Papa Francesco, nel corso del suo pellegrinaggio di pace in Ungheria, ha venerato nella Cattedrale di Santo Stefano a Budapest il 28 aprile la reliquia più sacra d’Ungheria: la mano destra del re Santo Stefano. Nulla di anacronistico o inaspettato in questo gesto: venerare una reliquia è venerare la misericordia di Dio, che ha preso dimora nel santo, come afferma il Vaticano II in Sacrosanctum Concilium 111: «La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare». La teca contenente l’arto incorrotto del primo re cristiano d’Ungheria è custodita infatti nella cattedrale della capitale e solo una volta all’anno viene portata in processione per la città, il 20 agosto, il giorno della sua traslazione. Per comprendere la grande ammirazione riservatagli dal popolo ungherese, non sarà inopportuno presentare brevemente i tratti principali della sua vita.
Stefano nacque nel 975; fu battezzato insieme a suo padre, il capo ungherese Geza, dall’arcivescovo Sant’Adalberto di Praga nel 985, occasione nella quale cambiò il suo nome pagano Vajk in Stefano. Fu l’artefice della conversione al cristianesimo dei magiari, popolazione nomade e orientale, stanziatasi nell’antica Pannonia – l’odierna Ungheria – tra le fertili pianue del Danubio. Per consolidare il suo regno e avviare la conversione della popolazione, mandò a Roma presso papa Silvestro II l’abate Astrik (o Anastasio), abate del primo monastero benedettino ungherese dedicato a San Martino di Tours, l’Abbazia territoriale di Pannonhalma. I monaci benedettini ebbero parte importantissima nella costruzione della civiltà stefanea e ungherese tutta. Da quel momento l’Ungheria si volse all’Occidente più che all’Oriente: l’ambasciata ebbe successo e il Papa acconsentì alle richieste di Stefano. Ottenne l’indipendenza del regno dal vassallaggio germanico e poté organizzare in maniera autonoma la sua chiesa, fondando monasteri e sedi episcopali, assumendo la corona regale nell’anno 1000. La leggenda di Santo Stefano, compilata dal vescovo Artvico, riferisce con parole commosse con quanto zelo il re provvedesse alle chiese, visitando ogni anno il paese e controllando ogni edificio sacro, fornendoli abbondantemente di oggetti preziosi, suppellettili e paramenti sacri.
Gli ultimi anni della sua vita furono amareggiati da malattie e problemi familiari. Dopo la morte del figlio Emerico, sorse una lite per il diritto alla successione. Alla morte di Stefano, nel 1038 la reazione pagana creò forti tensioni nel paese. A causa delle lotte per il trono, il capitolo cittadino temette che il corpo del re potesse essere profanato: ne ordinò dunque la rimozione dal sarcofago e fu in questo momento che la mano destra del re, la Santa Destra, rimasta intatta e ritenuta dotata di poteri miracolosi, fu staccata e portata nel tesoro della basilica. Alla fine di questo periodo turbolento l’Ungheria venne ricondotta sulle orme di Stefano e da allora egli è assurto alle glorie di eroe nazionale nel cuore degli ungheresi, come apostolo e protettore del suo popolo. Era il santo fondatore della loro potenza nazionale e della loro unità religiosa. Il regno, la nazione e la fede cristiana si fusero in un’unità quasi mistica, atmosfera che si respira ancora oggi. Nell’anno 1083, con il permesso di papa Gregorio VII, alla presenza di vescovi, abati e dignitari ungheresi, il re venne venerato con un rito equivalente allora alla canonizzazione. Il suo culto ben presto si diffuse anche al di fuori del regno, tanto che nel 1686 papa Innocenzo XI estese a tutta la Chiesa.
Tante furono le peripezie e gli spostamenti della preziosa reliquia, resisi necessari a causa di guerre e invasioni, non ultimi la Seconda Guerra Mondiale e il difficile periodo comunista. Ma dal 1989 a oggi la Santa Destra può di nuovo essere portata processionalmente per Budapest e per il paese, accolta festosamente da migliaia di fedeli ungheresi. E così è stata portata il 28 aprile alla venerazione di papa Francesco.
Se papa Gregorio Magno è stato il primo a trattare diffusamente circa il potere delle reliquie ed a utilizzarle quali strumenti chiave della sua politica internazionale, con papa Francesco è tornata – e con più frequenza dei suoi predecessori – la diplomazia delle reliquie dei santi. Dai due frammenti della Vera Croce donati al re Carlo d’Inghilterra, al reliquiario con frammenti ossei rinvenuti presso la tomba di Pietro, consegnato all’arcivescovo ortodosso Job di Telmessos e da questi al Patriarca Bartolomeo, alla reliquia di San Tommaso della Diocesi di Lanciano-Ortona e consegnata al catholicos della Chiesa assira d’Oriente Mar Awa III, ai frammenti delle assicelle in legno di acero rosso della Sacra Culla custodita a Santa Maria Maggiore, alle reliquie dei Santi Clemente e Potito al Patriarca bulgaro Neofit, solo per citare i casi più recenti. L’amore è l’anima della vita della Chiesa e dei suoi santi, che hanno dato la loro vita per portare il lieto annuncio di Cristo