Una miniserie su Netflix sta suscitando discussioni accese, e non solo per la trama avvincente. “Adolescence”, creata da Jack Thorne e Stephen Graham, non è solo un thriller drammatico che ruota attorno all’accusa di omicidio di un tredicenne. È qualcosa di molto più profondo: una riflessione chirurgica sulla nostra società. Attraverso una lente d’ingrandimento, esplora la paura, la rabbia e l’isolamento che caratterizzano l’adolescenza di oggi.
Un punto di vista senza via di fuga
Ogni episodio è girato in un’unica ripresa continua, un espediente tecnico che diventa una potente metafora: non esistono uscite facili. Lo spettatore è costretto a rimanere immerso nella storia, a confrontarsi con le dinamiche tossiche della crescita in un mondo iperconnesso e sempre più alienante. Ma la domanda che sorge spontanea è: cosa sta accadendo ai nostri ragazzi? Perché il disagio adolescenziale sembra essere una bomba pronta a esplodere?
La radicalizzazione online: un pericolo silenzioso
“Adolescence” non ha paura di affrontare una delle piaghe più insidiose del nostro tempo: la radicalizzazione online. Il protagonista della serie è risucchiato in un vortice di misoginia, violenza e propaganda tossica che si consuma negli angoli più oscuri del web. E questa non è solo finzione.
Ogni giorno, migliaia di adolescenti sono esposti a contenuti che influenzano profondamente la loro visione del mondo, spesso senza filtri, senza una guida educativa e senza adulti in grado di aiutarli a discernere il vero dal falso. Così si formano bolle di odio, comunità parallele in cui la frustrazione si trasforma in risentimento, e il risentimento in azione. Possiamo davvero sorprenderci di fronte alla realtà raccontata in “Adolescence”?
La solitudine di una generazione iperconnessa
Paradossalmente, viviamo nell’epoca della comunicazione globale, eppure mai come oggi gli adolescenti sono stati così soli. Il senso di inadeguatezza, il confronto costante con vite filtrate sui social, l’ansia da prestazione sono diventati i nuovi demoni di una generazione cresciuta sotto i riflettori digitali. “Adolescence” ci mette davanti alla realtà: il disagio adolescenziale non è più solo individuale, è collettivo.
I social media, che avrebbero dovuto connetterci, si sono trasformati in spazi di alienazione, in stanze chiuse dove il pensiero critico lascia posto a narrazioni assolutistiche, a verità manipolate, a identità costruite per raccogliere consensi, non per esprimere chi siamo davvero. Quanto siamo complici di questo fenomeno?
Il vuoto emotivo: il vero problema
La risposta della società a questa crisi è spesso superficiale: si demonizzano i social media, si invocano leggi più restrittive, ma si ignora un punto cruciale. Il problema non è la tecnologia in sé, ma il vuoto emotivo che essa riempie. Gli adolescenti cercano risposte, connessioni autentiche, qualcuno che li ascolti davvero. Se non trovano queste risposte nella vita reale, si rifugiano online, spesso a proprio rischio.
Perché guardare “Adolescence”?
“Adolescence” non è semplicemente un prodotto di intrattenimento: è un pugno nello stomaco, un campanello d’allarme che ci spinge a riflettere su ciò che stiamo diventando. Non importa se siamo genitori, educatori, adolescenti o spettatori: ognuno di noi ha qualcosa da imparare da questa storia. Perché il problema non riguarda solo il protagonista della serie. Il problema siamo noi, la società che abbiamo costruito, i valori che trasmettiamo, il modo in cui lasciamo che il web cresca senza regole, senza una guida, senza responsabilità.
Guardare questa serie significa mettersi in discussione, significa farsi domande scomode, significa non chiudere gli occhi di fronte a una realtà che ci riguarda tutti. E forse, significa anche trovare il coraggio di cambiare qualcosa prima che sia troppo tardi.
Dobbiamo iniziare a chiederci quale mondo stiamo lasciando ai nostri ragazzi. Vogliamo davvero che crescano in un universo virtuale senza punti di riferimento, senza guide, senza strumenti per comprendere la complessità della realtà? O vogliamo assumerci la responsabilità di educarli, di dar loro alternative, di insegnare loro il valore del dubbio e della riflessione?
“Adolescence” non offre risposte facili. Ma pone domande fondamentali. E questo, forse, è il primo passo per iniziare a cambiare le cose.
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