«La purezza – dice Gesù – non è legata a riti esterni, ma prima di tutto a disposizioni interiori. Per essere puri, perciò, non serve lavarsi più volte le mani, se poi si nutrono dentro il cuore sentimenti malvagi come avidità, invidia o superbia, oppure propositi cattivi come inganni, furti, tradimenti e calunnie (cfr Mc 7,21-22). Gesù attira l’attenzione per mettere in guardia dal ritualismo, che non fa crescere nel bene, anzi, a volte può portare a trascurare, o addirittura a giustificare, in sé e negli altri, scelte e atteggiamenti contrari alla carità, che feriscono l’anima e chiudono il cuore». Siamo giunti alla XXII Domenica del Tempo Ordinario (dell’Anno liturgico B) e la liturgia ci propone la meditazione della pericope evangelica di Marco (7,1-8.14-15.21-23), nella quale viene narrata la riflessione di Gesù in merito alla ritualità e alle tradizioni ebraiche.
L’annuncio di nostro Signore va nella direzione della misericordia – nella verità e della carità che trasfigura le relazioni interpersonali; ecco, a riguardo, la parola di Papa Francesco: «Non si può, ad esempio, uscire dalla Santa Messa e, già sul sagrato della chiesa, fermarsi a fare pettegolezzi cattivi e privi di misericordia su tutto e tutti. Quel chiacchiericcio che rovina il cuore, che rovina l’anima. Non si può! Tu vai a Messa e poi fai queste cose, è una cosa brutta! Oppure mostrarsi pii nella preghiera, ma poi a casa trattare con freddezza e distacco i propri familiari, o trascurare i genitori anziani, che hanno bisogno di aiuto e compagnia (cfr Mc 7,10-13). Questa è una doppia vita e non si può. E questo è quello che facevano i farisei. La purità esterna senza gli atteggiamenti buoni, atteggiamenti misericordiosi con gli altri. O, ancora, non si può essere apparentemente molto corretti con tutti, magari fare anche un po’ di volontariato e qualche gesto filantropico, ma poi dentro coltivare odio verso gli altri, disprezzare i poveri e gli ultimi o comportarsi in modo disonesto nel proprio lavoro».
L’invito di Papa Francesco è a un esame di coscienza che irrobustisca il personale rapporto con Dio per mezzo delle buone opere verso gli altri: «Chiediamoci, allora: io vivo la mia fede in modo coerente, cioè, quello che faccio in chiesa cerco con lo stesso spirito di farlo fuori? Coi sentimenti, con le parole e con le opere, rendo concreto nella prossimità e nel rispetto dei fratelli quello che dico nella preghiera? Pensiamoci». In caso contrario – il Santo Padre ammonisce – rischiamo di rimanere impermeabili all’azione della grazia e dello Spirito santo; coltivando solo intimismo o una infruttuosa esteriorità, nella relazione con Lui.