A partire dalla meditazione del brano evangelico di questa domenica, XXIII del Tempo Ordinario, papa Francesco nell’Angelus si è soffermato sull’alto valore della correzione fraterna, per il bene della persona che sbaglia e della intera comunità.
L’insegnamento di Gesù così diceva: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano» (Mt 18,15-17); il Vescovo di Roma nell’Angelus ci ricorda che la correzione fraterna «è una delle espressioni più alte dell’amore, e anche delle più impegnative, perché non è facile correggere gli altri. Quando un fratello nella fede commette una colpa contro di te, tu, senza rancore, aiutalo, correggilo: aiutare correggendo».
Tuttavia, però, lo stesso Francesco deve sottolineare che spesso – anche all’interno della comunità ecclesiale – prevalgono: il chiacchiericcio, il mormorio, il silenzio carico di risentimento, l’indifferenza, la malvagità; «Purtroppo, invece, la prima cosa che spesso si crea attorno a chi sbaglia è il pettegolezzo, in cui tutti vengono a conoscere lo sbaglio, con tanto di particolari, tranne l’interessato! Questo non è giusto, fratelli e sorelle, questo non piace a Dio. Non mi stanco di ripetere che il chiacchiericcio è una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché porta divisione, porta sofferenza, porta scandalo, e mai aiuta a migliorare, mai aiuta a crescere». L’insegnamento del Signore Gesù Cristo, ripresentato da papa Francesco nell’Angelus, va in tutt’altra direzione; nel segno della verità, della carità e della chiarezza: «Parlaci “a tu per tu”, parlaci lealmente, per aiutarlo a capire dove sbaglia. E questo fallo per il suo bene, vincendo la vergogna e trovando il coraggio vero, che non è quello di sparlare, ma di dire le cose in faccia con mitezza e gentilezza.
Ma, possiamo chiederci, e se non basta? Se lui non capisce? Allora bisogna cercare aiuto. Attenzione però: non quello del gruppetto che chiacchiera!». Ciò, rimanendo nell’alveo della comunità credente, della grande famiglia dei figli di Dio, tutti chiamati a crescere nell’amore e nella misericordia: «E se non capisce ancora? Allora, dice Gesù, coinvolgi la comunità. Ma anche qui precisiamo: non vuol dire mettere una persona alla gogna, svergognandola pubblicamente, bensì unire gli sforzi di tutti per aiutarla a cambiare. Puntare il dito contro non va bene, anzi spesso rende più difficile per chi ha sbagliato riconoscere il proprio errore. Piuttosto, la comunità deve far sentire a lui o a lei che, mentre condanna l’errore, è vicina con la preghiera e con l’affetto alla persona, sempre pronta a offrire il perdono, la comprensione, e a ricominciare».
Incarnare questa Parola di Gesù – e gli auspici di papa Francesco nell’Angelus – significa vivere concretamente un perenne atteggiamento di conversione personale, un desiderio di crescere nella verità e nella misericordia insieme agli altri fratelli e alle altre sorelle, la ferma decisione di orientare alla Trinità e agli altri-da-sé il proprio cammino esistenziale. Occorrono scelte quotidiane e atteggiamenti radicalmente nuovi ed evangelici; una umiltà di fondo, per riconoscersi discepoli in cammino, e non giudici nei confronti degli altri; persone pronte a cambiare punto di vista, se pur irreprensibile; fratelli, prossimi nel bene, per la salvezza universale.
I primi pronunciamenti magisteriali di Bergoglio ci invitavano, fortemente, alla sequela di Cristo con parole simili a queste: «Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!» (Evangelii gaudium 83); «Non lasciamoci rubare la speranza!» (Evangelii gaudium 86). E aggiungevano: «Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (Evangelii gaudium 87); sottolineando che «il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza» (Evangelii gaudium 88).
Papa Francesco concludeva, ieri, l’Angelus domenicale con questo auspicio: «E allora ci chiediamo: come mi comporto io con chi sbaglia contro di me? Tengo dentro la cosa e accumulo rancore? “Me la pagherai”: questa parola, che tante volte viene, “me la pagherai…” Ne faccio motivo di chiacchiere alle spalle? “Tu sai cosa ha fatto quello?” e via dicendo… Oppure sono coraggioso, coraggiosa, e cerco di parlarci? Prego per lui o per lei, chiedo aiuto per fare del bene? E le nostre comunità si fanno carico di chi cade, perché possa rialzarsi e iniziare una vita nuova? Puntano il dito o aprono le braccia? Cosa fai tu: punti il dito o apri le braccia?»; vogliamo fare nostro il presente invito del Papa, affinché ci aiuti a costruire relazioni redente, più fraterne, animate dalla misericordia; relazioni che osano il primo passo, la vicinanza, la compassione, la comprensione, l’ascolto, la piccolezza evangelica, la povertà di spirito, la purezza di cuore; relazioni che hanno il coraggio di proporre alla società attuale un modello di convivenza pacifica e dialogante.