Si sono aperte alla presenza del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano le celebrazioni per i 900 anni dell’Abbazia di Montevergine, una delle mete religiose e mariane più frequentate di tutta la Campania, con più di un milione di pellegrini ogni anno. Papa Francesco ha per l’occasione indetto un Anno giubilare, inviando come suo Legato per l’apertura il Segretario di Stato, il Card. Pietro Parolin. Nel 1126 la consacrazione della chiesa avvenne nel giorno di Pentecoste ed è per questo che l’Anno giubilare verginiano è stato aperto proprio in occasione di questa solennità. Montevergine ha tutte le capacità per avviare una nuova Pentecoste, intesa come polo per una nuova evangelizzazione della Chiesa, cui aveva richiamato già San Giovanni Paolo II e che è tanto al cuore del pontificato di Papa Francesco. La lunga storia di Montevergine, la sua tradizione culturale e spirituale non possono rimanere solo culto della memoria, benché gloriosa, ma devono costituire il punto di partenza di una nuova storia.
Di evento storico ha parlato il Ministro Piantedosi, il quale ha sottolineato il suo legame con questi luoghi, che “evocano un monito, un indirizzo di vita, una serie di insegnamenti, e che hanno orientato la quotidianità e anche la funzione che ho l’onore di svolgere”. Il Santuario di Montevergine, “oltre a essere un luogo di preghiera, è uno dei monumenti dell’etica laica del servizio, dal rilievo incontrovertibile per l’appartenenza democratica dell’Europa”, come dimostrano ancora oggi i valori pienamente attuali della Regola di San Benedetto, che qui giunse grazie a San Guglielmo. Anche il Ministro Sangiuliano ha sottolineato che quella di Montevergine è “una storia importane non solo per il Mezzogiorno e per l’Italia, ma per tutta la civiltà occidentale. Luoghi come questi sono pilastri della nostra spiritualità e della nostra identità storica. Qui è stata custodita la cultura dell’occidente”. Il riferimento è senz’altro anche alla Biblioteca, una delle dieci biblioteche pubbliche statali annesse ai Monumenti nazionali, che dipende dal Ministero della Cultura, ospitata all’interno delle architetture barocche del Palazzo abbaziale di Loreto a Mercogliano.
La celebrazione eucaristica è stata preceduta dalla consegna delle chiavi della città di Mercogliano al card. Parolinche, da novello cittadino di questo municipio, ha rivolto questo saluto: “Ritornare a Montevergine è per me motivo di vera gioia, ho infatti ancora vivo nell’animo la visita che ho compiuto nel settembre di due anni fa. Quel viaggio mi consentì di conoscere e ammirare la robusta bellezza del Santuario e dell’Abbazia, incanto della natura, della bella Irpinia, che oggi ho ancor meglio potuto gustare salendo in funicolare”. Poi una battuta: “c’è un pericolo nel consegnare le chiavi a qualcuno: è che in qualsiasi momento è in casa ed allora questo è un po’ un rischio; però so che in qualunque tempo e in qualunque modo entrerò in questa vostra casa, sarò sempre ben accolto, perché ho potuto sperimentare nelle varie occasioni tanta accoglienza e tanta simpatia”. Una devozione, quella verso la Madonna di Montevergine, “che è andata crescendo in me in questi anni e che oggi viene rafforzata da questo nobile attestato. Appartenendo anche ufficialmente al popolo di Mercogliano, mi sento ancora più legato da vincoli di affetto al Santuario e alla sua Abbazia”. Nel salutare il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede presente nel chiostro, ha ricordato come gli ambasciatori “rappresentano quei paesi del mondo che hanno accolto, soprattutto all’inizio del secolo scorso, numerose famiglie di campani e di altri migranti del meridione d’Italia, perfettamente integrati nelle rispettive nazioni”, paesi nei quali “hanno voluto fortemente manifestare alla Madonna il loro filiale amore e loro sincero attaccamento con la costruzione di chiese e cappelle ed edicole”. Infine il cardinale ha portato ai presenti il saluto e la benedizione del Sommo Pontefice: “Sappiate che il Santo padre Francesco vi è vicino, con l’affetto e con la preghiera, come segno della presenza consolatrice di Cristo e dell’attenzione della Chiesa, la quale è sempre accanto a chi è nell’angustia, per incoraggiare nel presente e sostenere la speranza in un futuro più sereno”.
Così ha avuto inizio la solenne celebrazione dedicata “alla nostra Mamma Schiavona, colei che tutto concede e tutto perdona”, preceduta da un’allocuzione dell’abate di Montevergine, Dom Riccardo Guariglia: “Come comunità convocata dal risorto, ci troviamo uniti concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù, insieme al rappresentante del successore Pietro per celebrare il prodigio della Pentecoste. Lo Spirito Santo, atteso e invocato dal nostro santo padre fondatore Gugliemo che, nel giorno santissimo della cinquantina Pasquale ha dato inizio alla realtà di questo luogo, oggi nuovamente si irradia in questa santa eucaristia per rendere gioioso e con tanti frutti spirituali il giubileo che ci apprestiamo a inaugurare. Ogni giorno, anima mia, canta le lodi di Maria. Le prime parole di questo antico inno liturgico benedettino cluniacense esprimono compiutamente l’opera quotidiana di lode della Santa Vergine. Per l’azione dello Spirito, ella concepì il Verbo della vita ed è per l’azione del medesimo Spirito che ci edifica in una comunità di credenti. Oggi, nell’eucaristia, si dona nuovamente a noi come pane della vita”. Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata dal cardinale:
“Cari concelebranti, distinte autorità, fratelli e sorelle nel Signore. Sono grato al Santo Padre Francesco, che mi ha inviato qui oggi per presiedere l’eucaristia nella solennità di Pentecoste, compimento della Pasqua e giorno singolare per questa comunità, che fa memoria dell’apertura della prima chiesa dedicata a Santa Maria di Montevergine, avvenuta proprio nel giorno di Pentecoste. È questa poi una lieta circostanza per inaugurare ufficialmente l’Anno giubilare verginiano in occasione del nono centenario della fondazione dell’abbazia di Santa Maria di Montevergine, che avvenne per opera di san Guglielmo da Vercelli. Giunto in questo luogo per vivere da eremita, presto fu raggiunto da sacerdoti e laici che volevano imitare il suo stile di vita penitente e ritirato. Saluto tutti voi con viva cordialità, in particolare l’abate ordinario Dom Riccardo Luca Guariglia, che ringrazio per la richiesta fatta al Papa e per le cortesi parole che mi ha rivolto. Un saluto pieno di affetto ai vescovi presenti, all’abate ordinario di Subiaco Dom Mauro Meacci e all’abate ordinario di Monte Oliveto Dom Diego Gualtiero Rosa, ai sacerdoti e ai cari monaci benedettini, che premurosamente custodiscono questo santuario, autentico polo spirituale, meta di numerosi pellegrinaggi, che testimoniano la devozione profonda alla vergine Maria. Un saluto deferente anche a sua Eminenza, il Metropolita Ortodosso d’Italia. Esprimo poi sincera gratitudine alle autorità civili e militari per la loro presenza. Anche il Santo Padre si unisce alla nostra preghiera: noi oggi lo sentiamo presente in mezzo a noi e affidiamo alla vergine Maria la sua salute e il suo instancabile ministero apostolico. Per gli ebrei la festa della Pentecoste era la celebrazione del domo della legge concessa sul monte Sinai; era la festa dell’Alleanza, che segnava la nascita del popolo di Dio. In tale occasione – sapete che Pentecsote significa letteralmente 50 giorni dopo la Pasqua – si celebrava il ringraziamento per la raccolta del grano e si offrivano ai Dio le primizie dei frutti della terra. Per noi credenti in Cristo la Pentecoste diventa il dono della Nuova Alleanza e al dono della legge subentra, come ci ricordano le letture che abbiamo ascoltato, il dono dello Spirito Santo, che è la legge scritta dentro i nostri cuori: il dono dello Spirito, che è il compimento della promessa di Gesù, cioè la consegna agli uomini della vita stessa di Dio. E ciò che si è realizzato nella Pasqua per Gesù, si realizza per i discepoli nella Pentecoste. Gli Atti degli Apostoli descrivono così la vita della prima comunità di Gerusalemme dopo l’Ascensione del Signore: “Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù e ai fratelli di lui”. È il periodo che precede la Pentecoste e i discepoli obbediscono all’indicazione di Gesù di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, “voi sarete battezzati in Spirito Santo”. Il comando di Gesù è comprensibile: i discepoli sono mandati per continuare la sua stessa missione e naturalmente devono esser equipaggiati per un compito cosi alto e arduo. E quale equipaggiamento può esser sufficiente, se non lo Spirito Santo? Si tratta infatti di mettere nella storia la volontà di Dio, di dare alla propria esperienza la forma dell’amore e della santità di Dio: è ciò che solo lo Spirito Santo è in grado di fare. Il Padre lo ha promesso e lo donerà, ma fino a quel momento i discepoli dovranno rimanere in attesa. Non si tratta pero di un’attesa passiva, che lasci passare i giorni fino a che l’evento si verifichi; piuttosto è necessario che il piccolo gruppo si prepari, perché lo sappiamo bene, il cuore dell’uomo non è sempre disponibile a ricevere il dono di Dio, è chiuso al dono di Dio, l’egoismo si oppone al dono di uno Spirito di amore, l’orgoglio rifiuta uno Spirito di servizio, l’avidità si ritrae di fronte a uno Spirito di generosità. Ci vuole un cuore puro, ci vuole un cuore puro per accogliere lo Spirito di Dio. Un cuore che accetti di conformarsi alla sua volontà, anzi, che desideri profondamente di conformarsi a questa volontà con tutto se stesso. E per questo la preparazione consiste nello star insieme concordi, superare la tentazione dell’isolamento e dell’individualismo e poi nella preghiera, superando la tentazione dell’autosufficienza. E non sorprende allora che questa piccola comunità che si raccoglie nel cenacolo con Maria: è lei che all’inizio inizio ha accolto il messaggero di Dio che le trasmetteva la parola e le prometteva il dono dello Spirito. Tutto è iniziato con il suo sì, un sì perfetto alla chiamata di Dio. Lei dunque sa bene come si riceve lo Spirito, perché è proprio per la forza di questo Spirito che la parola di Dio si è fatta carne in lei. Ai discepoli, alla Chiesa, a noi viene chiesto ora qualcosa di simile a ciò che Maria ha già fatto: l’ascolto della parola, la fiducia nella potenza del Signore, l’obbedienza con la propria vita. Avendo Maria in mezzo impareranno a pregare nel modo giusto e il loro cuore diventerà accogliente, ricco di desiderio e di speranza; ecco perché il capitolo ottavo della Lumen Gentium – la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa – ricorda con insistenza che Maria è modello della Chiesa, perché la Chiesa guarda lei per comprendere se stessa e la sua vocazione, per vivere la perseveranza. Anzi Maria sta essa stessa in mezzo alla Chiesa; con lei la Chiesa prega, ama e impara a ubbidire come serva umile del Signore. Maria riconosciuta da noi come un riflesso della bellezza di Dio, come il capolavoro della sua grazia. Questa stessa bellezza risplende nella Chiesa, quella bellezza per cui Cristo ha donato se stesso, rendendola gloriosa, senza macchia né ruga né alcunché di simile, ma santa e immacolata. Questa bellezza è la bellezza di Maria ed è la a bellezza della Chiesa, di noi Chiesa, come per il gruppo dei discepoli, per il quale il libro degli Atti riferisce ogni singolo nome. Anche per la madre di Gesù, San Luca ricorda esplicitamente il nome. Può essere un particolare irrilevanti e eppure fa riflettere. Naturalmente è la maternità divina che fonda tutta la grandezza di Maria nella storia della salvezza; nello stesso tempo è giusto riportare questa funzione a una persona concreta, a un volto femminile, a un nome e a una storia ed è sempre così: l’opera di Dio ci supera immensamente, eppure si compie attraverso di noi, attraverso i tratti concreti della nostra esistenza umana. Anche in questo il riferimento a Maria ci aiuta ad accettare con semplicità quello siamo, e a mettere tutto noi stessi, temperamento, capacità, passato, presente e futuro, sogni e aspettative, anche delusioni, tutto nelle mani di Dio, perché la sua salvezza si compia in noi e attraverso di Lui la sua opera possa raggiungere tutti gli uomini. Anche anche per la Chiesa vale il discorso della verginità, cioè lasciare che sia Dio ad operare l’incarnazione in lei. Non è infatti attraverso la potenza mondana che la Chiesa può diventare madre e incarnare la parola, ma attraverso la verginità, cioè l’esistere per Dio consegnando a Dio tutta la propria speranza, il proprio tempo e il proprio futuro. La verginità è condizione perché la Chiesa diventi feconda della parola di Dio e del compimento delle promesse del Signore. Fratelli e sorelle, riuniti intorno alla dolce figura di Maria, vi chiedo oggi di impegnarvi in questo Anno giubilare ad invocarla ogni giorno per le necessità della Chiesa e del mondo intero. A Cana di Galilea la madre di Gesù con la sua richiesta presenta la situazione degli sposi a suo figlio: è il simbolo dell’azione che ella opera nei confronti di tutti gli uomini; intercede e interviene proprio per questo, ed è accolta nella volontà di Dio con infinita benevolenza e questa interccessione di Maria prepara la grande intercessione della Chiesa, quella per la quale siamo chiamati a pregare gli uni per gli altri, quella per la quale i santi diventano per noi la sicurezza della fiducia. Intorno a noi vi è una società che ha bisogno più che mai della luce del Vangelo, c’è un mondo che cerca la pace, c’è un mondo che cerca la pace, ci sono tante sofferenze che chiedono aiuto; c’è tanta atteso di giustizia e di carità. Ci affidiamo alla materna intercessione di Maria in questo insigne santuario, in questa amata terra dell’Irpinia, la cui devozione alla Vergine si propaga ormai per nove secoli. E vorrei lasciare un invito fraterno: continuate a lavorare uniti, pastori e fedeli, religiosi e religiose, uomini e donne di fede, perché questo santuario, gloria della vostra terra, fiorisca sempre più, irradiando sul vostro territorio e sul mondo il messaggio della speranza cristiana. E così sia”.