Venerdì della seconda settimana di Quaresima
Alcuni vignaioli hanno il grande privilegio di coltivare la vigna prediletta di un padrone, Dio. Al momento del raccolto, però, vogliono impadronirsi dei frutti del loro lavoro e non esitano a maltrattare i servi. Il racconto della parabola raggiunge il punto più drammatico quando, per salvare a tutti i costi la vigna, il padrone invia il suo unico figlio. Quei contadini rappresentano tutti gli uomini: Dio ha consegnato il mondo nelle loro e nelle nostre mani per coltivarlo e condurlo alla perfezione. Dunque non possiamo usarne ed abusarne come se fosse una proprietà privata. Anche le cose che consideriamo “nostre” ci vengono date da Dio per fare il bene. Nel farci dono della sua vigna c’è un ritorno che Dio si attende; Dio effonde la sua grazia, ma nessuno può portare frutti di santità, se non è ben “lavorato”. La nostra terra interiore ha bisogno di essere coltivata e lavorata, affinché la linfa vitale ricevuta da Dio possa concretizzarsi in santità e amore, quei frutti che Dio si aspetta di ricevere dai vignaioli. Che frutto può dare la terra che ci viene data da coltivare, che abbia valore anche in cielo? Solo uno: l’amore. La buona notizia è che l’amore di Dio non viene mai meno nei confronti dell’umanità. Vana è la fatica, se il frutto della nostra opera nella vigna non è ispirata dall’amore di Dio.
Gregorio Magno, Omelie sui vangeli 17, 3
Vi sono altre cose, fratelli carissimi, che mi rattristano profondamente sul modo di vivere dei pastori. E perché non sembri offensivo per qualcuno quello che sto per dire, accuso nel medesimo tempo anche me, quantunque mi trovi a questo posto non certo per mia libera scelta, ma piuttosto costretto dai tempi calamitosi in cui viviamo. Ci siamo ingolfati in affari terreni, e altro è ciò che abbiamo assunto con l’ufficio sacerdotale, altro ciò che mostriamo con i fatti. Noi abbandoniamo il ministero della predicazione e siamo chiamati vescovi, ma forse piuttosto a nostra condanna, dato che possediamo il titolo onorifico e non le qualità. Coloro che ci sono stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli. Ma come sarà possibile che noi emendiamo la vita degli altri, se trascuriamo la nostra? Tutti rivolti alle faccende terrene, diventiamo tanto più insensibili interiormente, quanto più sembriamo attenti agli affari esteriori. Ben per questo la santa Chiesa dice delle sue membra malate: «Mi hanno messo a guardiana delle vigne; la mia vigna, la mia, non l’ho custodita» (Ct 1, 6). Posti a custodi delle vigne, non custodiamo affatto la vigna, perché, implicati in azioni estranee, trascuriamo il ministero che dovremmo compiere.