-antichi e la loro disposizione avviene in senso orizzontale per quanto riguarda le scene dell’Antico Testamento, e in senso verticale per gli episodi neotestamentari.

La prima fonte che ne dà testimonianza risale al 1510, mentre il primo elenco dettagliato delle opere è datato al 1575. Tra il XVII secolo e la metà del XX, le tavolette erano state assemblate nel paliotto dell’altare della Cappella del tesoro del duomo di Salerno. L’assenza di fonti antiche che impedisce una ricostruzione storico-liturgica delle opere ha stimolato sempre più gli studiosi ad avanzare ipotesi sulla genesi di questi oggetti e sulla funzione originaria che avrebbero svolto all’interno dello spazio liturgico.

Come la Parola scritta segna la sacra pagina, così gli avori sono un racconto scolpito della Storia della Salvezza che celebriamo nella liturgia. Proprio per questo, chi li osserva è chiamato a leggerli tenendo presente il valore teologico che in esso è figurato.

La ‘tavoletta eucaristica’: dal monte della moltiplicazione dei pani alla mensa del Cenacolo

La storia dell’arte ci consegna una diversità di opere rappresentanti il mistero Eucaristico. Tra i numerosi esempi si inserisce certamente una delle tavolette eburnee del Museo Diocesano ‘San Matteo’ di Salerno.

Il primo elemento su cui soffermarsi è l’espediente narrativo della doppia scena inserita in un’unica formella: in alto è raffigurato l’evento della moltiplicazione dei pani, riportato in tutti e quattro i Vangeli, in basso, la formella esibisce l’episodio del cenacolo, con la cena e la lavanda dei piedi. Con questa scelta, l’artista ha realizzato un unicum nella figurazione del tema in esame; infatti, la volontà di modellare i due eventi in un’unica tavoletta non è certamente secondaria. Riportando in una sola immagine i due grandi temi eucaristici, attraverso una lettura tipologica, il genio artistico dell’intagliatore ci permette di comprendere il significato della celebrazione che la Chiesa ci fa vivere nella prossima domenica: la solennità del Corpo e Sangue di Cristo.

  1. La Moltiplicazione dei pani

Nella sezione in alto è modellato l’episodio della moltiplicazione dei pani e in modo particolare il momento della distribuzione di questi. Nei Vangeli si riconoscono due eventi simili: il primo è narrato da Mt 14, 13-21, Mc 6, 34-44, Lc 9, 10-17, Gv 5, 1-15, mentre il secondo è riportato solo in Mt 15, 32-39 e Mc 8, 1-10. La fede delle prime comunità cristiane riconosceva nei pani moltiplicati il simbolo dell’Eucarestia, ecco perché l’arte dei primi secoli segnava i pani con una croce e spesso accostava la scena alla rappresentazione dell’episodio delle Nozze di Cana.

Sulla sinistra del pannello si riconosce il Cristo, segnato dall’aureola crociata, intento a distribuire i pani ai quattro apostoli. Mentre i primi due, con le mani coperte da un manto, ricevono il segno della moltiplicazione, gli altri due sono intenti a dispensarlo alle venti figure scolpite sul lato destro in un registro di cinque livelli. L’artista intaglia il momento successivo alla moltiplicazione. Difatti, l’intagliatore non segue il testo giovanneo dove si specifica come «Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero» (Gv 6, 11), ma esso rappresenta l’evento secondo il racconto sinottico, dove Gesù dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, «prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla» (Mc 8, 6). Quest’aspetto non è secondario. La scelta di raffigurare l’evento secondo i testi sinottici, permette all’artista di rappresentare una scena dal carattere dinamico: il pane dalle mani di Gesù passa nelle mani dei discepoli e da questi alla bocca della folla.

Le figure mostrano nella loro rappresentazione una gerarchia compositiva, tipica dell’arte bizantina: la dimensione dei personaggi è infatti stabilita sulla base dell’importanza del proprio ruolo; Gesù è necessariamente più grande dei discepoli, che a loro volta sono più grandi della folla. Proprio la moltitudine delle persone è suddivisa in conformità al racconto evangelico (cf. Mc 6, 10) e solo la parte inferiore è riservata alle donne, in netta minoranza (cf. Mt 14, 21). L’attenzione inoltre è posta alla mimica dei singoli personaggi. Mentre Gesù è austero, ritto con le mani tese verso i discepoli, questi a loro volta assumono un atteggiamento d’obbedienza e di servizio verso il comando del Cristo e verso la folla che attende affamata. La mimica dei componenti della massa è curata in ogni suo aspetto: c’è chi chiede il pane, chi lo riceve, chi lo passa al vicino, chi lo stringe tra le mani, chi lo porta alla bocca, chi guarda incredulo e chi discute con il compagno accanto. Se da una parte la catena umana figura il comando di Gesù «voi stessi date loro da mangiare», dall’altra le mani velate dei due discepoli sono chiaro riferimento alla fede nel mistero eucaristico. Questo segno è una chiara testimonianza dell’attenzione che le prime comunità cristiane riservavano per il Pane Eucaristico:

«Quando ti avvicini, non avanzare con le palme delle mani distese, né con le dita disgiunte; invece, fai della tua mano sinistra un trono per la tua mano destra, poiché questa deve ricevere il Re e, nel cavo della mano, ricevi il corpo di Cristo, dicendo “Amen”. Santifica dunque accuratamente i tuoi occhi mediante il contatto con il corpo santo, poi prendilo e fai attenzione a non perderne nulla» (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche).

La narrazione di questo fatto, completata e spiegata da Giovanni nel grande discorso del Pane di vita (Gv 6, 29-59), è un chiaro riferimento all’Eucarestia. Il centro della composizione non è Cristo, ma la ‘colonna di smistamento’ dei quattro discepoli. Attenti alla distribuzione del pane, questi mostrano come

«il pane è considerato come immagine del corpo di Cristo perché fatto di molti grani di frumento che, macinati, impastati, con l’acqua e cotti al fuoco, diventano segno complessivo della comunione di molte persone battezzate nell’acqua e nel fuoco dello Spirito Santo, persone che diventano a loro volta l’unico corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa» (Gaudenzio di Brescia).

Il vero miracolo non è quello della moltiplicazione dei pani, assente nella rappresentazione della formella, ma si realizza nella capacità di condivisione, segno esplicito del ‘fare Eucarestia’. In questa lettura le mani degli Apostoli sono figura delle mani della Chiesa, che da Cristo giungono all’uomo (cf. SC 2; LG 11). Il pane condiviso è segno della comunione in Cristo, centro e fondamento dell’esistenza cristiana (cf. SC 10). Allora, come la folla, seduta e attenta alla parola del Maestro, così anche la comunità dei credenti è chiamata a sedere con Lui per nutrirci della sua Parola e del Pane di vita.

  1. Il cenacolo: la lavanda dei piedi e la cena con il traditore

In Occidente, durante il Medioevo – pensiamo ai mosaici di Ravenna – si diffuse la composizione nota come “Ultima Cena”. Gli avori di Salerno vanno compresi alla luce di questo sviluppo figurativo.

Dal monte della moltiplicazione, l’intagliatore delle formelle salernitane ci porta nel Cenacolo, luogo d’inizio e di ritrovo della Chiesa nascente. La scena dell’ultima cena, posta nella parte inferiore della tavoletta, è particolarmente significativa. Prima di tutto è bene comprendere a quali brani l’autore attinge per la rappresentazione. In un primo momento sembra di guardare ad una delle tante rappresentazioni dell’Istituzione dell’Eucarestia, ma in verità la scena allude ad un altro momento o meglio ancora ad altri due eventi accaduti durante la cena: l’indicazione del traditore e la lavanda dei piedi (cf. Mt 26, 20-25; Mc 14, 17-21; Lc 22, 21-23; Gv 13, 1-30). L’unione dei due episodi è comune all’iconografia bizantina, romanica e gotica, per il significato, che ad essi fu dato: come infatti la lavanda dei piedi fu preludio alla cena, così il sacramento della Penitenza, simboleggiato dalla lavanda, è preludio alla Comunione.

Stando alla rappresentazione e osservando attentamente alcuni particolari si può riconoscere la molteplice ispirazione dell’autore; mentre per la scena superiore, dove è inciso il momento in cui Cristo indica il traditore, segue la narrazione sinottica, per la rappresentazione della lavanda dei piedi si fa uso dell’unico racconto riportato da Giovanni. 

       La lavanda dei piedi

Seguendo la narrazione giovannea (Gv 13, 1-11), la rappresentazione della lavanda dei piedi si pone in continuità con quella tradizione iconografica che ne sottolineava i caratteri fondamentali in modo semplice e chiaro. L’arte bizantina ha sempre raffigurato l’episodio in diversi modi; qualche volta si vede Gesù che lava un piede a Pietro o che l’asciuga o, come nel caso di Salerno, che è modellato in un atteggiamento chino, mentre benedice e guarda l’Apostolo. Pietro, con le gambe nude e con il piede destro posto nel raffinato catino, è il primo delle sette figure colte mentre slacciano i calzari. L’interessante posizione dell’Apostolo rende la scena dinamica e suggestiva; Pietro, fissando il Maestro, è figurato mentre porta la mano destra alla testa, chiaro riferimento alle parole: «Signore non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!» (Gv 13, 9).

Altri due particolari da sottolineare sono la veste e il grembiule: la prima è posta sopra il cubo posizionato nell’angolo sinistro (Gv 13, 4), il secondo stringe i fianchi del Maestro. Il grembiule, insieme al catino, si distinguono per la loro realizzazione; questo non solo come scelta estetica ma soprattutto come fatto simbolico in quanto vanno a marcare l’insegnamento di Gesù (cf. Gv 13, 12-17). Con queste parole di Gesù – il rito della lavanda dei piedi – entra all’interno dei fatti accaduti in quel “Giovedì Santo” ricordati nella Tradizione viva della Chiesa, i cui pilastri teologici e dottrinali sono due: l’istituzione dell’Eucaristia e l’istituzione del Sacerdozio.

La cura di alcuni elementi, oltre ad esprime la fede dell’artista, comunica il significato profondo della lavanda: Gesù, con la lavanda dei piedi, ha voluto rappresentare simbolicamente la sua donazione sacrificale per la salvezza dell’umanità nell’umiliazione della morte in croce, insita in un potere straordinario e divino ora trasmesso agli Apostoli nell’ultima cena con l’Istituzione del sacerdozio e dell’Eucarestia.

L’indicazione del traditore

Partendo dal lato sinistro, in alto, si riconosce Gesù, segnato dall’aureola crociata e con in mano il rotolo delle Scritture, sdraiato insieme agli Apostoli intorno alla tavola. Quest’ultima, coperta da una lunga tovaglia che funge da separazione dalla scena sottostante, è apparecchiata in modo essenziale con dodici pani e un vassoio con un pesce.

Un’attenzione particolare va a questo simbolo che diventa fin dai primi secoli immagine di Cristo. Mentre nella scena superiore l’autore ha messo in evidenza soltanto il segno dei pani, ora il secondo elemento moltiplicato è presente sulla tavola nel cenacolo: «Prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero» (Gv 6, 11). È facile intravedere nei gesti e nelle parole del Signore un intimo legame con i segni e con le parole della prima Eucaristia: «Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”» (Mc 14, 22-24). In questa simbolica, sia il pane che il pesce hanno un importante significato cristologico. Il simbolismo eucaristico è esplicito: il pane e il vino consacrati nella Messa diventano IXƟYƩ, cioè corpo e sangue di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, di Gesù che si offre in cibo ai cristiani come farmaco di immortalità per la vita eterna (cf. Gv 6, 53-58).

Ritornando alla tavoletta, accanto a Gesù si riconosce un uomo barbuto, forse Pietro. Questo elemento va a smentire ciò che Giovanni ripota nel suo Vangelo (cf. Gv 13, 23-24). La rappresentazione non figura nessun capo chino ma semplicemente un uomo dall’espressione turbata e perplessa, chiaro riferimento al racconto sinottico. Tra gli Apostoli si riconosce Giuda figurato nell’atto di allungare la mano nel piatto centrale: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà» (Mt 26, 23). Posto di fronte al Messia e allontanato dallo sguardo dei discepoli che gli sono accanto, il traditore è posto al centro dell’attenzione insieme a Gesù. Addirittura, guardando attentamente alla scena si nota uno dei dodici, il primo all’opposto della tavola, che si copre il volto per non guardare. Gli apostoli parlano tra loro, alcuni mostrano le spalle, altri voltano leggermente i volti severi. I loro busti coperti con delle tuniche essenziali, aumenta l’austerità della scena. Alle parole di Gesù un senso di paura mescolato allo stupore avvolge tutti i commensali: «Ed essi profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: “forse sono io, Signore?”» (Mt 26, 22).

L’artista è riuscito ad esprimere con eleganza la potenza del momento drammatico che trova il suo apice nello sguardo fisso di Gesù verso Giuda e nella mano tesa del traditore.

  1. «Signore dacci sempre questo pane»: per una lettura d’insieme

 Se da una parte l’artista delle formelle salernitane ‘tace’ sull’istituzione dell’Eucarestia, dall’altra ci offre una chiara catechesi sul sacramento. Le parole più antiche che ci parlano dell’Eucarestia sono di Paolo (1Cor 11, 20-26) e di Luca (Lc 24, 35; At 2, 42). Ma come si è visto, i contenuti che stanno all’origine della celebrazione eucaristica sono più vasti del riferimento unico all’ultima cena. Questa è considerata ‘ultima’ in quanto culmine di una lunga esperienza di conviti con il Signore, nei quali egli ha annunciato il regno, è ‘nuova’, perché in essa il Maestro dona un testamento espresso nel segno della lavanda.

È in questa pedagogia che vanno tenute insieme le due scene dell’unico evento riportate nella tavoletta. Nella vita della Chiesa la liturgia è evento di comunione; luogo dell’ascolto della Parola e dell’accoglienza del Pane spezzato. L’opera in esame, com’è stato già sottolineato, era inserita nello spazio liturgico. Questa si poneva a servizio del culto divenendo parte di un annuncio che è incontro con Cristo e con i fratelli. La celebrazione dell’Eucarestia non è mai un atto di un singolo ma di una comunità. Questo si è visto nella condivisione del pane nella prima parte della formella ed è sottolineato ancora meglio nella rappresentazione inferiore dell’opera. Il Giovedì Santo pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito: «il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (Messale Romano, Prefazio della Santissima Eucarestia, I). Insieme al pane e al vino, simboli eucaristici, un grembiule e un catino sono i segni visibili di un testamento d’amore (cf. Gv 13, 12-15). Mentre nel dono dell’Eucarestia troviamo il farmaco per la vita (cf. 1Cor 11, 26), nell’acqua versata sui piedi riconosciamo il significato nuziale dell’amore (cf. Gv 13, 1).

Dono: è la parola chiave di quest’opera. Il grembiule della lavanda, insieme al Pane spezzato della moltiplicazione e della cena, è segno di questa smisurata gratuità: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8).

tavolette 1Particolare delle tavolette in avorio conservate nel Museo Diocesano “San Matteo” – Museo degli Avori, dell’Arcidiocesi di Salerno

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