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Papa Francesco: i monaci, cuore pulsante dell’annuncio e vera forza del popolo di Dio

da | 26 Apr 2023 | Monasteria

Città del Vaticano   – I monaci, cuore pulsante dell’annuncio e vera forza del popolo di Dio: con queste parole potremmo riassumere le parole di papa Francesco all’udienza generale in piazza San Pietro.  Proseguendo le catechesi sui testimoni dello zelo apostolico, il Papa si è soffermato sulla testimonianza di monache e monaci, “sorelle e fratelli che rinunciano a sé e al mondo per imitare Gesù sulla via della povertà, della castità, dell’obbedienza e per intercedere a favore di tutti”. Vite che parlano da sé, ma una domanda sorge spontanea: “come può della gente che vive in monastero aiutare l’annuncio del Vangelo?”. Eppure la vita claustrale è una forma tutta speciale di missione ed evangelizzazione. “In realtà” – prosegue il pontefice – “i monaci sono il cuore pulsante dell’annuncio: la loro preghiera è ossigeno per tutte le membra del Corpo di Cristo, è la forza invisibile che sostiene la missione”. Non a caso ad essere patrona delle missioni è Santa Teresa di Gesù Bambino, morta a 25 senza aver mai lasciato il suo monastero di Lisieux. Nella sua autobiografia scriveva: “Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni […]. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. […] Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore».

È proprio l’amore per ogni uomo ad animare la vita dei monaci, che finisce col tradursi nella preghiera di intercessione. A questo proposito il Pontefice ricorda una seconda figura monastica, quella di San Gregorio di Narek, che papa Francesco aveva proclamato Dottore della Chiesa il 12 aprile 2015. Scrisse quella che è la sua opera più famosa, “Il Libro della Lamentazione”, un intimo colloquio con Dio che ne fa uno dei più grandi mistici del cristianesimo. Scrisse anche un commento al Cantico dei Cantici e diversi panegirici, preannunciando l’immacolata Concezione ottocento anni prima della proclamazione. “È un monaco armeno, vissuto attorno all’anno Mille” – nelle parole di presentazione del Papa – “che ci ha lasciato un libro di preghiere, nel quale si è riversata la fede del popolo armeno, il primo ad abbracciare il cristianesimo; un popolo che, stretto alla croce di Cristo, ha tanto sofferto lungo la storia. San Gregorio trascorse nel monastero di Narek quasi tutta la vita. Lì imparò a scrutare le profondità dell’animo umano e, fondendo insieme poesia e preghiera, segnò il vertice sia della letteratura sia della spiritualità armena”. L’aspetto che colpisce in Gregorio di Narek è la solidarietà universale di cui si fece interprete: “Fra i monaci e le monache c’è solidarietà universale, il loro è un cuore che è come una antenna e prendono su di sé i problemi del mondo”. L’evocazione della figura del monaco armeno non deve apparire casuale: due giorni fa, il 24 aprile, si è celebrato il giorno del ricordo del Genocidio armeno del 1915. Ricordo su cui Papa Francesco ha coraggiosamente e apertamente insistito nel suo viaggio apostolico in Armenia, dove aveva pregato proprio davanti al memoriale del massacro, accompagnato da Karekin II, Catholicos Armeno-apostolico.

I monasteri sono i grandi evangelizzatori. Sono un ponte di intercessione”. Il Papa ha citato anche una particolare forma di preghiera monastica, quella delle lacrime: i monaci “piangono per i loro peccati e per i peccati del mondo”. Le lacrime sono segno di pentimento e dono di grazia: è la compunzione del cuore, parola che significa letteralmente “puntura”. Il cuore, gonfio per il dolore delle proprie azioni sbagliate o per le sofferenze del mondo, punto in profondità, effonde in un pianto di penitenza e compassione. Già i Padri del deserto egiziano del IV secolo sottolineavano l’importanza delle lacrime come mezzo di purificazione e di preghiera. Evagrio Pontico, rivolgendosi a loro, scriveva: Colui che conosce i propri peccati è più grande di colui che con la preghiera risuscita un morto. […] Colui che per un’ora piange su se stesso è più grande di colui che ammaestra l’universo intero. Colui che conosce la propria debolezza è più grande di colui che vede gli angeli […]Quando tu piangi di pentimento, i tuoi pensieri si incamminano sulla strada della vita eterna. Anche altri santi, come San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena, sono noti per aver pianto spesso durante la preghiera e la meditazione.

Concludendo, il Pontefice ha parlato dei monasteri come vera e propria riserva di evangelizzazione: “questa, scusate la parola, riserva che abbiamo nella Chiesa, sono la vera forza che porta avanti il popolo di Dio e da cui viene l’abitudine della gente quando incontra un consacrato o una consacrata di dire: “Prega per me”. Ci farà bene, nella misura che noi possiamo, visitare qualche monastero. Lì hanno le mani sempre occupate o per lavorare o per pregare”.

Infine l’esortazione: “Che il Signore ci dia nuovi monasteri che portino avanti la chiesa con la loro intercessione”.

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