Nel cuore del Trecento sconvolto dalla crisi del papato e dalle tensioni tra Avignone e Roma, una giovane donna senza titoli né cariche ecclesiastiche seppe parlare con una franchezza inaudita ai vertici della Chiesa. Caterina da Siena, laica e analfabeta, ma ardente di fede e di sapienza divina, si rivolgeva a papi, cardinali e re con la libertà dei profeti, mossa solo dal “dolce amore della verità”.
In una delle sue lettere più appassionate, indirizzata al cardinale Pietro di Luna (futuro antipapa Benedetto XIII), Caterina implora:
“Innamoratevi di questa verità, acciocché siate una colonna nel corpo mistico della santa Chiesa”.
E ancora, in un passaggio memorabile:
“Per amore della verità, elegge di voler morir prima che scordarsi della verità […] e non teme di perdere la vita; però che già ha disposto di darla per amore della verità”.
Questa è la cifra più profonda della sua missione: la verità come dono di Dio, da contemplare con “il lume della santissima fede” e da vivere fino al martirio. Il sangue di Cristo, afferma, è la chiave per capire il senso della nostra esistenza: “Nel sangue conosciamo la verità col lume della fede […] Allora l’anima s’accende e notricasi in amore di questa verità”.
Il suo sguardo non si ferma alla dottrina, ma scruta con dolore la realtà corrotta del clero:
“I frati mendicanti, […] si scordano della verità, e in pulpito la mengano […] per timore servile degli uomini, e per desiderio dell’offerta”.
È una denuncia netta, che la porta a invocare pastori santi e coraggiosi: “Voglia dunque [il Papa] riformi la sposa sua […] non solamente col suono della parola; perocchè, se si dicesse e non si facesse, questo non sarebbe cavelle”.
Le sue lettere ai cardinali insistono su un punto chiave: il conclave non può piegarsi ai calcoli politici o alle divisioni nazionali, ma deve essere spazio d’obbedienza allo Spirito.
“Siate padri, e non assassini. Non siate timidi per timore servile […] Che il sangue vi confonda se sarete negligenti!”, scriveva al concistoro.
Ai singoli porporati, invece, Caterina si rivolge come a figli e fratelli da ricondurre al coraggio evangelico:
“Siate virili, non femminelle timide, poiché Dio vi ha posti a muraglia”, scriveva al cardinale di Ostia.
E al cardinale portuense: “Confortatevi dunque, e siate pastore, non mercenario. Veggiate che non vi nasconda l’amore proprio, sotto specie di giustizia”.
Scrivendo a tre cardinali italiani, denunciava: “il veleno dell’amor proprio, che ha avvelenato il mondo“.
Per Caterina, la riforma della Chiesa inizia con la conversione personale, ma si attua nella responsabilità pubblica. Il Papa è il “Cristo in terra” e ha il compito di riformare la “dolce sposa” non solo con parole, ma con la potenza dell’esempio.
“Ditegli con cuore virile, che la riformi di santi e buoni pastori […] e che non lasci passare le colpe impunite”, scrive Caterina al cardinale di Luna, spronandolo a sollecitare il Pontefice.
In tempi di interdetti, scismi e scandali, Caterina da Siena diventa una voce scomoda e necessaria: invoca una Chiesa povera, libera dalla paura, pronta al sacrificio. E se i cardinali non avranno questo coraggio, se preferiranno l’ombra del compromesso alla luce della verità, lei non esita a condannarli con parole di fuoco:
“Oimè! io muoio, e non posso morire a vedere essere privati della Verità quelli che doverebbero morire per la verità”.
Nel 1378, quando Urbano VI sarà eletto a Roma e il grande scisma d’Occidente comincerà ad aprirsi, le parole di Caterina risuoneranno ancora più forti contro l’antipapa Clemente VII, “dimonio incarnato“. La sua è una chiamata alla verità che non invecchia, un appello che attraversa i secoli.
Perché, come scrisse al cardinale di Luna, “se conoscerete e sarete amatori della verità, non vi daranno timore le pene; ma nelle pene vi diletterete. Ma se non fuste in questo amore della verità, l’ombra vostra vi farebbe paura”.
Caterina si schiera immediatamente con Urbano VI, il vero dolce Cristo in terra e si reca a Roma, nel novembre 1378, sostenendo e rincuorando il nuovo pontefice e spedisce messaggeri e messaggi a tutti i capi delle potenze politiche italiane e straniere, invitandoli a sostenerlo con tutte le loro forze. Purtroppo Caterina sarebbe morta a 33 anni il 29 aprile del 1380 e lo scisma si sarebbe ricomposto solo nel 1417 con Martino V.
Caterina si è offerta completamente come vittima per la Chiesa: “O Dio eterno, ricevi il sacrifizio della vita mia in questo corpo mistico della santa Chiesa “. In questa struggente e infuocata lettera, l’ultima a papa Urbano VI, la santa si fa voce di un’umanità redenta ma smarrita, di una Chiesa afflitta, ma indistruttibile; un’anima che si consuma nel desiderio ardente di offrire tutto, persino la propria vita, per amore della “dolce Sposa” di Cristo.
L’invito accorato è infuocato rivolto al Papa e ai cardinali è un appello all’unità, all’umiltà, alla riforma interiore come via alla riforma della Chiesa. E nel dolore offerto come dono d’amore, Caterina rinnova la sua totale consacrazione a Dio.
Dichiarò negli ultimi giorni: “Tenete per fermo, dolcissimi et carissimi figlioli, che partendomi dal corpo, io in verità ò consumata et data la vita nella Chiesa et per la Chiesa santa“.