Papa Francesco una volta ha twittato: “Esercitare violenza contro una donna o sfruttarla non è un semplice reato, è un crimine che distrugge l’armonia, la poesia e la bellezza che Dio ha voluto dare al mondo“.
I dati Istat riportano che in Italia nel 2021 ci sono stati 104 femminicidi, su 119 omicidi con una vittima donna: 70 le donne uccise dal compagno o dall’ex; 30 le donne uccise da un altro parente; sono invece 4 quelle uccise da conoscenti in ambito affettivo o relazionale. Anche il 2022 è stato segnato dai femminicidi: 120 le donne uccise. Il 2023 appena iniziato conta già 20 femminicidi. Solo di qualche giorno fa la notizia di una donna, Rosalba Dell’Albani, uccisa nel sonno dal cognato nel ragusano.
Qual è il comune denominatore di questa strage continua? A cosa dobbiamo questo accanimento nei confronti della categoria femminile? Perché tutto questo rancore in ambito amoroso/familiare?
Sin dall’inizio della civiltà, le donne sono state sottomesse a una cultura patriarcale che le relegava a ruoli imposti da una società maschilista. È stato imposto loro, cosa pensare, cosa dire cosa indossare, come vivere e respirare, finché un passo alla volta sono riuscite a conquistare con forza e caparbietà il loro posto nel mondo. Il riconoscimento dei diritti però non è andato di pari passo con l’evoluzione della società.
Nelle case, nelle famiglie, senza un’adeguata educazione non solo culturale, ma anche emotiva, è rimasto l’alone del possesso. Quelle donne che si permettono di avere una vita al di fuori del focolare domestico, che spesso smettono di amare e decidono per sé stesse fanno venire rabbia a chi pensa di dover decidere per loro. Ecco che le donne muoiono.
Le celebriamo con frasette impattanti nel giorno della festa della donna, ma poi continuiamo a relegarle in quei titoli che alimentano una narrazione falsata: “l’ha uccisa perché l’amava troppo” oppure “morta per amore” “non voleva rovinare la famiglia”. Leggiamo i loro nomi senza cognome, a volte solo il loro ruolo, non lavorativo, ma quello accettato dal patriarcato: “mamma di tre figli”, “moglie devota”, “figlia amata”.
La colpa non è mai solo di chi compie il gesto, la colpa è di chi guarda senza dire e fare nulla, la colpa è di chi dice che è solo un episodio e non succederà più. La colpa è di chi non denuncia il sistema che normalizza i comportamenti violenti. La colpa è di chi si gira dall’altra parte quando vede un livido. La colpa è delle persone a cui non importa, perché tanto non li riguarda. E invece riguarda tutti. E invece è colpa di tutti. Iniziamo dentro le nostre case nella nostra microsocietà quotidiana.
Iniziamo ad educare i figli! Tutti maschi e femmine, al rispetto, al consenso, alla parità quella vera. Insegniamo loro che l’altra persona non c’appartiene, che amare non è possedere che amare è veder crescere, coltivare e accettare, accettare un rifiuto, accettare di essere lasciati. Accettare i propri limiti e quelli dell’altro. Per veder germogliare un futuro rigoglioso, seminiamo bene nell’orto delle nostre famiglie.