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Addio a Nikolaus Egender, abate della Dormizione a Gerusalemme

da | 31 Mag 2025 | Vita ecclesiale

Addio a Nikolaus Egender, abate del monastero della Dormizione a Gerusalemme e ponte tra le Chiese. È morto a 101 anni il monaco benedettino che ha segnato il dialogo interreligioso e l’ecumenismo nella Città Santa

Sulle alture del monte Sion, dove le campane della Dormizione suonano a scandire il tempo del mistero e della preghiera, è risuonato oggi la campana a morto. Nikolaus Egender, già abate della storica abbazia della Dormizione di Gerusalemme, è morto all’età di 101 anni il 31 maggio 2025, lasciando dietro di sé un’eredità spirituale, culturale ed ecumenica che ha attraversato il secolo e le frontiere della fede.

Nato il 19 agosto 1923 a Mulhouse, in Alsazia, con il nome di Pierre, Egender fu un uomo segnato fin dall’infanzia dal dramma delle identità contese, dalla frontiera fluida tra lingue e nazionalismi. Una tensione che seppe trasformare in vocazione alla riconciliazione: il suo intero cammino monastico si è infatti snodato all’insegna del dialogo tra Chiese, popoli e religioni.

Entrato nel 1946 nell’abbazia belga di Chevetogne – fondata per favorire l’incontro con l’Oriente cristiano – vi emise la professione monastica nel 1947 e ricevette l’ordinazione sacerdotale nel 1950. Qui fu novizio, poi priore, e contribuì con intelligenza teologica e finezza spirituale allo sviluppo del carisma ecumenico del monastero, che celebra la liturgia tanto in rito latino quanto bizantino.

Nel 1966, su invito dell’abate Leo von Rudloff, giunse in Terra Santa come visitatore e si stabilì nel priorato benedettino di Tabgha, sul lago di Tiberiade. Ma il momento cruciale fu nel 1979, quando venne eletto – primo della storia – abate della Dormitio sul monte Sion, cuore tedesco della presenza benedettina a Gerusalemme. Vi rimase in carica fino al 1995, lasciando un segno indelebile.

Un costruttore di ponti

L’abate Nikolaus fu un vero costruttore di ponti. Non solo tra Oriente e Occidente, ma anche tra cristiani, ebrei e musulmani. Il suo impegno per la pace e l’incontro nella città santa gli valse nel 1992 il titolo di Ehrenbürger, cittadino onorario di Gerusalemme. Già dieci anni prima, nel 1982, era stato insignito del massimo riconoscimento della Chiesa Armena Apostolica: l’Ordine di san Nerses Shnorhali, segno della stima profonda da parte del mondo ortodosso.

Sotto il suo governo abbaziale, la comunità benedettina approfondì il radicamento nella tradizione monastica orientale, rafforzò il legame con il popolo di Israele e con la sofferenza del popolo palestinese, rese la liturgia un luogo di bellezza e di respiro universale. Non a caso, nel 1982 presiedette anche la riconsacrazione della chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabgha, ricostruita su antiche rovine e affidata alla custodia della comunità.

Monaco, teologo, ecumenista

Studioso raffinato, Egender ha pubblicato numerosi contributi sul monachesimo, la liturgia orientale, la spiritualità e i frutti del Concilio Vaticano II. Collaborò stabilmente con la rivista Irenikon dell’abbazia di Chevetogne, e fu voce ascoltata nei dibattiti teologici sull’unità delle Chiese.

Nel 2001, a quasi ottant’anni, fu ancora protagonista nella rifondazione della presenza monastica benedettina sull’isola di Reichenau, culla medievale del monachesimo germanico, dove contribuì alla nascita della Cella St. Benedikt, assieme a padre Stephan Vorwerk. Ancora nel 2014, novantunenne, fu ospite d’onore alle celebrazioni del decennale della comunità.

Nikolaus Egender era un uomo umile e una persona di grande fede. Con la sua morte, si chiude un secolo di fede vissuta sulle soglie del mistero e della storia, un secolo che ha visto guerre e conciliazioni, divisioni e abbracci tra le Chiese. Ma il suo passaggio resta. Resta nelle pietre della Dormizione, nel canto liturgico che ogni giorno sale da Chevetogne, nei cuori di chi lo ha incontrato e ne ha respirato la pace.

“La nostra città è nei cieli”

L’Abate Nikolaus È morto alla vigilia della festa dell’Ascensione del signore. Come ultimo omaggio, vogliamo riportare una pagina tratta da una delle sue ultime fatiche letterarie uscita in francese nel 2020 e poi tradotta in italiano nel 2023 per le Edizioni Qiqajon, con il titolo di “I riflessi della Pasqua. Le grandi feste bizantine“.

Attraverso il battesimo il cristiano diventa cittadino del cielo. La festa dell’Ascensione ce lo fa comprendere, ridestando in noi la nostalgia per la pienezza della vita in Cristo, mentre siamo tesi verso il suo ritorno: “La nostra città è nei cieli, e di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20).

La “città” (politèuma) significa cittadinanza. Cristo “ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli” (Ef 2,6). “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo, seduto alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1).

“Venite, fedeli: saliamo insieme 

sull’eccelso Monte degli ulivi, e là riuniti 

come gli apostoli, con il cuore e i sensi levati in alto, 

contempliamo il Signore che ora ascende 

e anche noi, gioiosi e grati, acclamiamo:

Gloria alla tua ascensione, o Ricco di misericordia” 

(testo tratto dal Pentecostario)

La festa dell’Ascensione proclama l’unione fra Dio e l’uomo, l’unione fra cielo e terra, spezzata dal peccato di Adamo, restaurata dall’opera redentrice di Cristo, sigillata dalla sua risalita al Padre, che colloca l’uomo al di sopra degli angeli, alla destra di Dio. Tutto è proteso verso la pienezza della Pentecoste, e al di là di essa annuncia il ritorno di Cristo.

Scendendo dal Monte degli ulivi, “gli apostoli ritornarono a Gerusalemme… e quando giunsero, salirono alla camera alta” (At 1,12). Luca enumera gli undici e aggiunge: “Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i suoi fratelli” (At 1, 14).

Quando un membro della famiglia scompare, ci si riunisce gli uni con gli altri nel raccoglimento e nella preghiera. Si cerca di riorganizzare il gruppo nella concordia e nella fiducia. Gli apostoli si preparano alla venuta dello Spirito santo, il sigillo divino che farà del piccolo gregge una nuova comunità, la prima comunità cristiana, “assidua all’insegnamento degli apostoli, fedele alla comunione fraterna, alla frazione del pane e alle preghiere … E il Signore aggiungeva ogni giorno al loro gruppo quelli che erano salvati” (At 2,42.47).

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