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Pasqua, il rito della benedizione delle uova 

da | 20 Apr 2025 | Liturgia

Uova benedette: il miracolo pasquale tra liturgia, tradizione e sfida educativa

A prima vista è solo un gesto: un cesto di uova, una tovaglia pulita, un segno della croce, una preghiera. Eppure, nella benedizione delle uova a Pasqua si nasconde un intero mondo: un intreccio di simboli, fede, storia e contraddizioni che raccontano la nostra religiosità più profonda — quella fatta di mani operose, ricordi familiari e gesti che resistono al tempo.

L’uovo, in sé, è già un miracolo. Nella sua forma perfetta, senza vero inizio né fine, racchiude la promessa di una vita nuova. È simbolo di rinascita, di primavera, di speranza. Lo era per gli antichi Romani, che ne seppellivano uno dipinto di rosso nei campi per propiziarsi un buon raccolto. Lo è tuttora per gli ebrei, che durante la Pesach ricordano l’esodo dall’Egitto, con l’uovo come emblema di un ciclo continuo di morte e vita. E lo è per i cristiani, che nella Pasqua celebrano il trionfo del Risorto sulla morte.

L’uovo, in fondo, ricorda anche il sepolcro di Gerusalemme: chiuso, in apparenza sterile, eppure destinato ad aprirsi alla vita. Da lì, da quel grembo di pietra, Cristo è uscito vivo. Così l’uovo diventa segno di un altro tipo di miracolo: la vita che nasce dove sembrava impossibile. Per questo è simbolo di speranza.

Non sorprende allora che la Chiesa, fin dalle origini, abbia accolto e trasformato questo segno. La benedizione delle uova nel giorno di Pasqua è espressione della pietà popolare, diffusa sia in Oriente che in Occidente. Un gesto semplice, umile, ma carico di senso, che prolunga nella vita quotidiana il messaggio della Risurrezione: Cristo ha vinto la morte, e la sua luce ridesta l’uomo e il mondo.

Ecco la preghiera che accompagna questo rito (Benedizionale nn. 1699-1704):

“Benedetto sei tu, Signore del cielo e della terra,
che nella radiosa luce del Cristo risorto
ridesti l’uomo e il mondo alla vita nuova
che scaturisce dalle sorgenti del Salvatore:
guarda a noi tuoi fedeli
e a quanti si ciberanno di queste uova,
umile e domestico richiamo alle feste pasquali;
fa’ che ci apriamo alla fraternità
nella gioia del tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore,
che ha vinto la morte
e vive e regna nei secoli dei secoli.”

Ma come spesso accade, anche i riti più belli possono perdere il loro centro. Fino al 1955, la Chiesa aveva spostato alcuni momenti della Veglia pasquale al mattino del Sabato santo, compresa la benedizione dell’acqua nuova e, con essa, delle uova. Con il ripristino della Veglia notturna, non avrebbe più senso benedire le uova al sabato mattina. Eppure, ancora oggi, in moltissime parrocchie italiane, i fedeli si presentano all’alba del sabato con le sporte colme e il cuore colmo di aspettativa.

Molti vivono una religiosità senza fede: una devozione fatta di abitudini, gesti, oggetti — ma senza più il respiro del Vangelo. È qui che si innesta la sfida, ancora tutta aperta, della nuova evangelizzazione lanciata da Giovanni Paolo II e rilanciata da papa Francesco con l’Evangelii gaudium. Non si tratta di cancellare le tradizioni, ma di riportarle al cuore vivo della fede. Di scegliere, talvolta con coraggio, strade di rottura, accompagnando le persone dentro un cammino di riscoperta.

Perché dietro un uovo benedetto c’è più di un’usanza. C’è il mistero della vita che rinasce, del sepolcro che si apre, della speranza che non muore. Basta saperla raccontare.

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