Alle ore 11.00 del 21 novembre 2024, presso la Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione della Lettera del Santo Padre sul rinnovamento dello studio della Storia della Chiesa, documento che si colloca in continuità con la Lettera del Santo Padre Francesco sul ruolo della letteratura nella formazione, pubblicata lo scorso 4 agosto. Sono intervenuti l’Em.mo Card. Lazzaro You Heung-sik, Prefetto del Dicastero per il Clero; S.E. Mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira, Segretario del medesimo Dicastero; il Prof. Andrea Riccardi, Presidente della Società Dante Alighieri, già Professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Bari, alla Sapienza e alla Terza Università degli Studi di Roma, e la Prof.ssa Emanuela Prinzivalli, già ordinario di Storia del Cristianesimo e delle Chiese presso la Sapienza Università di Roma, Professore invitato di Patrologia presso l’Istituto Patristico Augustinianum, in collegamento da remoto.
La lettera del Santo Padre vuole incoraggiare a una rinnovata sensibilità storica, capace di rinnovare “la fiamma della coscienza collettiva“. Dopo venti secoli di cristianesimo, nel nostro tempo si avverte infatti un preoccupante scollamento dalla realtà storica, come aveva già detto nella Fratelli tutti, dove il Pontefice parlava di “perdita del senso della storia”. La storia invece è radice, è adesione al reale, indispensabile per intessere un rapporto con il reale, che convoca alla responsabilità etica, alla condivisione, alla solidarietà. Mai come in questo periodo dove siamo costantemente interconnessi e interdipendenti, abbiamo bisogno di dare una profondità, un’anima, una memoria a queste interconnessioni e queste interdipendenze che hanno un passato, che le ha portate al presente che vivono, per costruire consapevolmente il futuro. La conoscenza storica è anche un utile strumento per decostruire le narrazioni delle ideologie dominanti: “di fronte alla cancellazione del passato e della storia o ai racconti storici “tendenziosi”, il lavoro degli storici così come la sua conoscenza e ampia diffusione possono fare da argine alle mistificazioni, ai revisionismi interessati e a quell’uso pubblico impegnato in modo particolare a giustificare guerre, persecuzioni, produzione, vendita, consumo di armi e tanti altri mali“.
Lo studio della storia aiuta altresì a non avere “una concezione troppo angelica della Chiesa“, che rischierebbe di darci l’immagine di una istituzione astratta, priva delle sue macchie e delle sue rughe. Un sincero e coraggioso studio della storia aiuterà la Chiesa a capire meglio i suoi rapporti coi diversi popoli, e questo sforzo deve favorire “a esplicitare e interpretare i momenti più duri e confusi di questi popoli“. Niente apologie o strategie difensive: la ricerca della verità storica è necessaria perché, grazie al confronto, la Chiesa possa avviare sinceri ed efficaci percorsi di riconciliazione, di memoria penitenziale e di pace liberatrice per il futuro. Di qui la necessità che la storia, da una parte, esca fuori dal suo ruolo meramente ancillare nel percorso di studi teologici e, dall’altra, si nutra di una riscoperta e rilettura delle fonti, da esaminare senza filtri ideologici o precomprensioni. Un’ultima osservazione, a conclusione della lettera: tanto la storia quanto la teologia vanno studiate con passione e coinvolgimento, “con quella passione e quel coinvolgimento, personali e comunitari, propri di chi, compromesso nell’evangelizzazione, non ha scelto un posto neutrale e asettico, perché ama la Chiesa e l’accoglie come Madre così come essa è“.
Riportiamo l’intervento della professoressa Emanuela Prinzivalli, non incluso nella trascrizione degli interventi pubblicati nel Bollettino della Sala Stampa.
“Permettetemi prima una nota personale. Ho insegnato lunghi anni nella statale all’Università Sapienza di Roma e sono chiamata spesso presso le Università Pontificie – e questo mi onora – per insegnare Patrologia. Ho potuto sperimentare in prima persona quanto sia utile per studenti, in larghissima maggioranza facenti parte del clero, e quanto sia utile un approccio storico e filologicamente fondato, a quei testi a quelle fonti che richiamava Papa Francesco nella sua Lettera sulla storia della Chiesa. Parto dalla premessa che se c’è un tratto che caratterizza in modo particolare il cristianesimo, è il rapporto tra fede e storia perché Dio, in Gesù, entra direttamente a far parte – ma io direi di più, sottomettersi – della storia degli uomini con uno scarto ulteriore rispetto alla matrice ebraica, dove pure la storia è il luogo privilegiato dell’incontro tra Dio e l’essere umano. Non è quindi un puro caso che Ponzio Pilato entri nei simboli di fede professati dalla comunità, sia il Simbolo Apostolico, sia il Simbolo Niceno-costantinopolitano. Questo dialogo tra fede e storia nell’attuale frangente storico è quanto mai opportuno: ai sacerdoti serve per evitare i rischi di una formazione che, se troppo sbilanciata sulla dogmatica, difficilmente può trovare le parole adatte a suscitare l’interesse di un uditorio di fedeli che, almeno in Occidente, si mostra oggi assai più interessato al volto umano di Gesù di Nazareth. E precisamente a questo volto – questo ci tengo a dirlo – sono interessati anche i non credenti. Insegnando per tanti anni nelle università statali, l’ho potuto constatare: quando in un corso di storia del cristianesimo o di storia della teologia si parla di Gesù come personaggio storico, questo attrae incredibilmente persone che non hanno fede. Vengo dunque al punto che più mi sta a cuore. La sensibilità storica, come dice il Papa, è una sensibilità che sa misurarsi sulla lunga durata; deve saper risalire sino a questo momento frontale e a scoprire in Gesù, quel Gesù di carne di cui parla anche nella Lettera sulla letteratura, che è il miglior antidoto all’eccesso di dogmatismo. E ciò serve a mettere nella giusta prospettiva la successiva storia dei cristiani: amo parlare di storia dei cristiani, sia per quanto riguarda la fedeltà evangelica, sia le deviazioni e diciamolo, anche i tradimenti. Non dimentichiamo che la parabola storica di Gesù si colloca sul lato dei vinti, non su quello dei vincitori e il suo annuncio del regno di Dio contiene una contestazione del presente; questo deve far riflettere ed evitare ogni lettura trionfalistica della vicenda della Chiesa. Un’autentica sensibilità storica aiuta a leggere in controluce le fonti, a comprendere il punto di vista degli altri – gli altri che molto spesso sono altri cristiani -, a capire lo sviluppo del dogma, che già il cardinale Newman aveva ben individuato. La conoscenza della storia con le sue luci e le sue ombre aiuta a sviluppare un sentimento di tolleranza, io direi di pietas verso gli errori di tutti e predispone alla riconciliazione tra i fratelli cristiani. Insomma, promuove anche una prospettiva ecumenica. Consente di guardare all’essenziale, che poi secondo quanto aveva enunciato la Dei Verbum, è il Vangelo, discernendo ciò che è centro da ciò che è periferia. Mi esprimo così, parlando di centro e periferia, per evitare il termine relativizzare, che non gode di buona fama, ma forse lo si demonizza troppo e ci si dimentica che il primo a relativizzare in un certo senso fu Gesù. Quando, a proposito del quesito sul ripudio della moglie, relativizzò la legge di Mosé, fatta per la durezza dei cuori. rispetto all’unico imperativo che è quello di Dio. Grazie al Papa per questa lettera, grazie a voi tutti che avete voluto questa mia breve partecipazione e buon proseguimento”.