“Perché Mattarella è andato al monastero di Camaldoli?”. È la domanda che si sono posti in molti per questa visita così insolita. “È la prima volta che vedo Camaldoli“, ha esclamato il Presidente Sergio Mattarella di fronte ai monaci, “è unbellissimo posto“. Ed è proprio così: l’eremo di Camaldoli, una riserva di spiritualità ed energia per la Chiesa e la società tutta, è da mille anni immersa in una natura splendida e incontaminata. Ad attenderlo, il Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, insieme al priore generale Dom Alessandro Barban e alla comunità dei monaci camaldolesi, tutti rigorosamente in bianche vesti. L’evento, organizzato per gli 80 anni del Codice di Camaldoli, commemora aperto dai saluti di Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di Arezzo-Cortona e Sansepolcro, è proseguito con la prolusione del Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, dal titolo “Vocazione di cristiani e coscienza di cittadini: i cattolici e l’Italia” seguito dalla relazione di Tiziano Torresi, Professore Ordinario presso l’Università degli Studi Roma tre, dal titolo “Luglio 1943: tra memoria, storia e storiografia”.
Tutto risale al luglio del 1943, quando un gruppo di professionisti e di intellettuali cattolici si ritrova nella quiete del monastero di Camaldoli mentre fuori infuriava la guerra. In quell’incontro già si preparava la rinascita dell’Italia: il fascismo era in crisi progressiva, teologia e pensiero contemporaneo stavano cercando un terreno comune. L’ispirazione venne dalla Segreteria di Stato Vaticana sotto Pio XII, da parte l’allora mons. Giovanni Battista Montini, oggi San Paolo VI: quell’incontro, pur nelle difficoltà della guerra che dimezzò i partecipanti, si svolse tra il 18 e il 24 luglio del 1943, mentre la capitale veniva sfregiata dai bombardamenti. Il giorno successivo, il 25 luglio, cadde anche il regime fascista. Non è un caso, se il Codice di Camaldoli coinvolse soprattutto giovani. Il capofila, Sergio Paronetto, morto giovane nel 1945, aveva trentaquattro anni. Giuseppe Dossetti – che non andò a Camaldoli ma fu un punto di riferimento – ne aveva trenta, Paolo Emilio Taviani trentuno, Aldo Moro ventisette, Giulio Andreotti ventiquattro. La riflessione di Camaldoli si rivela, ad esempio, nei primi tre articoli della Costituzione, sui quali lavorò tra gli altri lo stesso Moro. I più anziani, come Giorgio La Pira e Amintore Fanfani, non superavano i quaranta anni di età. De Gasperi fu subito incuriosito dalla lettura delle bozze del Codice, che doveva essere alla base di una ricostruzione etica, di un ordine nuovo basato sulla giustizia sociale.
Il documento che uscì fuori da quell’assise, nel 1945, aveva il significativo titolo “Per la comunità cristiana”. Un testo “eterogeneo, provvisorio, perfettibile”, ha detto Alessandro Pratesi, “frutto di una sfida del pensiero che non ha avuto paura della storia”, che ha coinvolto – come si legge nell’avvertenza – “gli spiriti più attenti, gli animi più appassionati, fra i quali fermentano i germi del rivolgimento sociale che batte alle porte dei tempi nuovi”.
Il Card. Matteo Zuppi, di ritorno dalla sua terza missione diplomatica negli USA, dopo Kiev e Mosca, parla instancabilmente di pace: “Dobbiamo constatare che la pace non è mai un bene perpetuo neanche in Europa. Questa consapevolezza dovrebbe muoverci a responsabilità e decisioni” – e usa 15 volte la parola pace: “Anche allora c’era un Papa che, come oggi Francesco, parlava senza sosta di pace: Pio XII. Perché la posizione dei Papi del Novecento, tutti, è farsi carico del dolore della guerra, cercando in tutti i modi vie di pace, curando le ferite dell’umanità e favorendo la soluzione dei problemi”.
“Uno dei problemi di oggi” – ha detto il cardinale – “è invece proprio il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati”. Questo è, piuttosto, “il tradimento della politica stessa!”.
Quel documento eccezionale e per certi versi ancora poco conosciuti, che è “il Codice di Camaldoli, è diventato il simbolo della capacità di iniziativa dei cattolici per il futuro dell’Italia durante la guerra. Lo si è ricordato ogni volta che si è cercata una ripartenza: alla Costituente, agli albori degli anni Sessanta, dopo il grande cambiamento politico dei primi anni Novanta. Oggi siamo in una stagione in cui si sente il bisogno di una responsabilità civile maggiore. Per l’Italia, per l’Europa, per il mondo: tutto è incredibilmente connesso. Una ripartenza? Certo, non si può restare inerti. Non si può restare chiusi nel proprio io: bisogna avere il coraggio del noi! Fosse un noi che discute, diverge, ascolta, propone. Siamo, come allora, travolti dalla tempesta della guerra”.
Come ripete spesso papa Francesco: siamo tutti sulla stessa barca: “Tornare a Camaldoli, allora, è un bisogno e una chiamata alla responsabilità: per guardare lontano e non essere prigionieri del presente. Il Codice è stato un’iniziativa coraggiosa di chi non aspettava gli eventi, non stava a guardare ma voleva andare oltre il fascismo e le distruzioni della guerra. Niente avviene in maniera uguale. Ma lasciamoci ispirare dalla storia. Diceva Winston Churchill: Più riesci a guardare indietro, più riesci a guardare avanti”.
La visione di Camaldoli ha aiutato a preparare quell’inchiostro con cui venne scritta la Costituzione italiana: i cattolici arrivarono preparati all’Assemblea costituente e il loro apporto fu di fondamentale importanza. Un documento, siamo certi, che potrà servire utilmente da bussola anche nella confusa politica del presente.