Il termine Avvento viene dal latino adventus e significa “venuta, arrivo”. Nell’Impero romano si celebrava l’adventus di un personaggio importante, come un alto ufficiale, ma quello più spettacolare era senz’altro l’adventus dell’imperatore. Il cerimoniale prevedeva due momenti: una delegazione che accoglieva l’arrivato per accompagnarlo e scortarlo fino alla città e poi l’esultanza della popolazione, che lo riceveva in maniera solenne. Il termine entrò poi in ambito cristiano ad indicare il mistero dell’attesa e della venuta di Cristo: Agostino, nelle sue opere, usa centinaia di volte il termine adventus in riferimento alla prima e alla seconda venuta del Salvatore. Per Pietro Crisologo con l’adventus si fa riferimento alle molte venute salvifiche di Cristo nel mondo degli uomini in ordine alla salvezza. Tutto il Primo Testamento è rivolto verso la sua venuta nel mondo: per legem, per prophetas, per ipsam sui praesentiamo. In Spagna a partire dal 380 venne definito un periodo di preparazione di tre settimane al battesimo da amministrare nel giorno dell’Epifania. Nel VI secolo in Gallia e poi a Milano già esisteva un periodo di preparazione al Natale di sei settimane; anche nei sacramentari romani della stessa epoca troviamo i formulari de adventu Domini, con le pericopi evangeliche che trattano della fine del mondo, del giudizio universale e della richiesta di penitenza. Ma la ricostruzione della storia dell’Avvento è ancora piena di vuoti da riempire. Fu papa Gregorio Magno, infine, a stabilire il sistema di quattro settimane, uso che si è poi diffuso in tutta la chiesa latina.
Avvento è attesa. Oggi l’attesa non è però un atteggiamento molto popolare: attendere significa perdere tempo che potrei impiegare altrimenti, immersi come siamo in una cultura dove siamo invitati a dimostrare quanto siamo capaci di agire e di fare, non quanto tempi riusciamo a stare seduti ad aspettare. Conosciamo l’opera teatrale di Beckett: due uomini sono in attesa di un certo Godot, dal quale sperano una sistemazione. Di Godot, però, non sanno nulla e non conoscono la data e il luogo dell’appuntamento e consumano il loro tempo nell’assurda attesa di un domani che non verrà mai. Eppure l’atteggiamento di attesa è enormemente radicato verso la vita: significa avere fiducia che accadrà qualcosa che va molto al di là delle nostre aspettative; significa abbandonare il controllo del nostro futuro e lasciare che sia Dio a determinare la nostra vita. Tutto il senso della vita spirituale è racchiuso nell’attesa: l’attesa è la trama stessa della vita, l’accompagna in tutte le sue ricerche e in tutti i suoi incontri. L’attesa si trasforma in un andare incontro, in un tenersi vigilanti e gioiosamente desti. Vigilare con Cristo è stare in vedetta e guardare avanti, senza dimenticare il passato. Cristo verrà e verrà nel modo che ha detto. Desiderio affettuoso e riconoscente di questa seconda venuta di Cristo, questo è vigilare. E noi vogliamo aspettare vigilanti l’arrivo pieno di grazia della Parola che si fa Natale con le parole del grande dottore del desiderio, Gregorio Magno, proprio quel papa che ha definito l’ordinamento di questo tempo liturgico.
Ogni giorno proporremo una lettura tratta dalle sue opere.
La lunga attesa dello sposo
La santa Chiesa nella sua lunga attesa della venuta del Signore, nella sua lunga sete della sorgente della vita, proclama fino a che punto aspira a trovarsi alla presenza del suo Sposo e fino a qual segno lo desidera: “Mi baci con i baci della sua bocca” (Ct I,1). Ad essa il Signore aveva inviato gli angeli, ad essa aveva inviato i patriarchi e i profeti, portatori di doni spirituali; tuttavia non erano più i doni trasmessi dai servitori dello Sposo che essa desiderava ricevere, ma finalmente lo Sposo in persona. Immaginiamo l’intero genere umano dall’inizio del mondo sino alla sua fine, cioè tutta la Chiesa, come un’unica sposa che aveva ricevuto regali attraverso il dono spirituale della legge; tuttavia, era la presenza del suo Sposo che essa desiderava dicendo: “Mi baci con i baci della sua bocca!”. Sospirando infatti per la venuta del suo Redentore, la santa Chiesa rivolge al Padre parole di preghiera, perché egli invii suo Figlio e la illumini con la sua presenza, perché non più per bocca dei profeti, ma con la sua stessa bocca rivolga la parola a questa medesima Chiesa. Così è scritto nel vangelo riguardo a questo Sposo, nel momento in cui, seduto sulla montagna, pronunciava le parole dei suoi insegnamenti: “Aprendo la sua bocca, Gesù disse…” (Mt 5,2). Come a dire: Aprì allora la sua bocca colui che aveva prima aperto la bocca dei profeti per esortare la chiesa.
Dal Commento al Cantico dei Cantici 11-12