Sapevate che oggi i medici devono prestare ancora il giuramento di Ippocrate? Forse in una forma un po’ diversa da quella antica originale che inizia così: “Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni…”. Anzi, proprio da questo incipit, pare che alcuni ricercatori filologici abbiano messo in dubbio la paternità del giuramento di Ippocrate, per il fatto che esso si apre con un’invocazione alle divinità, mentre Ippocrate è stato il primo ad aver separato la medicina dalla superstizione religiosa. Ma a parte queste disquisizioni di altro carattere che lasciamo agli storici delle lettere, a noi è giunta come nota la tradizione tramandataci dal filosofo greco e che ora andremo a vedere un po’ più nel dettaglio per coglierne il respiro e l’attualità. Infatti il grande contributo di Ippocrate è stato quello di ricercare l’origine delle malattie non nel castigo divino o in una colpa originaria dell’uomo, ma nella sfera razionale come equilibrio degli umori nel corpo umano. Ippocrate fu un filosofo e il padre della medicina tradizionale. Nasce sull’isola di Kos intorno al 460 a.C. da una famiglia aristocratica di medici devoti ad Asclepio, il dio della medicina nell’antica Grecia (noto in latino come Esculapio). A proposito di Kos dobbiamo ricordare che essa era la terza isola per dimensione del Dodecanneso dopo le isole di Rodi e Karpathos a soli cinque chilometri dalle coste turche, e quindi dal mondo culturale di influenza egizia. Ippocrate divenne famoso nel periodo della Peste di Atene del 429 a.C., epidemia che dilaniò la popolazione e che diede occasione ad Ippocrate di dimostrare le sue qualità e di fondare successivamente una sua scuola. Si racconterebbe però anche a tal proposito che, nei suoi lunghi viaggi, Ippocrate si sarebbe rifiutato di andare in Persia per aiutare il popolo persiano colpito da una grave epidemia di peste, in quanto nemico acerrimo di Atene; come pure si narra nel Fedro di Platone, composto intorno al 370 a.C., per capire la fama di Ippocrate già allora, che il “sistema ippocratico”sarebbe uno studio del corpo umano condotto dal noto medico secondo cui la salute della persona dipende dall’equilibrio dei quattro umori del fisico umano (sangue, flegma, bile gialla e bile nera) da cui si fanno risalire origine, conoscenza, sviluppo e cura delle malattie.
Figlio a sua volta di un medico, Eraclide, egli stesso medico asclepiade (devoto ad Asclepio), che riteneva di discendere direttamente dalla divinità, Ippocrate era stato introdotto alla medicina quando Eraclio lo portava con sé nei suoi viaggi scientifici in tutta l’ Ellade.
Crescendo poi, Ippocrate si stabilì per un periodo ad Atene, dove divenne discepolo del filosofo atomista Democrito (460 a.C. – 370 a.C.), con il quale studia completando saggi ed opere che sono riuniti (circa 70 tra saggi e scritti vari) nella sua opera “Corpus Hippocraticum”.
La grandezza di Ippocrate e la novità attuale del suo pensiero e della sua azione si giocano in una concezione della medicina capace di guardare alla persona nell’insieme. Forse più lungimirante rispetto ad una deriva troppo industrializzata e spersonalizzante in cui sta scadendo la sanità tutta. Il vero compito della medicina è quello di prendersi cura e guarire totalmente la persona. Oggi nei settori di cura sembra di assistere per lo più all’incontro di due entità: da una parte vediamo una persona, il medico, e dall’altra, invece, un organo malato. Ai tempi di Ippocrate invece si assisteva alla relazione tra una persona sana, appunto il medico, e una persona malata da aiutare e portare con tutto l’impegno alla guarigione integrale. Non c’era una fiducia acritica e assoluta verso le strategie mediche di cura o una definizione di medicina come scienza esatta. Il bravo medico era quello che sbagliava il meno possibile, nel rispetto e nella consapevolezza dei limiti del proprio impegno, delle proprie conoscenze, e della propria dedizione. Dobbiamo ricordare inoltre che Ippocrate si è distinto nello studio dei cadaveri con la biopsia, per l’invenzione della cartella clinica, della dieta, gli studi sull’atmosfera e sulla psicologia del paziente. Ma soprattutto a lui dobbiamo l’intuizione che un medico deve possedere un metodo che si compone di tre momenti, di tre studi. Se si vuole curare il paziente, la persona che si ha davanti, bisogna prima conoscere l’anamnesi, cioè il contesto nel quale la persona si ammale (il passato, la geografia, l’ambiente familiare e culturale, geografico e storico in cui l’ammalato vive), dopo di che si può procedere con la diagnosi, cioè l’individuazione del sintomo e della causa del male, e solo a questo punto stabilire la prognosi per l’intervento sulla persona malata e poi sulla sua riabilitazione totale, fisica, psicologica e talvolta anche spirituale e sociale per un reinserimento nel tessuto della città dal momento che, come sosteneva Aristotele, l’uomo è un “animale sociale”, ovvero un essere relazionale. Magari non si ha tutti i giorni occasione di leggere il Giuramento di Ippocrate, per cui trovo piacevole garantirvi qui la lettura, che chissà, magari, potrà trasmettere a qualcuno il desiderio di gettarsi in questa meravigliosa vocazione e professione intorno alla quale si dovrebbe sempre tanto parlare per il bene e la salute, letteralmente, di tutti noi:
“Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro. Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività. In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi. Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili. E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro”.
Ippocrate muore nel 377 a.C. in Tessaglia. Si racconta che il suo epitaffio riportava iscritta tale incisione: “Il tessalo Ippocrate, originario di Cos, nato dalla razza immortale di Febo, riposa qui. Ha innalzato molti trofei, vincendo le malattie con le armi di Igea; ha acquisito grande gloria, non per fato ma per scienza”.
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