Cosa ci portiamo a casa dalla triestina 50a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani? È quello che abbiamo chiesto a una partecipante all’evento: l’animatrice Caritas della diocesi salentina di Ugento-Santa Maria di Leuca, Oriana Leone.
Si è conclusa domenica – con la celebrazione eucaristica presieduta da papa Francesco – la ricca settimana di eventi, riflessioni, incontri, confronti. Condividiamo la ricchezza del bagaglio esperienziale che Oriana porta con sé da Trieste, e che consegna alla sua diocesi e alla Chiesa.
Oriana, quali sono le parole-chiave di questa 50a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani?
Premetto che ho vissuto dei giorni “di grazia”, carichi di eventi, testimonianze, incontri, conoscenze delle varie realtà cattoliche italiane: tutto questo arricchisce il mio bagaglio umano e di fede.
In questi giorni ho ascoltato e accolto importanti espressioni, quali: “le piazze delle democrazia”; la partecipazione deve tornare nelle piazze, luogo “fisico” di parità di genere e di generazioni; la necessità di “reti territoriali”, al fine di crescere sempre meglio a partire dalle esperienze altrui; il bisogno di “luoghi di discernimento”, dove la vita politica – nelle sue diversità – si incontra. Ho imparato, ascoltando altre testimonianze e voci autorevoli, che la democrazia non è una realtà per la quale occorre “patteggiare”, ma una ricchezza che chiama a “partecipare”.
Dialogando insieme, hai utilizzato l’espressione: «chiudiamo, ma non chiudiamo»; cosa intendi dire?
La Settimana si conclude, ma non è detta l’ultima parola; c’è un dialogo che prosegue. Soprattutto, a Trieste, abbiamo ricevuto la missione di mettere in piedi – in tutti i nostri luoghi – dei tavoli di confronto sui processi partecipativi democratici. In noi è maturata la consapevolezza che la partecipazione alla vita democratica non risolve i problemi, ma apre prospettive di speranza. Siamo coscienti che la brezza dello Spirito ci accompagna nella gioia: nelle nostre diocesi c’è molta vitalità; tuttavia, siamo anche chiamati – ulteriormente a “rialfabetizzarci alla democrazia”, e occorre trovare un tempo comune di qualità, senza togliere autonomia e libertà alle singole intelligenze. Non si improvvisa un linguaggio elaborato solo dal fare, bisogna recuperare la capacità di “pensare al pensiero” (Morin).
Nell’agire cristiano in campo sociale, quali sono i capisaldi che desideri segnalarci?
Nei momenti di confronto che ho vissuto in questi giorni, ho imparato diverse strategie utili nella comune edificazione del regno divino e della civiltà dell’amore.
“Ascoltare”. Ascoltare la voce di tutti: ciascuno ha da imparare dalla ricchezza altrui e dai propri limiti personali; tutti possiamo apportare il nostro prezioso contributo: stranieri e giovani: ognuno ha lo stesso spazio di parola, tutti siamo profeti, anche chi vive situazioni di marginalità ed è fuori dai ranghi. “Tessere insieme”: cogliere assonanze e dissonanze e intrecciarle; la costruzione del “noi” non è un processo angelico: occorre “vivere il conflitto”, nella certezza che l’unità prevale sempre. Bisogna accettare il metodo e “darsi il tempo della democrazia”, come processo lento e impegnativo; il “metodo”, secondo lo stile della democrazia, è un camminare insieme. “Accompagnamento”: i processi partecipativi hanno bisogno di facilitatori preparati; toccando i nostri limiti, si può smuovere la creatività.
Porto con me la ferma convinzione – acquisita in questi giorni – che la democrazia piena e, soprattutto per tutti, è ancora tutta da realizzare.
Il nostro sentito grazie va – anche quest’oggi – alla infaticabile Oriana, che ha condiviso con Fideliter la sua esperienza “triestina”, quella di una Chiesa Italiana che cammina ed edifica con papa Francesco, verso il Giubileo della Speranza, sulle strade della civiltà dell’amore.