Periodico di informazione religiosa

Accusare se stessi. Papa Francesco e Doroteo di Gaza 

da | 22 Dic 2024 | Vita ecclesiale

Nel discorso di auguri alla Curia romana, Papa Francesco ha fatto riferimento ad alcuni autori del monachesimo antico, come Basilio ed Evagrio, e in particolare a Doroteo di Gaza, monaco del VI secolo. Gaza, città di frontiera e crocevia di popoli e culture differenti, dal clima temperato e dal terreno fertile e ricco d’acqua, dall’inizio del V secolo divenne un fiorente centro cristiano, con importanti comunità monastiche dove eremiti e monaci vivevano in fecondo accordo. Non è la prima volta che questa scuola monastica affiora sulle labbra e sui testi del Santo Padre: a partire da quel gesto simbolico del suo pontificato, quando chiese ai fedeli di pregare per lui prima di impartire la benedizione. Un gesto che trova senso alla luce della spiritualità dei monaci di Gaza, in particolare Doroteo, che poneva grande enfasi sulla preghiera intercessoria “gli uni per gli altri” (cfr. Gc 5,16) come espressione di fede e comunione ecclesiale. Inoltre poco dopo l’elezione a papa del card. Jorge Mario Bergoglio, è stato tradotto in italiano con il titolo “Umiltà, la strada verso Dio” (Bologna, 2013) un suo libro, originariamente intitolato “Sobre la acusación de sí mismo”. È un piccolo saggio di spiritualità scritto nel 1984 per gli studenti gesuiti e riproposto poi nel 2005 da vescovo di Buenos Aires ai preti della sua diocesi, incentrato sugli scritti di Doroteo di Gaza alla luce della spiritualità ignaziana. 

Pregare gli uni per gli altri

Secondo i monaci di Gaza, la preghiera è più di un gesto privato e di un atto individuale; è un itinerario spirituale che coinvolge tutta la comunità. Doroteo di Gaza illustra l’importanza della preghiera vicendevole attraverso aneddoti e insegnamenti, mostrando come questa esprima umiltà e fiducia negli altri, specialmente nei padri spirituali. Già San Paolo invitava i cristiani a “portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2), un principio che Doroteo applica nella vita monastica, mostrando come ciascuno possa essere strumento di salvezza per l’altro. Questo si concretizza, ad esempio, nella cura dei giovani novizi o nell’accettazione delle difficoltà per amore del prossimo. L’enfasi di Papa Francesco sulla preghiera per il prossimo è un invito a riconoscere che la nostra salvezza è legata a quella degli altri, in un profondo senso di comunione nel Corpo di Cristo; Barsanufio, un altro monaco di Gaza, vedeva questa pratica come fondamentale per il giudizio finale, quando i santi presenteranno a Dio coloro che hanno aiutato a salvare.

L’accusa di sé stessi 

Ma il tema chiave del discorso di Papa Francesco è stata la pratica dell’autoaccusa. Nell’introduzione del 2005 Bergoglio, come vescovo di Buenos Aires, esortava i suoi preti a non parlare male gli uni degli altri: “contro questo spirito [parlare male degli altri] la tradizione cristiana, fin dai primi Padri del deserto, propone la pratica dell’accusa di se stessi”. Per Doroteo, nell’accusa di sé il monaco riconosce le proprie colpe anziché puntare il dito contro gli altri: una virtù, questa, strettamente legata all’umiltà, che riflette la disposizione di Cristo che ha assunto su di sé i peccati dell’umanità. Doroteo sottolinea che l’incapacità di autoaccusarsi fu il peccato originale di Adamo ed Eva, che preferirono invece accusarsi a vicenda. La grande lotta del cristiano è tutta nell’ascesi interiore, nella disciplina dell’ego, nella rinuncia alla volontà propria per cercare il bene comune e acconsentire alla volontà di Dio. “In questa casa sono entrate tutte le virtù tranne una e senza di essa l’uomo fatica a stare in piedi”, diceva abba Poemen, un padre del deserto. “Gli chiesero quale fosse ed egli disse: “Che l’uomo rimproveri se stesso”.  In una sua istruzione tutta dedicata al tema dell’autoaccusa, Doroteo raccontava di situazioni di vita quotidiana nel suo monastero che potrebbero descrivere anche le nostre. Eccone un esempio:

“Una volta vennero da me due fratelli che erano in collera l’uno con l’altro. Il più anziano diceva del più giovane: “Io gli ordino qualcosa e lui si irrita e anch’io mi irrito pensando che, se si fidasse di me e mi amasse, accoglierebbe con piena fiducia quello che viene da me”. Ma anche il più giovane diceva: “Perdonami, mio signore; lui non mi dice le cose con timore di Dio, ma con la volontà di darmi ordini, e credo che per questo il mio cuore non ha piena fiducia come dicono i padri”. Notate come i due si muovevano rimproveri a vicenda e nessuno dei due rimproverava se stesso. Altri due ancora, irritati l’uno contro l’altro, si fecero una metanìa [inchino, prostrazione], ma rimanevano diffidenti; uno dei due diceva: “Non mi ha fatto la metanìa con il cuore e per questo non mi fido; lo dicono anche i padri”. Vedi l’illusione, mio caro? Vedi la distorsione del pensiero? Dio sa; mi stupisce il fatto che anche i detti dei padri li prendiamo per servire le nostre volontà malvagie e per la rovina delle nostre anime. Occorreva che ciascuno di loro rivolgesse il rimprovero a se stesso e l’uno dicesse: “Non ho fatto la metanìa al fratello di cuore e per questo Dio non gli ha dato
fiducia”. E anche gli altri due, quelli di cui ho parlato prima di questi, il primo infatti avrebbe dovuto dire: “Io parlo con arroganza e per questo Dio non ha messo la fiducia nel mio fratello”, mentre l’altro avrebbe dovuto dire: “Mio fratello mi dà ordini con umiltà e con amore, ma io sono ribelle e non ho timore di Dio”. Nessuno di loro invece trovò la via rimproverando se stesso, ma gettò la colpa sul suo prossimo”.

Artigiani di benedizione

Per questo non riusciamo a progredire, osserva Doroteo. Non troviamo giovamento in alcuna cosa e restiamo tutto il tempo a rimuginare sui nostri pensieri gli uni contro gli altri e a tormentare noi stessi. Ciascuno, giustificandosi, permette a se stesso di non osservare nulla, e dal prossimo invece pretende che osservi i comandamenti. E quale soluzione prospetta Doroteo? “Così facciamo anche noi: lasciamo perdere Dio, il quale permette che ci assalgano le prove in vista della purificazione dei nostri peccati, e corriamo contro il prossimo dicendo: “Perché mi ha detto questo? E perché mi ha fatto quest’altro?”. E mentre potremmo trarre un grande giovamento da tali cose, invece tendiamo insidie a noi stessi, senza riconoscere che tutto avviene per provvidenza di Dio a utilità di ciascuno. Dio ce lo faccia capire grazie alle preghiere dei santi”. Così papa Francesco ha ammonito la Curia: tutti sono chiamati a diventare artigiani di benedizione con il lavoro quotidiano, “specialmente quello più nascosto; ognuno di noi può contribuire a portare nel mondo la benedizione di Dio”.

Ultimi articoli

Author Name