La dolce antifona della XXXI domenica sembra avvolgere il fedele col movimento delle ali, come espresso dal settimo modo, il modo “angelico”, per ricordarci che la presenza evangelica è sempre «amorevole in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature» (1Ts 2,7).
«Ne derelínquas me, Dómine Deus meus, ne discédas a me: inténde in adjutórium meum, Dómine virtus salútis meae. (Non abbandonarmi, Signore Dio, da me non stare lontano; accorri in mio aiuto, Signore mia salvezza.) – cfr. Sal 37,22.23 Vulg».
Il contrasto con la durezza dei testi odierni è evidente, ma in realtà è proprio l’antifona della XXXI domenica che li illumina. Mentre Dio ammonisce con severità i suoi sacerdoti: «Voi vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento» (Ml 2,8) e «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno» (Mt 23,3), sembra tendere le braccia per sollevarci «come un bimbo svezzato in braccio a sua madre» (Sal 8). Nella melodia, questo gesto ascensionale è espresso più volte dalla successione di tre note ascendenti (scandicus), sulle parole Deus meus, meum, Domine virtus salutis. E l’invocazione «Ne discedas a me: intende in adiutorium meum [Non allontanarti da me; accorri in mio aiuto]» è espressa mantenendo con fermezza la stessa nota. Dio discese dal cielo per la nostra salvezza. Il meae finale evidenzia graficamente questa discesa. Per ricordarci sempre che: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,12).
Raffaele Talmelli e Giovanni Corbelli