Periodico di informazione religiosa

J di Jasper

by | 9 Dic 2023 | Filosofia

Noi siamo felici? Ci riconosciamo nel tipo di vita che stiamo svolgendo? Oppure siamo adattati, sacrificati, correndo dietro cose che alla fine non ci rendono mai veramente contenti? Sono solo alcune delle domande a cui ci sottopone un grande protagonista della storia della filosofia e della psichiatria del Novecento. Karl Jaspers. Nato nel 1883 ad Oldenburg in Germania, Jaspers incarnò nei primi anni del secondo Dopoguerra la nuova coscienza tedesca che non attribuiva soltanto ad Hitler le colpe del nazismo e degi orrori dell’olocausto, ma anche a tutta la comunità e popolazione tedesca. Vivendo a pieno le due Guerre Mondiali, i campi di sterminio, la bomba atomica, l’ascesa dei totalitarismi, gli odi razziali, la corruzione politica, si impegnò in una rigorosa autocritica fino a rendersi conto che, in pochi anni, il messaggio di una Germania veramente democratica non sembrava essere stato minimamente accolto. Profondamente deluso prenderà la decisione, in forma vivente di protesta, di autoesiliarsi in Svizzera, a Basilea, con sua moglie Gertrud di orgine ebrea, pur avendo anni prima affrontato le persecuzioni e le costrizioni al nascondimento. La Germania non era stata davvero rigorosa nel prendere le distanze dall’eredità del regime nazista, per questo si ritirerà nella Svizzera tedesca, dove continuerà a scrivere fino a divenire uno degli autori principali della corrente esistenzialista del Novecento. Un esistenzialismo non-ateo, un esistenzialismo cristiano, votato non a cercare di dimostrare l’esistenza di Dio con argomentazioni logico-filosofiche, ma di più a testimoniare, attraverso la filosofia, che il riferimento a Dio ha un suo senso nella vita umana. Il credente dentro un’esperienza di fede, la Chiesa, la Confessione religiosa possono dirci chi è Dio. Ma la filosofia può indicarci perche è necessario uno spazio di senso per credere in un Dio, per credere nella Trascendenza ( parola da lui usata spesso per evocare la realtà dell’infinito, del divino che sta al di là del mondo). La Trascendenza ha un senso perché, il significato di questa relazione con essa, è qualcosa che possiamo scoprire dentro l’esperienza comune, dentro l’esistenza umana. Jaspers è un esistenzialista cristiano, dentro un orientamento che confida nel Cristianesimo senza pretendere di dimostrare in modo rigoroso che esiste un Dio, ma credendo che solo la filosofia può dimostrare che non è superstizioso, non è stupido, avere fede nel Dio giudaico-cristiano. Come l’amico Ernest Bloch, di orientamento opposto al suo, Jaspers si occuperà della salvezza, rivolgendo particolare attenzione nel cogliere l’essenziale della vita umana. C’è un grande spazio di incontro per capire bene l’umanità che ci accomuna tutti, dove sia chi parte dall’ateismo, sia chi parte da una fede religiosa, presta attenzione alla verità per cogliere l’essenziale della vita umana. La filosofia non potrà mai certificare che è scientifico l’ateismo o una credenza religiosa, ma può mostrare qual è il senso, il significato autentico di quel riferimento, fermo restando la libertà individuale della coscienza. Jaspers si incrocia con Ernest Bloch in un modo curioso, nel senso che: nell’ateo Bloch c’è una dedizione filosofica a capire cosa sarà la vita una volta liberata dalla morte, un tema tipicamente proprio della teologia, prettamente escatologico; il cristiano Jaspers invece guarda alla salvezza storico-politica di questo mondo. Recuperando l’idea del filosofo danese Soren Kierkegaard, padre dell’esistenzialismo nell’800, secondo cui esistono per noi tre stili di vita (estetico, cioè votato al piacere erotico; etico, cioè dedito all’obbedienza al dovere morale e alle regole della città per farsi da soli buoni e bravi; religioso, cioè capace di scegliere la fede perché consapevoli dei propri limiti, della propria mediocrità, fino a sentire il bisogno di salvezza, accoglienza, amore, e perciò rischiare di credere all’esistenza di un Dio capace di questa misericordia), Jaspers prende da Kierkegaard questa idea che il singolo è il soggetto fondamentale della vita umana. L’uomo non esiste in generale ma esiste la comunità umana, fatta di singole persone. Sembrerebbe un dato elementare, ovvio, banale, ma in realtà ciò evidenzia che ognuno di noi ha una quota di responsabilità individuale per l’andamento di tutta l’umanità, e che la vera identità, la vera essenza della libertà, è la responsabilità personale. Non posso fare appello alle colpe e alle responsabilità altrui, devo prima partire dalle mie. L’umanità del ‘900, in un’intuizione sorprendente di Jaspers per quegli anni, rischia realmente l’autodistruzione. Oggi vorremmo tenacemente continuare a vivere come abbiamo sempre fatto, lavorando per la costruzione di un benessere privato, cercando le nostre garanzie, e proprio questo atteggiamento generale e individuale per Jaspers è biasimevole come l’atteggiamento di quei Tedeschi che sapevano dell’esistenza dei Lager ma non se ne curavano. La nave sta affondando ma si spendono energie e attenzioni per tenere in ordine le tazzine della vetrina nella propria cabina. La verità è che sono nella stessa nave insieme a tutti gli altri, che amo o che non amo, giovani e anziani, uomini e donne, di destra e sinistra, e ho la responsabilità di essere insieme a loro. Anche nell’illusione che le grandi distruzioni e i grandi pericoli siano solo dentro al telegiornale in Tv, fuori dalla nostra vita, Jaspers ha la forza di ricordare che il futuro di nessuno è affatto garantito, che il pericolo di autodistruzione è reale. Se non interiorizziamo le regole del rispetto per gli altri, la responsabilità sociale, e se ciò non diventa espressione di libertà, allora non esiste un’etica autentica adatta all’esistenza dell’umanità. L’etica imposta dallo Stato come forma di disciplina che cade sopra le coscienze, come si è visto in Germania, e non solo, ha generato mostri. Nei tre volumi del 1932 editi sotto il nome di Filosofia allora Jaspers elabora tutta un’analisi dell’esistenza umana fino a scoprire che abbiamo, e ancor di più siamo, libertà. Possiamo realizzare tante identità diverse di noi stessi a seconda delle scelte che operiamo. Poiché siamo libertà, poiché siamo responsabili della strada che prendiamo nella vita anche se in un contesto specifico, spesso asfissiante, con margini strettissimi di scelta, tuttavia manteniamo in ultima anlisi contro tutto e tutti, una scelta inalienabile e indipendente che è solo nostra. Qui allora l’essenziale della scelta deve essere orientarsi, trovare l’orientamento di senso per la vita. Vivi per il piacere? Vivi per l’etica? Oppure vivi con fede la relazione con Dio? Questi tre erano gli orientamenti che già Kierkegaard indicava. Vivere significa comunque dare la vita, impegnarla, certo non metterla sottoterra come il servo del Vangelo. L’essenziale è allora impegnarla in qualcosa e in un modo autentico, una vita che sia all’altezza del nostro desiderio di felicità. Noi siamo felici? Ci riconosciamo nel tipo di vita che stiamo svolgendo? Oppure siamo adattati, sacrificati, correndo dietro a cose che alla fine non ci rendono veramente contenti? In questa ricerca, in questo orientamento della vita verso la felicità, per Jaspers, è importante imparare a non cercarla laddove esercitiamo un potere su qualcuno. Finchè noi partiamo dal potere, dal voler imporci sugli altri, dal voler comandare, dal voler pretendere che gli altri facciano ciò che vogliamo noi, allora lì sicuramente non troviamo noi stessi, non siamo in una vita autentica che ci renda veramente felici. Questo il messaggio desumibile dalla sua opera:

1) Non sprecare la vita dietro pratiche distruttive (quali la guerra e la corsa agli armamenti, l’asservimento a logiche politiche di respiro totalitario, nemiche della democrazia, e l’inquinamento ambientale in ultima analisi in un’intuizione profetica del futuro consapevole che morte dell’ambiente naturale equivale ad estinzione della razza umana).

2) Non temere di perdere qualcosa vivendo a favore degli altri, perché esercitando la responsabilità scoprirò di guadagnare qualcosa di più prezioso dell’energia che investo, e la vera perdita si gioca nella tentazione egoica e mortificata di perdere, di sotterrare i propri talenti, di non vivere all’altezza del proprio desiderio.

3) Coinvolgersi nella vita collettiva perché abbiamo una responsabilità sociale e civile; scegliere di contribuire alla creazione di un’autentica democrazia, di un ordinamento della società dove la dignità di tutti sia rispettata. Fuori da tutto questo andremo incontro all’autodistruzione non realizzando che l’umanità oggi risulta talmente interdipendente, tessuta dello stesso filo, che resta costantemente ad ogni essere umano la possibilità e la una scelta individuale se vuoi garantire la salvezza storica e politica alla comunità intera.

Perché Jaspers utilizza il termine “salvezza”? Che grazie a questo impegno noi salviamo proprio l’umanità dall’autodistruzione. Il problema della salvezza non sta in Dio lontano ed estraneo o interessato alle vicende umane. Dio non condanna nessuno alla salvezza o alla perdizione, al Paradiso o all’Inferno. Dio ama gratuitamente, non giudica, e se vivi una contraddizione e una sofferenza, per Jaspers lì Dio è in grado di raggiungerti maggiormente con il suo abbraccio, come maggiormente ama le persone colpevoli per liberarle dal male che fanno, dalla prigionia del male entro cui soffocano. Dio non giudica, semmai è l’uomo che giudica e distrugge chiudendo il futuro. La salvezza allora non è nemmeno dalla morte, ma dal disumano, dal prendere la vita contromano. Orientarsi nella vita significa allora liberare quel desiderio di comunione che nel fondo del cuore l’uomo avverte. In fondo è come se Jaspers ci dicesse: abbi cura anche del tuo cuore, perché al fondo di esso c’è un desiderio di comunione. Noi siamo fatti per la comunione, non per la guerra, non per la morte o la violenza, cose tutte che ci alterano e rendono disumani. L’uomo deve capire qual è la sua meta, la sua destinazione, il senso verso cui orientarsi costantemente. E la destinazione per Jaspers non è la morte, ma la comunione. L’altra indicazione che il filosofo tedesco ci lascia è quella di non sprecare il tempo che ci è dato, che di per sé non è né poco né tanto, perché l’unica cosa davvero in nostro potere è di farne qualcosa di sensato, riempiendolo di azioni, gesti, scelte, relazioni, orientate ad intensificare la vita, a renderla più bella, più armonica, piuttosto che a lacerarla, che a degradarla. Della vita che ci è data noi siamo i primi responsabili e dobbiamo fare in modo che per le nostre scelte sia un terreno di cura buono a produrre frutti dalla trasformazione dei semi buoni ivi gettati. Se ci allontaniamo dalla comunione e dall’armonia, isolandoci, introducendo rapporti aggressivi di posizione, di potere, tradiremo in primis noi stessi e la nostra vocazione. La salvezza non è un evento magico, che dipende da un Dio esterno, ma la salvezza è la trasformazione del nostro modo di vivere per far prevalere la parte migliore di noi, liberando il nostro desiderio di comunione e la nostra dignità, non accettando mai più di fare cose che sono contro la mia e degli altri dignità. Se facciamo questo, dice Jaspers, il mondo è salvo.

 

 

©photo On Being https://www.flickr.com/photos/speakingoffaith/3651965519

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