Periodico di informazione religiosa

Una vigna da coltivare sinodalmente. L’Angelus di papa Francesco

by | 8 Ott 2023 | Teologia

La vigna da coltivare e custodire è quella che Dio nostro Padre ci affida, ogni giorno; la vocazione a lavorarci sinodalmente è ciò che lo Spirito santo sta suggerendo alla Chiesa del terzo millennio, al cui timone rimane saldo papa Francesco.

Siamo giunti alla XXVII Domenica del Tempo Ordinario, e la liturgia offre alla nostra meditazione e alla nostra preghiera il Vangelo della Parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-43; paralleli in Mc 12,1-12 e Lc 20,9-19). Questa narrazione evangelica ci dice – in maniera lampante – come il Creatore si prende cura dell’opera delle sue mani; e, nello stesso tempo, quanta fiducia Egli ripone nella persona umana, alla quale consegna i propri tesori più preziosi: il suo regno e la redenzione universale. Se, da una parte, questo testo ci rivela quanto è grande e smisurata la bontà gratuita di Dio, nello stesso tempo, esso interpella il lettore di ogni tempo a responsabilità, a lavorare con entusiasmo e perseveranza nella vigna affinché essa produca un frutto abbondante, invece di «acini acerbi» (Is 5,2). Perché è avvenuto questo? Si chiede papa Francesco. Egli spiega che gli operai – dunque i figli di Dio – sono caduti nella trappola della ingratitudine e della avidità: «Guardate che alla radice dei conflitti c’è sempre qualche ingratitudine e i pensieri avidi, possedere presto le cose. “Non abbiamo bisogno di dare nulla al padrone. Il prodotto del nostro lavoro è solo nostro. Non dobbiamo rendere conto a nessuno!”. Così è il discorso di questi operai. E questo non è vero: dovrebbero essere riconoscenti per quanto hanno ricevuto e per come sono stati trattati. Invece l’ingratitudine alimenta l’avidità e cresce in loro un progressivo senso di ribellione, che li porta a vedere la realtà in modo distorto, a sentirsi in credito anziché in debito con il padrone che aveva dato loro da lavorare». Il Papa continua affermando: «Con questa parabola, Gesù ci ricorda cosa succede quando l’uomo si illude di farsi da sé e dimentica la gratitudine, dimentica la realtà fondamentale della vita: che il bene viene dalla grazia di Dio, che il bene viene dal suo dono gratuito. Quando si scorda questo, la gratuità di Dio, si finisce col vivere la propria condizione e il proprio limite non più con la gioia di sentirsi amati e salvati, ma con la triste illusione di non aver bisogno né di amore, né di salvezza. Si smette di lasciarsi voler bene e ci si ritrova prigionieri della propria avidità, prigionieri del bisogno di avere qualcosa in più degli altri, del voler emergere sugli altri. È brutto, questo processo, e tante volte succede a noi. Pensiamoci sul serio. Da qui provengono tante insoddisfazioni e recriminazioni, tante incomprensioni e tante invidie; e, spinti dal rancore, si può precipitare nel vortice della violenza. Sì, cari fratelli e sorelle, l’ingratitudine genera violenza, ci toglie la pace e ci fa sentire e parlare urlando, senza pace, mentre un semplice “grazie” può riportare la pace!».

Per mezzo della presente meditazione, il Pontefice spalanca davanti a noi i sentieri dell’umiltà, della piccolezza evangelica, della fiducia nella Provvidenza, della carità universale; e tutto questo ci conduce verso l’accoglienza dell’altro-da-sé, verso la fraternità universale, verso la prossimità nel bene e nella riconciliazione. In fondo, ci spinge all’assunzione – nella grande comunità cristiana – di una mentalità maggiormente sinodale, che rispetti le diversità e i punti di vista di ognuno, che cerchi la collaborazione e la corresponsabilità, che aiuti ogni carisma a portare il proprio frutto di salvezza.

Il Vescovo di Roma conclude la propria riflessione chiedendosi e chiedendoci: «Io mi rendo conto di aver ricevuto in dono la vita e la fede? Mi rendo conto di essere io stesso, io stessa, un dono? Credo che tutto comincia dalla grazia del Signore? Comprendo di esserne beneficiato senza meriti, amato e salvato gratuitamente? E soprattutto, in risposta alla grazia, so dire “grazie”? So dire “grazie”? Le tre parole che sono il segreto della convivenza umana: grazie, permesso, perdono. Io so dire queste tre parole? Grazie, permesso, perdono, scusami. Io so pronunciare queste tre parole? È una piccola parola, “grazie” – è una piccola parola, “permesso”, è una piccola parola chiedere scusa, “perdono” – attesa ogni giorno da Dio e dai fratelli. Domandiamoci se questa piccola parola, “grazie”, “permesso”, “perdono, scusa” è presente nella nostra vita. So ringraziare, dire “grazie”? So chiedere scusa, perdono? So non essere invadente – “permesso”? Grazie, perdono, permesso». Siano – dunque – la Parola di Dio e la voce di papa Francesco uno stimolo per la nostra conversione e una scintilla che accenda il motore del nostro entusiasmo, nella Chiesa e nel regno che si sta compiendo. Testimoniamo, allora e con parresia evangelica, che agire sinodalmente è possibile e auspicabile per il cammino ecclesiale del nostro tempo, e per il futuro delle nostre piccole o grandi comunità di fede.

©photohttps://flic.kr/p/SCAmzz 

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