Nel cuore del Sabato Santo, quando il silenzio avvolge il mondo come una sindone sacra, la liturgia bizantina innalza un canto d’amore e di stupore. È un giorno che non conosce il frastuono del Venerdì né l’esplosione di luce della Domenica. È un giorno sospeso, eppure pieno: il giorno del riposo del Dio fatto carne. Cristo giace nella tomba, ma anche nel cuore del cosmo, nel grembo della creazione, tra le braccia della Madre addolorata e nell’oscurità dell’Ade che si apre, sconfitto, alla luce eterna. Il Cristo, il Vivente, giace morto. Ma non è la fine: è il preludio della Vita.
Nel buio della notte sabbatica, mentre la terra tace, le voci del coro risuonano attorno al sepolcro come un’antica veglia eroica. Non si piange un fallimento, si intuisce una trasfigurazione: il sepolcro è il cuore di un mistero che sta per esplodere in luce. In questo silenzio, il mondo trattiene il fiato. La resurrezione è già cominciata.
“Signore mio Dio, eleverò un inno funebre, un canto sulla tomba a te
che hai aperto, con la tua sepoltura, l’accesso alla vita.”
Nel cuore del Sabato Santo, quando il silenzio avvolge il mondo come una sindone sacra, la liturgia bizantina innalza un canto d’amore e di stupore. È un giorno che non conosce il frastuono del Venerdì né l’esplosione di luce della Domenica. È un giorno sospeso, eppure pieno: il giorno del riposo del Dio fatto carne. Cristo giace nella tomba, ma anche nel cuore del cosmo, nel grembo della creazione, tra le braccia della Madre addolorata e nell’oscurità dell’Ade che si apre, sconfitto, alla luce eterna.
La Chiesa d’Oriente, con la sapienza dei padri e la voce dei monaci poeti, trasforma questo silenzio in canto, in una sinfonia epica e tenerissima che attraversa la notte, il sepolcro e l’eternità. È una liturgia che nasce dalla veglia, come quelle notti accese dalle lacrime a Gerusalemme, e si sublima nella Divina Liturgia di San Basilio Magno, culmine di un’esperienza spirituale che non è solo commemorazione, ma misteriosa partecipazione.
Il riposo del Creatore
Il Sabato è giorno di riposo, sin dalla Genesi. Ma ora il Creatore stesso riposa, non più dopo la creazione, bensì dopo la redenzione. “Hai santificato oggi il settimo giorno che già avevi benedetto, interrompendo le opere”, canta il tropario. Il Figlio è deposto nella tomba “come un dormiente”, ma questa tomba è un talamo nuziale, un’arca divina di vita, grembo da cui scaturisce una nuova creazione.
E la terra, attonita, tace. Il sole si nasconde. Il tempio del corpo, disfatto, è pronto per la risurrezione.
“Tu, la vita, sei stato deposto, Cristo, in una tomba
e le schiere degli angeli stupivano glorificando la tua condiscendenza.”
L’eroe divino
Cristo, al centro della scena, è il nuovo Orfeo, il nuovo Achille, ma infinitamente più: è il Dio fatto uomo che volontariamente si sottomette alla morte per vincerla. I canti lo celebrano come eroe della salvezza, colui che “ha messo a morte la morte”, che “ha infranto i vincoli dell’Ade” e “ha liberato i prigionieri che esclamano: non c’è santo tranne te, Signore”.
È lui il protagonista, il Logos incarnato che “per riempire ogni cosa con la tua gloria” discende fino agli abissi, “poiché la sostanza del mio essere in Adamo non ti fu estranea”. Non è una discesa metaforica: è il movimento dell’amore che va in cerca dell’uomo perduto.
“L’Ade, incontrandoti, fu riempito di amarezza
vedendo un mortale deificato, variegato di piaghe e onnipotente.”
La processione della speranza
La processione del Sabato Santo, che si svolge al canto degli encomi, è un’epopea di bellezza e dolore. Ma non è più un funerale. È la processione del Verbo verso le profondità dell’umano, “nel segreto della notte sabbatica”, dove il silenzio canta, e le tenebre iniziano a brillare.
Le donne mirofore, fedeli nella tenebra, si fanno voce di ogni amore puro. Avvolte nella paura e nella speranza, si recano al sepolcro con la mirra tra le mani e il cuore trafitto. Non sanno che troveranno la vita dove attendevano la morte.
“La mirra conviene ai mortali,
ma il Cristo si è rivelato nemico della corruzione.”
Insieme a loro piange Maria, la Madre, che “dilaniata dalla spada del dolore”, attende la promessa. Le sue parole attraversano la liturgia come un’eco del Calvario, ma ora intrise di un’attesa invincibile:
“Risorgerò infatti e sarò glorificato
ed innalzerò nella gloria senza posa quelli che ti magnificano.”
L’Ade svuotato
Ecco il miracolo: l’Ade, che accoglie il Dio morto, viene spogliato. I cancelli si infrangono. Adamo ed Eva si ridestano: le immagini si fanno icone, esplodono nei canti che parlano di “una nuova Eva nata dal costato trafitto”, di “una stirpe intera riscattata”, di “un sepolcro che non trattiene la Vita stessa”.
“Invano sorvegli il sepolcro, guardia,
poiché un sepolcro non tratterrà la vita stessa.”
L’immortalità sorge dalla morte. L’incorruttibile si unisce al corruttibile e lo trasfigura. “Tu hai trasformato il mortale in immortale”, gridano i cori. Tutta la creazione partecipa. Il canto si fa cosmico:
“Fanciulli beneditelo, sacerdoti inneggiatelo,
popolo esaltatelo per tutti i secoli.”
La tomba che partorisce la vita
Il Sabato Santo, nella visione bizantina, è l’attimo eterno della trasformazione. È la notte in cui la morte viene convertita in vita, il grembo che partorisce la luce. È il tempo in cui la Chiesa non tace, ma canta con forza: il sepolcro è diventato fonte.
Cristo non è assente: è ovunque. È nella tomba e nei cieli, nell’Ade e nell’Eden, con il Padre e con lo Spirito. Le immagini si moltiplicano: Cristo è il Giona che esce dal ventre della balena, è l’Agnello immolato che distrugge la morte, è il secondo Adamo che si addormenta per generare un’umanità nuova. La creazione esulta, perché “non c’è santo tranne Te, Signore”.
È nel cuore di Maria, nella voce delle mirofore, nell’attesa dei santi dormienti. È la Vita che riposa per svegliare ogni uomo dal sonno.
“Tutte le stirpi un inno alla tua sepoltura offrono, Cristo mio.”
La liturgia termina ma non finisce. Rimane sospesa come una nota tenuta nell’aria. Il sepolcro è chiuso, ma i cieli stanno già fremendo. Il tempo è colmo di Dio. E noi, con tutta la creazione, attendiamo. La pietra sarà rotolata. L’aurora verrà.
Ma intanto, nel silenzio pieno del Sabato, lo adoriamo.