Con il mercoledì delle Ceneri le letture ci presentano la via dell’autenticità nella quale si deve situare la Quaresima: “laceratevi il cuore e non le vesti“. Si tratta di combattere contro lo spirito del male (orazione del mercoledì delle Ceneri), di avere un cuore puro, ricreato dal Signore (Salmo 50, responsorio dello stesso mercoledì). La nuova formula proposta per l’imposizione delle ceneri è significativa: “Convertitevi e credete al vangelo“. La Chiesa non ha missione più importante che quella di suscitare la metanoia, la conversione, il fatto di tornare su se stessi, di cambiare strada e tendere al divino. Non si tratta solo di una conversione cerebrale o di acquisire qualche nozione: si tratta di (ri)entrare a far parte di un popolo nuovo, che appartiene alla stirpe di Dio. Tutto questo non avviene senza di noi. Dio non opera il divino in noi e non ci conforma all’immagine del Figlio suo, lo Spirito non può modellarci sul volto del Cristo, se noi non interveniamo profondamente: tutto il nostro impegno deve essere di trasformarci in creature nuove. A quanti non sono ancora convertiti la Quaresima propone l’entrata, attraverso il battesimo, in una creazione nuova; a quanti sono già battezzati propone un passo avanti nella divinizzazione che è stata loro data in linea di principio, ma che occorre realizzare sempre più coscientemente e profondamente. Una buona guida in questo percorso di sinergia dell’uomo con Dio è la Regola scritta da San Benedetto, il patriarca del monachesimo occidentale.
San Benedetto scrive per una comunità di monaci, ma non pensa a degli esperti di ascetica; anzi, non usa mai il termine ascesi nella Regola. I monaci sono chiamati a realizzare una vita cristiana perfetta per quanto possibile a ciascuno, cercando di raggiungere “un inizio di perfezione”. Nel capitolo 49 della Regola Benedetto parla dell’osservanza della Quaresima, capitolo che sin dalle prime parole rivela tra le righe il pensiero di san Leone Magno. Sarà utile leggere questo capitolo, molto semplice, senza sfoggio di erudizione teologica, frutto di un’esperienza vissuta nella ricerca esclusiva di Dio:
“Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell’anno. E questo si realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio “con la gioia dello Spirito Santo” qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po’ di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l’animo fremente di gioioso desiderio. Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire personalmente a Dio dev’essere prima sottoposto umilmente all’abate e poi compiuto con la sua benedizione e approvazione, perché tutto quello che si fa senza il permesso dell’abate sarà considerato come presunzione e vanità, anziché come merito. Perciò si deve far tutto con l’autorizzazione dell’abate“.
L’accento viene messo su un tempo forte di quell’osservanza che doveva essere praticata tutto l’anno. San Benedetto non prescrive norme quaresimali per tutta la Chiesa, ma per quella porzione di Chiesa che guidava nei monasteri. Perciò la Quaresima benedettina consiste più nel rifinire quanto già si fa ogni giorno e a realizzarlo in modo più completo, che non nell’escogitare nuove pratiche. Erede dei Padri del deserto e di legislatori monastici come Cassiano, Pacomio e Basilio, Benedetto ne eredita anche la gerarchia di valori. La Quaresima consiste in primo luogo nell’intensificare la preghiera, la lettura e l’astinenza, tre punti essenziali della vita monastica su cui la Regola ritorna in più occasioni. Le pratiche dell’astinenza vengono solo al terzo posto di questo elenco, trattandosi solo di ampliare nel numero e nella qualità l’osservanza comune. Insomma, non importa tanto ciò che deve essere fatto; quello che conta innanzi tutto è di raggiungere Dio nel distacco da se stessi. Tutto questo non si distinguerebbe dalle affermazioni di autori spirituali, se Benedetto non specificasse:
“Che egli [il monaco] orienti tutto l’ardore dei suoi desideri spirituali all’attesa gioiosa del santo giorno di Pasqua“.
Per san Benedetto, come per i Padri, come per la liturgia, il vero e unico motivo della tensione che il cristiano deve alimentare in sé, è trovarsi pronto alla Pasqua e al suo futuro completamento. L’esercizio ascetico non può avere che un senso: essere una liberazione; si inserisce in una tensione verso il giorno della risurrezione del Signore, la grande liberazione, che è la Pasqua del Signore. Una morte col Cristo per risorgere con lui. L’osservanza non è disprezzo del corpo per Benedetto, ma equilibrio ritrovato. E finché l’uomo vive nel suo involucro mortale dovrà sempre lavorare per non perdere tale equilibrio. E l’equilibrio non si può conservare senza una tecnica di ascesi, che non raramente va consolidata con qualche esigenza particolare. Un’osservanza centrata su se stessa sarebbe ipocrita e potrebbe soddisfare solo quella amara e passeggera gioia dell’orgoglio, sazio di dominio.
Per san Benedetto ogni lavoro su sé stessi, che sia obbedienza, silenzio, umiltà, castità, digiuno o veglia, va posto sotto il segno dell’amore. Tutto è un mezzo per aprirsi allo scalpello della grazia di Dio. Con la gioia dell’ascesi il nostro corpo si apre a diventare strumento docile ed efficace dello Spirito. La Regola non è per i forti, ma per i deboli: si tratta di aggiungere o privarsi di qualche cosa; tutto sommato nessuna prodezza, nessuna ricetta straordinaria. La sua forza sta tutta nella grazia dello Spirito Santo e nel riconoscimento meravigliato della sua opera nei peccatori: “il cuore si dilata e si corre sulla strada dei comandamenti di Dio in un’ineffabile dolcezza d’amore” (RB Prologo 49).