Roma. Un rescritto di Papa Francesco su alcuni punti del motu proprio “Traditionis custodes”, a seguito dell’udienza concessa il 20 febbraio 2023 al cardinale Arthur Roche, prefetto del Dicastero per il Culto Divino, ha chiarito due punti del motu proprio “Traditionis custodes”, sull’uso delle chiese parrocchiali e l’eventuale istituzione di parrocchie personali per i gruppi che celebrano secondo il Missale Romanum del 1962, promulgato da Giovanni XXIII prima del Concilio Ecumenico Vaticano II e sull’uso di questo messale da parte dei sacerdoti che sono stati ordinati dopo il 16 luglio 2021, data di pubblicazione del motu proprio, affermando che potranno essere concessi dai vescovi diocesani soltanto dopo aver ottenuto l’autorizzazione dalla Santa Sede.
Questo motu proprio di papa Francesco con il quale vengono date nuove norme, sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, prevede una maggiore responsabilità da parte dei vescovi. Infatti con questo documento pontificio, le decisioni del dove, quando e chi deve celebrare, tornano nella disponibilità dei pastori delle diocesi, che dovranno verificare anche, che ‘i gruppi legati alla liturgia antica non devono escludere la legittimità della riforma liturgica, i dettati del Concilio Vaticano II e il magistero dei Pontefici’.
In seguito al motu proprio Traditionis custodes, in una verifica con i vescovi del mondo promossa dalla Santa Sede, erano sorti una serie di dubia, per i quali, il 4 dicembre 2021 il Dicastero del Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti aveva pubblicato le risposte insieme ad alcune note esplicative, che di fatto vengono ora confermate dal rescritto papale del 20 febbraio 2023. Per comprendere queste nuove indicazioni, è utile fare un passo indietro e partire dall’analisi di Traditionis custodes, dove ci si accorge fin da subito di un particolare molto significativo, che riallinea la Chiesa d’occidente con la Chiesa d’Oriente, cioè una sola forma di celebrazione della liturgia. Infatti, diversamente da ciò che era stato disposto nel Motu proprio di papa Benedetto XVI, Summorum Pontificum, del 7 luglio 2007, ora scompare la terminologia “forma ordinaria” e “forma straordinaria del rito romano”, e si afferma che ‘i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano’. E questo è l’unico modo su cui è possibile costruire la pace non solo rituale, ma anche ecclesiale, infatti, come affermava Prospero di Aquitania (390-430 d.C), con l’affermazione lex orandi, lex credendi, la legge della preghiera è la legge del credere. Non possono esistere contemporaneamente due forme di uno stesso rito, perché al di la delle buone intenzioni, vanno creando solo divisioni e incomprensioni nel popolo di Dio. Inoltre, diversamente da quanto stabilito in Summorum Pontificum, viene sottolineata l’autorità del vescovo, di regolare le celebrazioni liturgiche nella propria diocesi. Al vescovo diocesano, inoltre, compete autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella propria diocesi, seguendo gli orientamenti della Santa Sede.
Con questo documento pontificio, in sostanza viene restituita ai vescovi diocesani una loro specifica autorità sulla liturgia nella loro diocesi, che era stata loro ‘congelata’ in riferimento all’uso del Messale del 1962, proprio dal Summorum Pontificum, ristabilendo quindi un principio ecclesiologico ribadito durante il Concilio Vaticano II.
Papa Francesco con la pubblicazione di questa Lettera Apostolica – dopo aver consultato i vescovi del mondo, ha deciso di modificare le norme che regolano l’uso del messale del 1962, liberalizzato come “Rito Romano extra-ordinario”, da Papa Benedetto XVI nel 2007 – intende proseguire nella costante ricerca della comunione ecclesiale.
Il Motu proprio entra anche in merito ai compiti del vescovo in riferimento a eventuali gruppi stabili di fedeli che celebrano secondo il Missale Romanum del 1962, esortandolo a verificare che ‘tali gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici’.
Il rescritto dei giorni scorsi, quindi è occasione per precisare che su alcune tematiche, i vescovi dopo aver fatto le loro valutazioni pastorali, dovranno sottoporre il tutto alla Santa Sede. Sul luogo dove celebrare secondo il Rito del 1962, sia il vescovo a indicare ‘uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per la celebrazione eucaristica’, escludendo che siano scelte chiese parrocchiali e che non si proceda all’erezione di nuove ‘parrocchie personali’, come previsto nel Motu proprio del 2007, stabilendo il vescovo ‘i giorni in cui sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962’, ma anche verificando che ‘in queste celebrazioni le letture siano proclamate in lingua vernacolare, usando le traduzioni della Sacra Scrittura per l’uso liturgico, approvate dalle rispettive Conferenze Episcopali’.
Per quanto poi concerne i sacerdoti che potranno celebrare la Santa Messa con il Messale del 1962, papa Francesco, dispone che sia il vescovo diocesano a nominare un sacerdote, come incaricato delle celebrazioni, ma anche come responsabile della cura pastorale di questi gruppi di fedeli.
In sostanza con questo Motu proprio, si è rimesso ordine a qualche caso di ‘disordine pastorale’ e ad alcuni casi di irresponsabilità da parte di presbiteri, di poter scegliere l’uso del Messale del 1962, senza dover rispondere a nessuno della propria scelta, che hanno introdotto situazioni di disagio. Ora, questo non sarà più possibile. Si potrà si celebrare con il Messale del 1962, ma a seguito di un discernimento del vescovo diocesano, che darà l’autorizzazione ai presbiteri che lo richiedono, dopo avere verificato determinati requisiti di idoneità.
In riferimento al sacerdote incaricato dal vescovo, il Motu proprio, dà anche le indicazioni per la scelta, affermando che ‘il sacerdote sia idoneo a tale incarico, sia competente in ordine all’utilizzo del Missale Romanum antecedente alla riforma del 1970, abbia una conoscenza della lingua latina tale che gli consenta di comprendere pienamente le rubriche e i testi liturgici, sia animato da una viva carità pastorale, e da un senso di comunione ecclesiale. È infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli’. Sempre in riferimento ai presbiteri, si danno alcune indicazioni, che fanno comprendere con chiarezza, che per poter celebrare con il Messale del 1962, tenuto conto dell’unica espressione della lex orandi del Rito Romano, è necessario ottenere un indulto. E il vescovo diocesano – come ulteriormente chiarito dal Rescritto papale del 20 febbraio 2023 – prima di concederlo dovrà ora non consultare, ma chiedere l’autorizzazione alla Sede Apostolica, per i sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu proprio, mentre per i presbiteri che ‘già celebrano secondo il Missale Romanum del 1962, sarà necessario richiedere al Vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare ad avvalersi della facoltà. Inoltre, il vescovo diocesano è chiamato a fare una congrua verifica ‘in ordine alla effettiva utilità per la crescita spirituale’ delle ‘parrocchie personali canonicamente erette’, per verificare se siano realmente a beneficio dei fedeli, valutando se mantenerle o meno.
Il Motu proprio, infine, dispone che ‘gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei passano sotto la competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica’ e che ‘la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, per le materie di loro competenza, eserciteranno l’autorità della Santa Sede, vigilando sull’osservanza di queste disposizioni’. E anche per questo aspetto, viene ora rimesso ordine. Infatti non solo i vescovi erano stati sollevati da specifiche competenze in ambito liturgico, all’interno delle loro chiese particolari, ma anche la Congregazione del Culto divino, che in una prima fase era stata ‘sostituita’ dalla Commissione Ecclesia Dei e in seguito, dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Alcune considerazioni finali, possono essere utili per comprendere meglio sia il Motu proprio, come anche il Rescritto papale. Prima di tutto è utile ricordare che ne il Motu proprio Traditionis custodes e neppure il Rescritto papale in questione, trattano dell’uso della lingua latina nella liturgia. Lingua latina che rimane comunque la lingua ufficiale della Chiesa cattolica sia per gli atti ufficiali come anche per la celebrazione della Messa con il Missale Romanum del 1970, per il quale il buon senso pastorale di ogni sacerdote, in comunione con il vescovo diocesano, può usare senza alcuna autorizzazione o indulto. La questione si muove, come più volte ricordato anche in questo articolo, sull’uso del Missale Romanum del 1962, promulgato da Giovanni XXIII prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, per il quale, con il Motu proprio, è il vescovo diocesano a determinarne – eccetto alcuni casi riservati alla Santa Sede – l’uso e le modalità, a favore e per la salus animarum, del popolo di Dio a lui affidato, in cui il criterio principe, è quello di salvaguardare la comunione ecclesiale, nel rispetto della sensibilità di tutti. Di fatto il Rescritto papale, non fa altro che chiarire alcune affermazioni già presenti nel Motu proprio, che mantengono il principio ristabilito dell’autorità del vescovo diocesano, in ambito di liturgia, nel territorio della sua chiesa particolare. I chiarimenti sono dati solo in riferimento all’uso di una chiesa parrocchiale o all’erezione di una parrocchia personale per la celebrazione eucaristica usando il Missale Romanum del 1962 (Traditionis custodes art. 3 §2), per ‘la concessione della licenza ai presbiteri ordinati dopo la pubblicazione di Traditionis custode,s di celebrare con il Missale Romanum del 1962’ (cfr. Traditionis custodes art. 4), per i quali i vescovi diocesani sono obbligati ad informare la Santa Sede, per ottenere una dispensa.
Infine il Rescritto papale, afferma che come disposto dall’art. 7 del Motu proprio, sarà il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ad esercitare nei casi sopra menzionati l’autorità della Santa Sede, valutando i singoli casi per l’eventuale concessione dell’indulto. Infine, attraverso questo rescritto, Papa Francesco, conferma ‘quanto stabilito nei Responsa ad dubia con le annesse Note esplicative del 4 dicembre 2021’.