«Un supplemento di spiritualità» è quello che papa Francesco ha indicato alla intera Comunità Accademica della Pontificia Università Gregoriana, nel suo Discorso pronunciato martedì 5 novembre scorso; così come «l’essere missionari per amore dei fratelli e di essere disponibili alla chiamata del Signore, e tutto (strumenti e ispirazione) purificare nella tensione a Cristo. La missione è il Signore che la ispira e la sostiene. Non si tratta di prendere il Suo posto con le nostre pretese che rendono burocratico, prepotente, rigido e senza calore il progetto di Dio, spesso sovrapponendo agende e ambizioni ai piani della Provvidenza».
Il Vescovo di Roma ha declinato l’alto valore della formazione, che va ben oltre il vuoto nozionismo: «Questo è un luogo in cui la missione si dovrebbe esprimere attraverso l’azione formativa, ma mettendoci il cuore. Formare è soprattutto cura della persona e quindi discreta, preziosa, e delicata azione di carità. Altrimenti l’azione formativa si trasforma in arido intellettualismo o perverso narcisismo, una vera e propria concupiscenza spirituale dove gli altri esistono solo come spettatori plaudenti, scatole da riempire con l’ego di chi insegna». Egli ha aggiunto: «Il cuore è il luogo di partenza e di arrivo di ogni relazione, con Dio e con le sorelle e i fratelli. Relazioni con tutti».
La «missione educativa» che il Pontefice consegna alla Gregoriana è la seguente: «Umanizzare i saperi della fede, e ad accendere e rianimare la scintilla della grazia nell’umano, curando la transdisciplinarietà nella ricerca e nell’insegnamento». Egli invita – con parresìa evangelica – a misurarsi con quel «corpo a corpo con i grandi pensieri, secondo la misura della capacità di ciascuno, senza scorciatoie che sottraggono libertà alla decisione, spengono la gioia della scoperta, e privano dell’occasione di sbagliare. Dagli errori si impara. Spesso sono gli errori a colorare i personaggi dei nostri romanzi formativi»; e alla piena incarnazione della gratuità: «È la gratuità che ci apre alle sorprese di Dio che è misericordia, liberando la libertà dalle bramosie. È la gratuità che rende virtuosi i sapienti e i maestri. È la gratuità che educa senza manipolare e legare a sé, che si compiace nella crescita e che promuove l’immaginazione. È la gratuità che rivela l’essere del Mistero di Dio amore, questo Dio amore che è vicinanza, compassione, tenerezza che fa il primo passo sempre, il primo passo verso tutti, nessuno escluso, in un mondo che sembra aver perso il cuore».
Il Pontefice si chiede: «Cosa possiamo fare? Cosa possiamo sperare? La promessa di salvezza è ferita. Questa parola salvezza – non può essere ostaggio di chi alimenta illusioni declinandola con vittorie insanguinate mentre le nostre parole sembrano svuotate della fiducia nel Signore che salva, del suo Vangelo che ci sussurra parole e mostra gesti che veramente redimono. Gesù è passato nel mondo rivelando la mitezza di Dio. I nostri pensieri lo imitano o lo usano, mi domando, per mascherare la mondanità che l’ha condannato ingiustamente e ucciso? Disarmiamo le nostre parole! Parole, miti, per favore! Abbiamo bisogno di recuperare la via di una teologia incarnata che resusciti la speranza, di una filosofia che sappia animare il desiderio di toccare il lembo del mantello di Gesù, di affacciarsi al limite del mistero. Abbiamo bisogno di un’esegesi che apra lo sguardo del cuore, che sappia onorare la Parola che cresce in ogni tempo con la vita di chi la legge nella fede. Abbiamo bisogno dello studio delle tradizioni orientali, capace di suscitare lo scambio dei doni tra le diverse tradizioni e mostrare la possibilità della composizione delle differenze».
Francesco consegna alla Università la vocazione al “contatto” con la carne dei poveri, all’umiltà che ha bisogno dell’altro-da-sé, al cuore che dialoga e unisce i frammenti; il dialogo dovrebbe essere caratterizzato dai seguenti atteggiamenti: «Deporre le armi, mettere l’altro sullo stesso piano per guardarlo negli occhi. Disarmarsi, disarmare i pensieri, disarmare le parole, disarmare gli sguardi e poi essere alla stessa altezza per guardarsi negli occhi. Non c’è un dialogo dall’alto in basso, non c’è. Solo così l’insegnamento diventa un atto di misericordia». Ne consegue l’alta missione, per l’intera Comunità: «Portare sulle vostre spalle la storia di fede, di sapienza di sofferenza, sofferenza di tutti i tempi. Camminare nel presente in fiamme che ha bisogno del vostro aiuto e tenendo per mano il futuro: insieme, passato, presente e futuro».
Il «primato del servizio» e il «sentire con la Chiesa» rimangono i cardini di tutta la vita accademica; uniti alla diaconia: «Diaconia della cultura al servizio della ricomposizione continua dei frammenti di ogni cambiamento d’epoca. Diaconia realizzata non evitando la fatica del concetto incarnato, la fatica del concetto che cerca la sintonia con lo spirito, la ricerca della comunione dopo i conflitti: conflitti interiori ed esteriori. Abbiate per questo l’ambizione del pensiero che costruisce ponti, che dialoga con i pensieri diversi, che tende alla profondità del mistero».
Francesco – a conclusione del proprio Discorso – suggerisce alla Gregoriana quella centrale «sinfonia» con lo Spirito e la benefica pratica del «discernimento»; e questo, poiché «la cultura è una missione di amore».
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