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Pantheon, restaurata l’icona della Madonna Odigitria

da | 9 Lug 2024 | Recuperare e condividere

Restaurata l’icona della Madonna Odigitria, risalente agli anni della consacrazione del Pantheon in chiesa cristiana (13 maggio dell’anno 609), grazie a uno sponsor d’eccezione, Bulgari.

Una icona“, – ha dichiarato il Rettore della Basilica di Santa Maria ad Martyres, Mons. Daniele Micheletti, “è uno dei tre tipi fondamentali di segni, distinti secondo il rapporto che li unisce alla realtà esteriore; nel nostro caso parliamo dell’antichissima icona della Madonna del Pantheon. La restaurata icona di Maria presenta una delle prerogative e dei titoli della Vergine: ella ci mostra Gesù, il Dio fatto uomo, il Salvatore della Storia, Ella è l’Odigitria. Restaurare significa ristabilire, ridare vita e luce e questo mistero, ricollocarlo oggi all’interno dell’esperienza umana contemporanea, che ha nuovo bisogno di vedere, di traguardare il domani, di sperare e costruire”.

Una miracolosa linea di continuità tra la Roma pagana e la Roma cristiana, visto che il Pantheon, uno dei luoghi più significativi del culto pagano, sotto il pontificato di Bonifacio IV (608-615), fu destinato al culto cristiano e dedicato alla Madonna e a tutti i martiri. È molto probabile che quest’icona facesse parte dei doni offerti dall’imperatore Foca. Dal punto di vista politico, la concessione del Pantheon da parte di Foca – l’imperatore rimane, sia pure formalmente, il responsabile delle antiche costruzioni demaniali – era la continuazione di quella politica di buoni rapporti con iniziata da Gregorio Magno per contrastare le pretese del patriarca di Costantinopoli. In quanto conversione al culto cristiano di un tempio pagano, era anche un’eco del principio affermati da Gregorio in una celebre epistola al clero inglese, di riutilizzazione dei santuari pagani, fino a quel momento in terra di missione. L’episodio della conversione del Pantheon fu poi compreso da Paolo Diacono e da Beda come trionfo sui demoni scacciati dal tempio che assistono indifesi al trionfo dei santi, là dove un tempo si officiavano il culto in loro onore.

Il primo restauro della Madonna del Pantheon, dal quale sono trascorsi più di sessant’anni, ha consentito di restituire alla tavola il giusto ambito cronologico, ovvero l’epoca della conversione del Pantheon in basilica cristiana. Non è rimasto molto, purtroppo, del dipinto: una tavola di legno d’olmo, dalla sagoma rovinata, coperta di una preparazione rossiccia su cui si staglia la raffigurazione della Madonna con il Bambino, nella posa frontale tipica dell’Odigitria, colei che indica la via. La mano destra della Madonna, infatti, tocca il ginocchio del bambino, indicando colui che è la via, la verità e la vita. Un gesto che sottolinea la mediazione di Maria presso Cristo. Si tratta di un’iconografia molto antica, proveniente dall’icona della Odigitria di Costantinopoli, che l’imperatrice Eudocia aveva rinvenuto a Gerusalemme nel 442 e che, secondo lo storico Teodoro Lettore, sarebbe stata dipinta da San Luca. 

Profondi solchi incisi con una punta metallica intorno ai volti, alle mani e ai piedi delle figure, testimoniano la volontà di preservare questi frammenti dal generale rifacimento dell’immagine, occorso più volte nel tempo. L’immagine aveva dovuto affrontare anche le frequenti inondazioni che invasero il Pantheon. Sul dipinto si sono riscontrati ben due restauri all’encausto, quindi di datazione piuttosto antica; poi un rifacimento del nimbo, in parte su tela, fra il XII e XIII secolo e molti altri, fino a quello settecentesco, che ridipinse mani e volti. Sotto l’ultima ridipintura dell’incarnato delle mani, il restauro ha rivelato la superficie originale, che, nella destra della Vergine risulta messa sin dal primo momento a oro, in segno di onore e di potenza. L’insolito e asimmetrico taglio della tavola, rigido in basso e in alto sagomato a seguire il giro del nimbo della Vergine, fa pensare a un tentativo di salvare la parte più significativa di tutta l’immagine. L’ipotesi è che vi fosse rappresentata la Madonna a figura intera in un quadro di dimensioni grandiose, proporzionato all’architettura che l’avrebbe ospitato. Si può supporre che l’intera immagine dovesse misurare all’incirca cm 240×85. Chiaramente affine alle altre grandi tavole romane di Santa Maria in Trastevere, di Santa Maria Nova e dell’Acheropita del Sancta Sanctorum al Laterano, si tratta di bellissime icone pre-iconoclaste, capolavori rappresentativi dell’Occidente romano in epoca altomedievale.

Ora l’icona verrà riposta nuovamente nella Cappellina d’inverno, in un’area che nei prossimi mesi, al termine dei lavori di riqualificazione in corso, potrà essere fruita dal pubblico grazie a un programma di visite guidate dedicate.

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