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Card. Fernández, la sapienza è nel flusso reciproco tra teologia e vita

da | 9 Apr 2025 | Vita ecclesiale

Nel cuore della riflessione del Cardinale Víctor Manuel Fernández, Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, si colloca una domanda radicale e concreta: “Che rapporto c’è tra teologia e vita?” Una questione che attraversa secoli di pensiero spirituale e che oggi risuona con rinnovata urgenza nel contesto ecclesiale e culturale contemporaneo.

Fernández, profondamente influenzato dalla scuola francescana, in particolare da San Bonaventura, propone una teologia non accademicamente autoreferenziale, ma “incarnata”, come lui stesso ha espresso nel suo volume “Teologia spirituale incarnata”. Questo approccio si manifesta come una spiritualità che trasforma, che abbraccia la vita concreta, e che trova la sua piena espressione nell’incontro con Cristo.

San Bonaventura: dalla scienza alla sapienza per mezzo della carità

Il cuore pulsante della riflessione del Cardinale è la distinzione, cara a San Bonaventura, tra scientia e sapientia. Bonaventura afferma con forza che “non est securus transitus a scientia ad sapientiam” (In Hexaem., 19,3): non è garantito che la conoscenza intellettuale conduca alla sapienza, cioè alla conoscenza vissuta e trasformante.

Il passaggio, dice Bonaventura, necessita di un medium, un ponte, che egli identifica come esercizio spirituale“transitus autem est exercitium” (ib.). Soltanto attraverso l’esercizio della carità, la contemplazione si fa vita e la conoscenza diventa sapienziale.

Fernández sottolinea l’importanza di un ordine teleologico nello studio: si studia non per curiosità o gloria, ma “propter aedificationem suam et proximi” (De septem Donis, 4, 23). Una teologia che non costruisce l’amore è vana: “Fructus omnium scientiarum est caritas” (De reductione artium ad theologiam, 26).

La centralità dell’amore nel discernimento teologico

Per San Bonaventura, sottolinea il cardinale, la verità non è mai un concetto astratto, ma sempre orientata alla carità. In casi di dubbio tra due opinioni teologiche, Bonaventura suggerisce un criterio sorprendente: scegliere quella che “magis est consona pietati” (II Sent. 26, 1, 2), quella che conduce con più forza alla pietà, all’amore di Dio e del prossimo. Questo è il celebre argomento ex pietate, che illustra la visione profondamente integrativa della realtà propria della scuola francescana.

La sapienza al cuore del Vangelo

In linea con questa visione, Papa Francesco riprende e attualizza il concetto di sintesi teologica. Nel documento C’est la Confiance, descrive Santa Teresa di Lisieux come “dottore della sintesi”, il cui genio sta nel “portarci al centro, a ciò che è essenziale” (n. 49-50). Il suo invito è chiaro: ritornare al kerygma, al cuore del Vangelo, come criterio teologico ed esistenziale, dove l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa.

San Giovanni della Croce: il mistero che sempre ci supera

Accanto a Bonaventura, anche San Giovanni della Croce emerge come guida luminosa nella via teologico-mistica. Scrive: “Questo spessore di sapienza e conoscenza di Dio è così profondo e immenso che, sebbene l’anima ne sappia di più, può sempre entrare più in profondità” (Cantico Spirituale, 36,10-11). È la teologia della “santa insoddisfazione”, della ricerca mai conclusa, che rifiuta il fondamentalismo e abbraccia la boscaglia dell’incomprensibile, dove si cela la verità.

L’esperienza come via di conoscenza: Teresa d’Avila e Francesco di Sales

La teologia si nutre anche di esperienze vissute, come testimoniano Santa Teresa d’Avila e San Francesco di Sales. Quest’ultimo scrive:

“Non di conoscenza, ma di godimento; non di ammirazione, ma di affetto; non della scienza, ma dell’esperienza; non di vista, ma di gusto e di sapore” (Trattato dell’amor di Dio, V, 3).

Teresa d’Avila aggiunge:

“L’intelletto non ragiona, ma è occupato a godere di Dio come uno che guarda e vede così tanto che non sa dove guardare” (Vida, XII).

Questa sapienza affettiva è superiore a quella discorsiva e accademica. È la conoscenza per abbraccio, come la chiama Bonaventura (III Sent. 27,2,1,ad 6).

Teologia e comunicazione: la bellezza della verità condivisa

Il card. Prefetto insiste sulla dimensione comunicativa della teologia. Essa è autentica solo se può essere espressa nella lingua dell’altro. La verità non si custodisce in un’ampolla, ma si traduce, si incarna, si esprime con le parole, le metafore, i gesti. San Paolo VI affermava che il linguaggio evangelico deve essere “compreso antropologicamente”: non basta una corretta semantica, occorre entrare nelle categorie culturali, simboliche, affettive dell’uomo concreto. Si legge in due importanti documenti magisteriali: Evangelii Nuntiandi 78, “Il predicatore del Vangelo sarà colui che, anche a costo della rinuncia e del sacrificio, cercherà sempre la verità che deve trasmettere agli altri. Non vende né maschera mai la verità per il desiderio di piacere agli altri, per suscitare stupore, o per originalità o per desiderio di apparire. Non rifiuta mai la verità. Non la oscura per pigrizia nel cercarla, per comodità, per paura. Non smette di studiarlo”; Evangelii Gaudium 40: “A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo”

La croce: libro della sapienza

Nel momento conclusivo della conferenza, Fernández racconta il celebre aneddoto dell’incontro tra San Bonaventura e San Tommaso d’Aquino, rappresentato da un quadro di Zubarán: alla domanda sulla fonte della sua sapienza, Bonaventura indica il crocifisso: “Haec est logica nostra” (In Hexaem. 1,30). La croce è il luogo dove amore e verità si fondono, dove la teologia raggiunge il suo apice.

Conclusione: per una teologia contemplativa e operante

Il cardinale conclude la sua riflessione mostrando che la teologia è pienamente feconda quando si fa comunicazione contemplativa, quando lo studio, sorretto dalla preghiera e dal desiderio, infiamma la carità e rende più acuto l’intelletto. Il frutto più grande di tutte le scienze è la carità, il fine di tutte le conoscenze, e in particolare di tutta la Scrittura è quello di finire per stimolare un atto d’amore, chiosa Bonaventura.

Una teologia così concepita, conclude Fernández, non è solo per accademici o predicatori, ma è vocazione di ogni cristiano che cerca, contempla e vive il Vangelo.

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