«Ciò che in fondo mi manca è di veder chiaro in me stesso, di saper “ciò che io devo fare”, e non ciò che devo conoscere. Ciò che importa è di trovare una verità che sia verità per me, di trovare l’idea per la quale io possa vivere e morire» Dal Diario di Søren Kierkegaard, Copenaghen 1813, Copenaghen 1855. Nonno dell’esistenzialismo. Søren, diminutivo dell’originale cognome latino Severino. Come si inserisce un filosofo danese dell’800 nel paradigma storico della filosofia occidentale? Dobbiamo ripartire un attimo da questo quadro generale ermeneutico con cui proviamo ad interpretare i concetti di uomo e verità nella storia della filosofia europea. Se il pensiero antico riconosceva l’esistenza di una verità oggettiva manifestata nell ἀρχή naturale e il Medioevo aveva la stessa fiducia nella verità identificandolo col Dio delle sacre scritture, la modernità invece mette in crisi il valore della verità, dubita di essa, e preferisce alla verità il “certificato di garanzia” della stessa, stabilito dal metodo, il più corretto possibile, che è l’uomo con la sua razionalità a costruire. E la contemporaneità? Da Kierkegaard in avanti si torna a riconoscere valore al concetto di verità e al concetto di uomo, salvaguardando entrambi, senza attribuire troppo valore né all’uno né all’altro. Perché per Kierkegaard se funzionano, verità e uomo, funzionano solo stando insieme. La novità dell’ esistenzialismo, nella riflessione filosofica, non parte dalla Verità, né dal Soggetto, ma ha il coraggio di partire in filosofia dal singolo, termine ripreso da Kierkegaard che sosteneva che la “filosofia deve smetterla di personificare le astrazioni, di riportare la vita concreta degli uomini a delle astrazioni a cui non corrisponde alcuna esperienza”. Ma l’esistenzialismo pensa anzitutto a partire dalla relazione tra soggetto e verità. Se la modernità aveva dubitato della verità e preferiva ripartire da un tribunale inquisitorio sul soggetto, fino quasi a divinizzare la razionalità tecnica e calcolatrice nel periodo Illuminista, facendo coincidere la verità con ciò che la razionalità umana è in grado di intendere e produrre, Kierkegaard e la corrente esistenzialista che da lui prenderà successivamente le mosse, richiama in causa la verità e la relazione che essa ha con l’uomo. Non parla della verità in generale (come avveniva magari di più nella filosofia antica e medievale) senza chiarire chi è l’uomo, il soggetto che sta cercando quella verità, e altresì per capire chi è quest’uomo sa che non è possibile prescindere dal tentativo di definire chi, che cos’è la verità che stiamo cercando, e in che modo ci impegniamo in tale ricerca. Kierkegaard inaugura un pensiero relazionale, prendendo sul serio i vari poli della realtà, cercando di capire la relazione tra questi poli oggi per noi scontati: Dio, uomo, mondo. Per Kierkegaard La filosofia si fa con la vita intera, non solo col cervello, la fatica e lo studio. Una disciplina coinvolge anche tutta la nostra sfera affettiva e la biografia di Kierkegaard ( e non solo la sua ma di tanti altri uomini e donne di pensiero e di azione) ne farà le spese, perché è Il singolo in quanto tale che deve orientarsi nella vita attraverso coordinate specifiche rintracciabili, vedremo, soprattutto nel tema della libertà. L’esistenzialismo sarà particolarmente produttivo in Francia attraverso gli scritti e le parole di filosofi del ‘900 quali Sartre, Camus, Merleau Ponty, ed è una filosofia che rifugge le astrazioni, non vuole procedere per concetti generali, ma sceglie di partire dalla realtà del dato. E il dato principale di cui dispone è l’esistenza del singolo. Un tema caro all’esistenzialismo è la libertà, intesa come possibilità radicale di essere, di diventare un tipo di persona rispetto ad un altro tipo di persona, essere una forma di vita o un’altra forma di vita. Per Kierkegaard potevo vivere per il piacere (vita estetica), per le usanze e per il lavoro o per il dovere (vita etica) o vivere impegnando la mia libertà rischiando tutto nel rapporto con un Dio che non vedo, cioè con una trascendenza rivelatasi e incarnata nella vita di Gesù di Nazareth dei Vangeli (vita religiosa). Vivi per il piacere? Vivi per l’etica? Oppure vivi con fede la relazione con Dio? Questi tre erano gli orientamenti che già Kierkegaard nell’800 indicava ai suoi contemporanei. Si può saltare da uno stadio esistenziale estetico, cioè votato al piacere erotico, ad uno stadio etico, cioè dedito all’obbedienza al dovere morale e alle regole della città per farsi da soli buoni e bravi; ma la libertà radicale si gioca nello stadio religioso, nell’assoluta distanza in un rapporto abissale che è quello dello stadio religioso, in cui l’uomo è capace di scegliere la fede perché consapevole dei propri limiti, della propria mediocrità, fino a sentire il bisogno di salvezza, accoglienza, amore, e perciò rischiare di credere all’esistenza di un Dio capace di questa misericordia. Noi non solo abbiamo la libertà ma siamo libertà, perché la nostra vita ha delle possibilità che poi riguardano le scelte che facciamo e che ci determinano. Per questo durante un viaggio in treno verso la mia scuola, un anno fa, incontrai Ester, e scelgo di raccontare qui l’episodio tratto dal mio racconto “Potremmo fare in modo che l’Espresso per Hogwarts arrivi domani”
[“Ciao Ester”. Lei, perplessa ma educata: “Ciao”. Non si ricorda di me, ma devo procedere. “Ti volevo chiedere una cosa Ester”. “Scusa com’è che ti chiami?”. La domanda sul nome mi distrugge. Saltano gli schemi. Perché dovrei parlare di Eraclito di Efeso a Esterscusacomèchetichiami? In fondo a lei non importa niente dei filosofi, di me, del ragazzo, dell’amore, e forse nemmeno di se stessa. Non ho tutto il tempo del mondo. Come per le frazioni che il treno ignora e dove non si ferma, dimentico la E di Eraclito, salto la lettera F di Freud, la G di Gadamer, la H di Heidegger, la I di Ippocrate, la J di Jaspers e arrivo dritto alla K di Kierkegaard. “Mi chiamo Percy. Comunque, volevo parlarti dell’unico danese del mio cuor, Soren Kierkegaard. La sua vita e il suo pensiero mi hanno trascinato via dal mondo del calcio e fatto innamorare della filosofia. Ebbe un destino tragico e romantico se vogliamo, interruppe il fidanzamento con la giovane Regina Olsen anche se non smise mai di amarla”. “Tu non sei fidanzato, vero, Percy?”. “Sì, lo sono a modo mio, per questo mi piace Kierkegaard. Penso che con le donne sia un disastro come me”. “Immaginavo. Io sono fidanzata”. “Sì, lo immaginavo anche io. Forse K può aiutare tutti e due su questa cosa dei fidanzati”. “Ah, non vedo come possa riuscirci se ha interrotto un fidanzamento con una che amava?!? Conoscevo comunque la storia, alle superiori l’abbiamo fatto, ma mi colpisce che piaccia anche a te, perciò continua che mi interessa”. “Bene. Allora. Per Kierkegaard l’uomo è condannato alla libertà non come possibilità di, ma come liberazione da tutte le possibilità di scelta che ci ingabbiano, ci mettono in scacco. Il sentimento che si genera di fronte alle infinite possibilità di scelta che abbiamo ogni giorno -pensa semplicemente alla pizza al ristorante- è un sentimento di angoscia, che è qualcosa di diverso dalla paura. La paura ha sempre un oggetto, ma l’angoscia no. Ebbene, per Kierkegaard, possiamo condurre l’esistenza in tre modi. Potremmo vivere lo stadio estetico, secondo cui c’è un momento della vita in cui abbiamo creduto all’idea che si dovesse a tutti i costi fare esperienza. In Song to song Rooney Mara lo dice bene: “vivendo di canzone in canzone, credendo che qualunque esperienza sarebbe stata meglio di nessuna esperienza”. Dopo l’euforia iniziale, cominciamo a sperimentare qualcosa di diverso dall’eccitazione: subentra la noia, nel migliore dei casi, nel peggiore la dipendenza, l’ossessione. Sicuramente l’angoscia. Tutte le evasioni cercate non sono bastate a renderti felice. A questo punto K introduce la scelta di un possibile modo alternativo. Si tratta del modello o stadio etico. Si sceglie di consacrare la propria vita ad un progetto, di impegnarsi nella costruzione di qualcosa di solido: un lavoro stabile, o la fedeltà nelle relazioni sentimentali. Si diventa orgogliosi di sé, dei propri sforzi in vista di un futuro sicuro, e si intravedono i primi risultati, si inizia a godere per la fatica riuscita. Ma ad un tratto si è pervasi da una sorta di malinconia claustrofobica, dalla voglia di distruggere tutto per tornare ad essere liberi, fuggire via e basta. Ci si guarda indietro ed è disperazione . In alternativa a tutto ciò, si può saltare, approdare all’ultimo o terzo modello esistenziale, lo stadio religioso. Decidere di accettare l’angoscia e la delusione che deriva dall’aver fallito il bersaglio della propria vita, quel bersaglio chiamato felicità. In questa accettazione, allora, si scopre di essere sulla buona strada, nel “timore e tremore”, al principio della scoperta della propria vocazione. La strada chiede fiducia, perché per arrivare dove non sappiamo bisogna passare per dove non si sa”.
“Wow Percy, sei proprio un prof di filosofia! Le fai innamorare tutte di’ la verità!”. Sorrido. Ho parlato troppo. Alla fine Eraclito aveva ragione. Qui tutto è un continuo divenire. Siamo a Sforzacosta. Avevo il fuoco negli occhi, ho parlato di ciò che amavo.]