Papa Francesco è intervenuto con un videomessaggio all’apertura del nuovo Anno Accademico 2024/2025 della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia San Giovanni Evangelista di Palermo. “La vostra Facoltà“, ha esordito, “è chiamata [..] a farsi protagonista per affrontare quelle sfide che il Mediterraneo pone alla teologia: il dialogo ecumenico con l’Oriente; il dialogo interreligioso con l’Islam e l’Ebraismo; la difesa della dignità umana del Mare nostrum, spesso reso monstrum dalle logiche di morte; la forza culturale e sociale della religiosità popolare – la “pietà popolare”, come ha detto san Paolo VI –; la risorsa della letteratura per il riscatto della dignità culturale del popolo; e, soprattutto, le sfide di liberazione che giungono dal grido delle vittime della mafia“.
Dire Mediterraneo significa dire differenza, pluralità, alterità. Ponte storico, geografico, umano tra Europa, Africa e Asia, il Mediterraneo è da sempre luogo di transiti, di scambi e anche di conflitti. Uno spazio tutt’altro che omogeneo, scriveva lo storico francese Fernand Braudel. Bacino praticamente chiuso rispetto agli oceani, è un sistema dove tutto si mescola e si ricompone in una unità originale, da sempre aperto al meticciato e alla contaminazione feconda e reciproca, in una dimensione multiculturale e pluri-religiosa. Ma oggi non è più la culla di civiltà; il Mare Nostrum è diventato il mare mortuum, una delle tratte più pericolose al mondo, il cimitero d’Europa. Per questo oggi più che mai il Mediterraneo ha bisogno di “una teologia viva, con-promessa con la storia, così come Dio si è compromesso nel Figlio con le nostre lacrime e le nostre speranze“. E di Mediterraneo Papa Francesco si è occupato parecchio.
Papa Francesco e il Mediterraneo: potrebbe essere la trama di un libro, solo che non si tratterebbe di un romanzo, ma di una realtà fatta di drammatici appelli, rimasti perlopiù inascoltati. Nel primo viaggio del suo pontificato, l’8 luglio 2013, il Santo Padre si è recato in una visita commossa e fortemente voluta all’isola di Lampedusa, dopo il naufragio di un gommone di migranti nelle acque del canale di Sicilia. A Lesbo, tra i migranti dell’isola greca, il Papa è andato due volte, nel 2016 con la presenza del patriarca ecumenico Bartolomeo e poi cinque anni dopo, nel 2021. Intanto nel 2019 firmava con il Grande Imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyib il “Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, una carta che, da una sponda all’altre del Mediterraneo, ci ricorda che la strada della fraternità è la risposta migliore ai conflitti. Nel febbraio del 2020 a Bari, ribattezzata per l’occasione capitale dell’unità della Chiesa, ci fu l’incontro del pontefice con i vescovi del Mediterraneo. E come dimenticare il gesto compiuto in occasione della 77esima Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (22-25 maggio 2023), quando Papa Francesco regalò ai vescovi italiani la copia di un libro che lo aveva profondamente commosso. Era Fratellino, il libro-testimonianza che racconta la vera storia di un tredicenne originario della Guinea che si mette alla ricerca del fratello minore, partito con l’intenzione di raggiungere l’Europa e mai arrivatoci. “C’è un problema che mi preoccupa, che è quello del Mediterraneo“, aveva ribadito il pontefice in aereo con i giornalisti, di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù in Portogallo nell’agosto del 2023. E un mese dopo a Marsiglia, accanto ai leader delle altre Chiese e religioni, rendeva omaggio ai morti nel Mediterraneo, trasformatosi in un enorme cimitero, dove a venire seppellita è solo la dignità umana. Potremmo andare avanti ricordando, tra gli altri, gli interventi in occasione delle giornate mondiali del migrante e del rifugiato. È del 24 agosto 2024 l’ultimo dei diversi messaggi di ringraziamento a don Mattia Ferrari, cappellano della Mediterranea Saving Humans, per il servizio a favore delle vite dei migranti. E in un recentissimo video del 19 ottobre al convegno nazionale di Azione Cattolica il pontefice ribadisce: “Il migrante, Dio lo ama molto, se ne prende cura. Non possiamo chiudere la porta al migrante“.
Le scuole e le facoltà teologia nel loro lavoro intellettuale hanno il compito di favorire questo stile teologico mediterraneo, una teologia fatta di accoglienza e dialogo. Tutta la tradizione della Chiesa è mediterranea: le comunità del Nuovo Testamento, il patrimonio teologico dei Padri, le generazioni di pensatori e testimoni della fede si sono formate in questo bacino geografico e teologico. E questa tradizione va riletta e reinterrogata a garanzia del nostro futuro. Già nel V secolo il monaco Vincenzo di Lérins lo aveva affermato con questi tre criteri: annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. Lungo le rive del Mar Mediterraneo deve compiersi quello che avvenne lungo le rive del mare di Galilea: intessere reti di salvezza, intrecciate con la misericordia di Dio, con le quali la Chiesa può continuare ad essere segno e strumento di salvezza del genere umano. Fare teologia nel Mediterraneo, significa ricordare che l’annuncio del Vangelo passa attraverso la promozione della giustizia, il superamento delle disuguaglianze e la difesa delle tante vittime innocenti; significa seguire, per quanto difficoltosa, la rotta del dialogo ecumenico con le Chiese d’Oriente e delle esperienze di incontro e collaborazione nel dialogo interreligioso con le comunità che si affacciano sul Mediterraneo. Lo Spirito di Assisi, inaugurato da San Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986, ha aperto una visione nuova delle responsabilità che le religioni sono chiamate a nutrire per la pace, particolarmente per il Mediterraneo. Che questo splendido mare possa tornare al più presto ad essere un laboratorio di pace e non più la tomba dove muore l’Europa.