Il cristiano è la persona umana chiamata a risollevare gli altri, «dando loro speranza e aiuto»: è questo il cuore delle riflessioni di papa Francesco durante la preghiera dell’Angelus, in questa XXXII Domenica del Tempo Ordinario. La parola del Pontefice nasce dalla liturgia del giorno, la quale ci ha invitati a incarnare la Prima Lettura (dal Primo Libro dei Re: 17,10-16), che ci ha presentato la fede di una povera vedova di Sarèpta – intercettata, questa, dalla presenza del profeta Elia; e la pericope evangelica di Marco 12,38-44, Gli scribi giudicati da Gesù e L’obolo della vedova.
Il Vescovo di Roma mette in guardia dalla pericolosa ipocrisia di alcuni scribi (cfr. vv. 38-40); poiché in essi, «al di là delle apparenze spesso il loro comportamento non corrispondeva a ciò che insegnavano. Non erano coerenti. Alcuni, infatti, forti del prestigio e del potere di cui godevano, guardavano gli altri “dall’alto in basso” – è molto brutto questo, guardare l’altra persona dall’alto in basso –, si davano delle arie e, nascondendosi dietro una facciata di finta rispettabilità e di legalismo, si arrogavano dei privilegi e arrivavano persino a commettere veri e propri furti a danno dei più deboli, come le vedove (cfr v. 40). Invece di usare il ruolo di cui erano investiti per servire gli altri, ne facevano uno strumento di prepotenza e, di manipolazione. E succedeva che anche la preghiera, per loro, rischiava di non essere più il momento dell’incontro con il Signore, ma un’occasione per ostentare perbenismo e finta pietà, utile per attirare l’attenzione della gente e guadagnare consensi (cfr ivi)». Francesco sottolinea – nelle sue meditazioni – il tarlo della corruzione, che teneva imprigionati questi maestri d’Israele: «da queste persone Gesù raccomanda di stare alla larga, di “guardarsi bene” (cfr v. 38), di non imitarle. Anzi, con la sua parola e il suo esempio, come sappiamo, insegna cose molto diverse sull’autorità. Ne parla in termini di sacrificio di sé e di servizio umile (cfr Mc 10,42-45), di tenerezza materna e paterna nei confronti delle persone (cfr Lc 11,11-13), specialmente di quelle più bisognose (Lc 10,25-37)».
Le raccomandazioni finali del Pontefice ci consegnano la gravosa vocazione della povertà evangelica, che diventa prossimità nel bene: «Allora, fratelli e sorelle, possiamo chiederci: io come mi comporto nei miei ambiti di responsabilità? Agisco con umiltà, oppure mi faccio vanto della mia posizione? Sono generoso e rispettoso con le persone, oppure le tratto in modo sgarbato e autoritario? E con i più fragili, sto loro vicino, so chinarmi per aiutarli a rialzarsi?».