Mercoledì 19 giugno 2025 in migliaia di aule italiane, con il fruscio delle buste che si aprono e l’adrenalina dell’inizio, ha preso il via la seconda prova scritta della Maturità Classica. Protagonista della giornata: Marco Tullio Cicerone, tornato – dopo ben 16 anni – tra i banchi della prova di latino con un brano estratto dal Laelius de amicitia, capitolo 26. Un ritorno solenne, e a suo modo storico: con questa, Cicerone diventa l’autore latino più tradotto della storia dell’esame di Stato dal dopoguerra a oggi, con ben 17 prove a suo nome.
Ma non è una scelta qualsiasi, quella del Ministero. In un tempo in cui le relazioni sono sempre più mediate da schermi e algoritmi, proporre un passo sulla amicizia vera è più che un esercizio di traduzione: è un richiamo. E la classicità, che sa parlare all’oggi proprio perché sa andare al cuore dell’umano, ci tende ancora una volta uno specchio e una domanda: che cos’è l’amicizia?
Cicerone, maestro di umanità
Nel Laelius de amicitia, Cicerone mette in scena un dialogo tra Gaio Lelio e i generi di Scipione l’Africano, poco dopo la morte di quest’ultimo. È un testo di straordinaria modernità, che riflette sulla natura, la necessità, e i limiti dell’amicizia. Il brano scelto dal Ministero, tratto dal capitolo 26, tocca il cuore del tema: l’amico come alter ego, come secondo sé stesso. Per Cicerone, l’amicizia non è legata all’utile né al piacere, ma alla virtù condivisa, alla comunanza di ideali, alla fedeltà morale.
Questa visione ha ispirato generazioni di filosofi, educatori e santi. Ed è anche la porta d’ingresso per un altro discorso, più profondo, che dalla sapienza classica sfocia nel mistero cristiano.
L’amicizia, via verso il divino
Agostino Trapé – grande teologo agostiniano del Novecento – lo afferma con forza: “L’amicizia è il concetto umano più adatto a comprendere il mistero della nostra unione con Dio.” Un’affermazione che non è solo teologica, ma profondamente esistenziale.
Tutti i grandi pensatori, da Platone a Tommaso d’Aquino, hanno cercato di definire l’amicizia: amore di benevolenza, amore reciproco, stabile, che si manifesta, che unisce, che crea comunione e valorizza la diversità. In queste proprietà, già descritte con forza da Cicerone, si intravede una traccia che la fede cristiana ha assunto e ampliato.
Nel cristianesimo, infatti, l’amicizia non si limita alla sfera umana, ma diventa cifra del rapporto con Dio. Dio è filantropo, Amico dell’uomo; è l’Amico fedele, che ama per primo, che si dona senza interesse, che desidera l’incontro con l’uomo. Come ha scritto Agostino, Dio “vuol farti Dio, non generandoti come il Figlio, ma adottandoti con la grazia”. In altre parole: Dio desidera un’amicizia vera, libera, reciproca e gioiosa con ciascuno di noi.
L’amicizia come scelta e vocazione
Non basta dunque l’affetto, né la simpatia: l’amicizia autentica, per Cicerone, è una chiamata alla verità. E per Agostino anche alla santità. È un cammino esigente e insieme liberante. È fondamento di ogni legame sociale sano, ed è anche il linguaggio spirituale della comunione con Dio. Non a caso, San Paolo ha parlato della vita cristiana come koinonia, ossia comunione; e San Giovanni ha annunciato che “la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo” (1Gv 1,3).
Nell’amicizia si supera la solitudine, si guarisce la frammentazione, si fonda una nuova identità: l’io che si apre all’altro diventa un noi. E questo vale in terra, tra gli uomini, ma anche in cielo, tra l’uomo e Dio.
Un messaggio per il nostro tempo
In un’epoca segnata da individualismo, crisi dei legami, ansia di prestazione, il ritorno di Cicerone alla maturità ha qualcosa di molto attuale. L’amicizia – quella vera – non è debolezza né sentimentalismo, ma forza e costruzione. È responsabilità. È impegno reciproco. È bellezza donata e ricevuta. È ponte tra le generazioni, tra il passato e il futuro, anche tra terra e cielo.
E questo messaggio, in fondo, è risuonato anche in tempi recenti dalla voce più alta della Chiesa.
Un Papa agostiniano che parla di amicizia
Non è un caso che Papa Leone, formato nella scuola spirituale di Sant’Agostino, abbia spesso parlato della comunità e della comunione come valore essenziale per la società, per la fede, per l’educazione.
Nell’omelia tenuta a San Giovanni in Laterano per la presa di possesso della Cattedra, disse che l’amicizia e l’amore cristiano sono le fondamenta della missione di Pietro e della Chiesa: un amore che nasce dall’esperienza personale dell’amore incondizionato di Dio e che si traduce in dono di sé agli altri, in servizio umile e fraterno.
Gesù affida a Pietro non il potere, ma la responsabilità di amare “di più”, sull’esempio del suo amore divino (agape), che accoglie anche i limiti e le cadute dell’altro. Pietro risponde con un amore di amicizia (philia), umano, sincero, ma chiamato a crescere e a diventare amore oblativo.
Questa è la vera autorità della Chiesa: non dominare, ma servire con amore, camminando insieme agli altri come fratelli. Tutti i battezzati, uniti da questo amore, sono “pietre vive” che costruiscono la Chiesa nella comunione, nella diversità e nell’amicizia evangelica.
E nell’omelia presieduta in occasione della Santissima Trinità ha detto: “Del resto, Dio non è statico, non è chiuso in sé. È comunione, viva relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che si apre all’umanità e al mondo .. Ecco perché lo sport può aiutarci a incontrare Dio Trinità: perché richiede un movimento dell’io verso l’altro, certamente esteriore, ma anche e soprattutto interiore. Senza questo, si riduce a una sterile competizione di egoismi”.
Un’eco perfetta di quel pensiero agostiniano in cui l’amicizia e l’amore sono la forma più alta di comunità. Perché l’amicizia autentica costruisce. E quando l’amicizia ha il volto di Dio, diventa anche redenzione. È attraverso l’altro – l’amico umano, l’Amico divino – che diventiamo più veri, più liberi, più noi stessi.
Conclusione: il futuro comincia con un “tu”
In fondo, la prova di oggi – tradurre un brano di Cicerone – è stata molto più di un esercizio scolastico: è stata un’esortazione culturale e spirituale. In una società che fatica a credere nelle relazioni durature, nel bene disinteressato, nella verità che si dona, questo antico testo ci ha ricordato che non siamo isole, che non si vive bene senza amici, e che Dio stesso ci ha chiamati amici (Gv 15,15).