In una Piazza San Pietro densa di emozione, cuore pulsante della cristianità, il Collegio cardinalizio, migliaia di fedeli e numerose delegazioni da tutto il mondo si sono raccolti per l’estremo saluto a Papa Francesco. Le spoglie del Pontefice, che per dodici anni ha guidato la Chiesa con amore e coraggio, erano lì, davanti alla Basilica Vaticana, mentre il cardinale Giovanni Battista Re, in una toccante omelia, ha tracciato il profilo spirituale e umano di un Papa che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia.
“Col cuore triste ma sorretti dalla certezza della fede”, ha detto il cardinale, “sappiamo che l’esistenza non si chiude nella tomba, ma si apre alla vita eterna nella casa del Padre”. Il sentimento dominante non è solo il lutto, ma la gratitudine per un pontificato capace di accendere cuori e coscienze in ogni angolo del mondo.
La commossa partecipazione di capi di Stato, leader religiosi e delegazioni ufficiali racconta l’impatto universale di Papa Francesco. Il “plebiscito di affetto” nato dopo la sua morte, ha sottolineato il cardinale Re, testimonia quanto il suo ministero abbia toccato profondamente uomini e donne di ogni popolo.
Il ricordo più vivo rimane l’immagine della scorsa Domenica di Pasqua: nonostante le gravi condizioni di salute, Francesco volle affacciarsi dal balcone della Basilica per impartire l’ultima benedizione e, con sorprendente forza, scendere nella piazza sulla papamobile scoperta per incontrare il suo popolo. Un ultimo gesto d’amore, un ultimo abbraccio.
Papa Francesco ha percorso il cammino del Buon Pastore, che “dà la vita per le sue pecore”, fino all’ultimo respiro. La sua fedeltà al mandato ricevuto – “Pietro, mi ami tu più di costoro?” – è stata assoluta. Servizio, amore, dono di sé: questi i tratti che hanno segnato la sua vita e il suo pontificato.
Quando, il 13 marzo 2013, l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio fu eletto successore di Benedetto XVI, portava sulle spalle la ricca esperienza dei suoi anni da gesuita e da pastore nell’arcidiocesi di Buenos Aires. Scelse subito il nome “Francesco”, manifestando la volontà di ispirarsi a San Francesco d’Assisi: un programma di semplicità, vicinanza, amore per gli ultimi.
Il suo stile fu immediatamente chiaro: un Papa “in mezzo alla gente”, con una predilezione per i poveri, gli emarginati, gli scartati. Francesco instaurò un contatto diretto e personale con ogni popolo, spendendosi senza misura per dare voce a chi non ne aveva. Non volle mai una Chiesa chiusa: la sua visione fu quella di una “casa dalle porte sempre aperte”, un “ospedale da campo” capace di curare le ferite di tutti, senza esclusioni.
La forza comunicativa di Papa Francesco era unica: un linguaggio semplice, ricco di immagini e metafore, capace di toccare il cuore anche di chi era lontano dalla fede. Davanti a un mondo in rapido cambiamento – che lui definiva “non un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca” – ha saputo offrire una bussola chiara: la luce del Vangelo, vissuto nella concretezza della storia.
La missione evangelizzatrice fu la bussola costante del suo pontificato. Con la Evangelii Gaudium, sua prima esortazione apostolica, indicò la “gioia del Vangelo” come antidoto alla tristezza e allo smarrimento del nostro tempo.
Indimenticabili i suoi viaggi apostolici: ben 47, spesso nelle periferie del mondo. Rimarrà nella memoria il suo primo viaggio a Lampedusa, isola-simbolo delle tragedie dei migranti, così come il pellegrinaggio rischioso in Iraq nel 2021, che seppe portare conforto e speranza a un popolo martoriato. E ancora Lesbo, il confine tra Messico e Stati Uniti, le nazioni dimenticate di Asia e Oceania: Francesco ha voluto essere voce dei senza voce, balsamo sulle ferite del mondo.
Al centro del suo messaggio, due parole chiave: misericordia e gioia. Per lui Dio non si stanca mai di perdonare, e per questo indisse il Giubileo straordinario della Misericordia, rinnovando la speranza anche per chi si sente più lontano.
Francesco ha lottato contro la “cultura dello scarto”, contrapponendo la “cultura dell’incontro” e della solidarietà. Nella sua enciclica Fratelli tutti, vibrante di amore universale, ha ricordato che “apparteniamo tutti alla stessa famiglia umana”, e che “nessuno si salva da solo”. Storico fu anche il suo gesto di pace ad Abu Dhabi nel 2019, con la firma del Documento sulla Fratellanza Umana.
Con la Laudato si’, Francesco ha lanciato un appello accorato per la salvaguardia della “casa comune”, denunciando lo sfruttamento del creato e il disinteresse verso le generazioni future.
E mentre nel mondo infuriavano guerre e violenze, la sua voce si è levata incessante, implorando pace, dialogo, ragionevolezza. “La guerra”, ripeteva, “è una sconfitta per tutti. Lascia il mondo peggiore di prima”.
In ogni gesto, in ogni parola, Francesco ha cercato di “costruire ponti e non muri”. Il suo servizio come successore di Pietro è stato sempre strettamente unito al servizio dell’umanità, in tutte le sue dimensioni.
Ora, nella preghiera universale che avvolge la piazza, il cardinale Re ha chiesto ciò che Francesco domandava sempre alla fine dei suoi incontri: “Pregate per me”. Ma oggi, con il cuore gonfio di gratitudine e speranza, è il popolo di Dio che chiede: “Papa Francesco, prega tu per noi. Benedici la Chiesa, Roma, e il mondo intero”.
E la sua ultima benedizione pasquale, affacciato al balcone della Basilica, sembra ancora risuonare nell’aria, come un abbraccio eterno all’umanità in cerca di verità, giustizia e pace.