Periodico di informazione religiosa

Venerdì dopo le Ceneri. La Quaresima con Gregorio Magno

da | 16 Feb 2024 | Monasteria

Venerdì dopo le Ceneri

Tutti i maestri spirituali sono stati d’accordo nel dire che non si possono meditare le cose di Dio con uno stomaco rimpinzato. Anche i medici consigliano di non mangiare troppo, pena tutta una serie di rischi per la salute; anzi, forse i medici sono rimasti gli unici a ricordarsi dell’antico consiglio della Chiesa: digiunate. La sapienza del monaco Giovanni Climaco ci ammonisce: molti di noi non si rendono conto di vivere nell’ipocrisia dello stomaco, di quello stomaco che lamenta sempre di essere vuoto, anche quando è riempito a sazietà. Uno stomaco pieno, come conseguenza, nutre anche gli istinti carnali. Con le letture di oggi sembra che la Chiesa si diverta con noi: nella prima i richiami accorati del profeta Isaia esortano al digiuno; nel vangelo Gesù lo ridimensiona. In realtà il digiuno non viene né cancellato, né ridimensionato. Gesù lo riconduce al suo senso più profondo. Due le linee essenziali: digiuniamo perché Cristo, lo Sposo, non è ancora del tutto presente; allora creiamo un vuoto per lasciargli uno spazio, perché possa pian piano riempire tutta la nostra esistenza. Se custodiremo immacolato il tempio di Dio, verrà Colui che ha promesso di abitare e camminare in noi. Il digiuno serve anche a renderci sensibili a chi ha fame e sete; serve a scavare il senso di responsabilità verso i poveri e bisognosi. L’amore è ancora più forte del digiuno. I santi padri hanno da sempre considerato il digiuno come una misura di capacità: se digiuniamo molto, è perché amiamo molto e se amiamo molto, è perché molto ci è stato perdonato. Nessun disprezzo esagerato, ogni nutrimento è dono di Dio. Digiuniamo con moderazione: un digiuno proporzionato alle nostre forze favorirà la nostra vigilanza spirituale e, se lo stomaco si svuota, il cuore sarà umile. Un sano digiuno ci concederà in questa Quaresima di pregare con uno spirito sobrio.

Gregorio Magno, Omelia 15 sui Vangeli

Cominciamo i santi quaranta giorni di Quaresima e conviene esaminare attentamente perché questa astinenza è osservata per quaranta giorni. Mosè, per ricevere la Legge la seconda volta, ha digiunato quaranta giorni. Elia, nel deserto, si è astenuto dal mangiare quaranta giorni. Il Creatore stesso, venendo tra gli uomini, non ha preso alcun cibo per quaranta giorni. Sforziamoci anche noi, per quanto possibile, di tenere a freno il nostro corpo con l’astinenza in questi santi quaranta giorni, per divenire, secondo la parola di Paolo, sacrificio vivente. L’uomo è offerta vivente e al tempo stesso immolata quando, pur non lasciando questa vita, fa morire però in sé i desideri mondani. È soddisfare la carne che ci ha trascinato al peccato; la carne mortificata ci conduca al perdono. L’autore della morte, Adamo, ha trasgredito i precetti della vita mangiando il frutto proibito dell’albero. Bisogna dunque che noi, privati delle gioie del paradiso a causa del cibo, ci sforziamo di riconquistarle con l’astinenza. Tuttavia nessuno creda che basti l’astinenza. Il Signore dice per bocca del profeta: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio? dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne” (Is 58,7-8). Ecco il digiuno che Dio vuole: digiuno attuato nell’amore del prossimo e impregnato di bontà. Dà quindi agli altri ciò di cui ti privi; così la penitenza del tuo corpo gioverà al benessere del corpo del prossimo che ne ha bisogno.

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