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San Guglielmo da Vercelli e la spiritualità monastica a Montevergine 

da | 25 Giu 2025 | Monasteria

Nel cuore dell’XI e XII secolo, epoca di forti contrasti religiosi, fermenti spirituali e riforme monastiche, emerge la figura carismatica e profetica di San Guglielmo da Vercelli. La sua opera si inscrive in un momento storico segnato da un grande dinamismo religioso: da un lato, l’imponenza di Cluny, con la sua liturgia solenne e il suo monachesimo centralizzato; dall’altro, una crescente tensione verso forme di spiritualità più essenziali, eremitiche, povere, interiori.

Per comprendere davvero la missione di Guglielmo, non basta guardare alla sua vita ascetica e al suo carattere forte e riservato. È necessario cogliere lo spirito del tempo, osservare le linee di frattura tra tradizione e innovazione, e vedere come, proprio dentro questo solco, il fondatore di Montevergine ha saputo portare un’impronta nuova e personale.

Un tempo di crisi e di riforma

Quando San Guglielmo fonda il suo primo monastero sul monte Partenio (1118-1124), Cluny stava attraversando una fase di declino: l’abate Ponzio, figura controversa, si dimette nel 1122 e viene scomunicato pochi anni dopo. La grande abbazia, simbolo della cristianità monastica europea, cerca di rilanciarsi sotto la guida di Pietro il Venerabile, ma ormai l’epoca d’oro di Cluny – quella di Maïolo, Odilone e Ugo – è al tramonto.

In questo scenario nasce una nuova generazione di movimenti religiosi: Camaldolesi, Vallombrosani, Cistercensi e Pulsanesi. Tutti accomunati da un ritorno alle origini del monachesimo, da una ricerca di purezza spirituale, semplicità, povertà, silenzio, solitudine e penitenza. È qui che si inserisce l’opera di Guglielmo, che raccoglie questa tensione interiore e la rielabora con originalità.

Un eremita con cuore apostolico

San Guglielmo si distingue subito per la sua scelta radicale: non la magnificenza liturgica, non l’architettura sontuosa dei grandi monasteri, ma la solitudine dei monti e la vita austera degli eremiti. Tuttavia, il suo eremitismo non è fuga, ma preparazione. Si ritira per purificarsi, per ascoltare Dio, ma poi torna tra gli uomini per evangelizzare. Guglielmo è eremita e apostolo insieme.

Lo troviamo in luoghi sempre più solitari – Montevergine, Laceno, monte Cognato, Goleto – ma anche tra le corti, come quella di re Ruggero, dove predica e testimonia. Il suo è un carisma che conquista i potenti e consola i poveri. Non si rifugia nel chiostro per sottrarsi al mondo, ma vi rientra da purificato, come un «messo di Dio».

Una regola antica, un’anima nuova

La spiritualità di Guglielmo non nasce dai libri, né da lunghe permanenze in grandi abbazie: è il frutto di una vita spesa nella preghiera, nella fatica fisica, nella contemplazione. Non inventa una nuova regola, ma si rifà alla Regola di San Benedetto, adattandola a uno stile di vita che unisce l’eremitismo all’apostolato.

Ai suoi primi discepoli propone una vita semplice: lavorare con le proprie mani per vivere e aiutare i poveri, alternare lavoro e preghiera, celebrare i divini uffici senza eccessi esteriori. Invece delle grandi chiese cluniacensi, Guglielmo costruisce capanne, celle e oratori. Invece di splendide liturgie, preferisce la notte passata in silenziosa contemplazione davanti a una croce nuda.

Questa spiritualità si concretizza in una “norma anacoretica”, in cui la vita interiore è al centro, e ogni attività esteriore – anche la predicazione – nasce dal silenzio e dall’unione con Dio.

La povertà come testimonianza

San Guglielmo è un uomo di penitenza. A 15 anni compie pellegrinaggi a piedi nudi, si ciba solo di pane e acqua, si cinge il corpo con cerchi di ferro. La sua vita è una continua crocifissione di sé: dorme poco, lavora duramente, mangia fave e castagne, si riveste di corazze e si ritira in tuguri.

Ma tutta questa ascesi non ha nulla di autoreferenziale. È finalizzata a un’azione: trasformare sé stesso per essere strumento di bene, esempio di santità, predicatore autorevole, guida per i poveri. La povertà è la sua forza; l’umiltà, la sua autorità.

La devozione mariana e Montevergine

Un tratto distintivo del carisma di Guglielmo è la devozione alla Madonna. Se Cluny e san Bernardo avevano già contribuito a diffondere il culto mariano, Guglielmo lo assume come chiave della sua missione. La prima chiesa costruita a Montevergine è dedicata a Maria, come anche quella sul monte Cognato. E sarà proprio la devozione mariana a diventare il cuore pulsante del suo apostolato e il seme da cui germoglierà il Santuario di Montevergine: luogo di fede popolare, rifugio spirituale, meta di pellegrinaggi per secoli.

Montevergine non è solo un monastero: è un ponte tra l’ascesi e il popolo. È il luogo dove il Santo incontra l’uomo comune, dove la santità eremitica si fa accoglienza, conforto, luce per gli ultimi.

Un’identità unica nel panorama monastico

Mentre i Cluniacensi alzavano basiliche per invitare il mondo ad ammirare la loro perfezione, Guglielmo voleva che i suoi religiosi vivessero nascosti. Mentre i Cistercensi cercavano la perfezione individuale, lui cercava la salvezza delle anime. E mentre i Camaldolesi passavano dal cenobio all’eremo, Guglielmo partiva dall’eremo per raggiungere la folla.

La sua opera non ha la pretesa dei Cistercensi di essere l’unica vera interpretazione della Regola benedettina. La sua è una via concreta e misericordiosa, fondata su equilibrio, semplicità, umiltà, e soprattutto carità operosa.

Un’eredità viva

Con l’abito bianco come i monaci di Camaldoli e Cîteaux, ma senza contrapporsi agli altri ordini, i Verginiani vissero accanto ai Benedettini, in pace e cooperazione. Portarono nelle terre del Sud, spesso isolate e abbandonate, un messaggio di pace, di rinnovamento interiore, di ritorno al Vangelo.

Attraverso il culto mariano e una vita semplice, umile, laboriosa e penitente, i monaci di Montevergine prepararono il terreno per la spiritualità degli ordini mendicanti che avrebbero seguito. La loro fu un’opera silenziosa, ma potente. E l’opera di San Guglielmo continua a vivere nei secoli, nella devozione che ancora oggi anima il Santuario di Montevergine, cuore pulsante di fede popolare e memoria spirituale del Mezzogiorno.

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