Periodico di informazione religiosa

F di FREUD

by | 2 Ott 2023 | Filosofia

Notifica al telefono. Leggo dalla schermata di blocco, senza aprire il messaggio: <Buongiorno amore>. E una lunga serie di baci. Pensare all’amore mi porta, non so perché, a pensare sempre innanzitutto a Freud, padre della psicanalisi, sicuramente per i temi trattati (godimento, sessualità, aggressività, cinismo, desiderio sessuale) in voga sempre tra giovani e meno giovani. Secondo me Freud non credeva davvero troppo all’amore umano, dal momento che secondo lui, “ogni volta che diciamo ti amo in realtà stiamo dicendo mi amo”, e altresì “dietro ogni donna, l’uomo cerca in fondo sua madre”. Ma mi colpisce la riflessione intorno a quelle due pulsioni che ci abitano: Eros, o pulsione d’amore, e Thanatos, o pulsione di morte. Eros e Thanatos in breve si contendono il territorio del godimento, del limite e della felicità. Eros vuole il godimento e la felicità, Thanatos lo stesso, ma rifiutando qualsiasi limite, e quindi conducendo willy-nilly il soggetto all’autodistruzione. Noi siamo anche i nostri limiti, e i limiti sono lo spazio che permettono all’altro di esistere e di esistere per noi, come noi per gli altri, perché nessuno si salva da solo, abbiamo tutti bisogno delle relazioni. A conferma di ciò chiamo al telefono il mio amico Mario, grafico, con cui ci sentiamo almeno tre volte al giorno in chiamata, che neanche con la mia ragazza. Ma si sa, anche la philia (amicizia) è una forma di amore. “Pronto bro, una domanda al volo: se ti dicessi di disegnare la cartina dell’Italia, partiresti dalle montagne, dai fiumi, dalla forma di certe città, da qualche regione interna o, come tutte le persone normali, definiresti anzitutto i confini dello stivale intorno?”. Se il godimento sessuale è la fonte della nostra felicità, improvvisamente Freud, in seguito agli sconvolgimenti della Prima Guerra Mondiale, al mal riassorbimento nel tessuto sociale e psicologico dei reduci dalle sanguinose battaglie in trincea sotto i bombardamenti e quant’altro di disumano appartiene ad un conflitto bellico, a seguito soprattutto della perdita della piccola figlia Sophie morta per un male incurabile, Freud cambia idea e scopre che la nostra vita non insegue solo il piacere sessuale che abiterebbe il nostro inconscio, la felicità, ma purtroppo siamo mossi nel profondo anche da un principio di morte, di distruzione, da cui si origina una nuova riflessione psicologica, sociologica e filosofica intorno all’esistenza del male, e del male che dall’uomo pare espandersi alla società intera. La domanda allora per Freud diventa un’altra: se non basta per essere felici e meno nevrotici disseppellire e esprimere il nostro desiderio sessuale, dal momento che ci abita anche una pulsione folle di morte originaria, biologica, cosa possiamo fare quando questa follia prende il sopravvento sulla vita di una società, nei suoi meccanismi economici, finanziari, di organizzazione sociale, di relazione con l’ambiente, gli altri, e le cose? Quando il male è organizzato, e come si vedrà a distanza di un ventennio dalla fine della Prima Guerra Mondiale attraverso la creazione dei campi di sterminio, chi occorre portare in “terapia”? La società intera? Paradossalmente a Freud la risposta in fondo non interessa. Non vuole dare una visione risolutiva finale, lui che è più interessato a guardare l’uomo con occhio clinico, da scienziato, che a prefigurare cure per la società. Quando il male è oramai divenuto sistema, può la psicoanalisi da sola generare un cambiamento collettivo? Salvare la massa? Rispetto al problema sollevato da Freud, tre interpreti nella seconda metà del Novecento hanno messo in una prospettiva più positiva l’insegnamento che il padre della psicoanalisi ci ha lasciato:

1) Paul Ricoeur (1913-2005) filosofo francese, secondo cui la vera pulsione di morte è una cultura di morte, un’ideologia. La vera cultura è tale quando disinnesca la violenza, esalta la creatività e non la distruttività. Dove c’è violenza, distruzione, per Ricoeur c’è opera ideologica. Bisogna coltivare l’educazione, fare cultura vera, per l’uomo, e disinnescare coloro che diffondono e si fanno portavoci di una cultura di morte, egoista, e incurante del bene individuale e collettivo ma solo di tornaconti economici o di potere.

2) Erich Fromm (1900-1980) filosofo, psicologo e sociologo tedesco che in Anatomia della distruttività umana apporta una modifica al pensiero intorno al tema di male sollevato da Freud. La violenza in noi non sarebbe originaria per Fromm. In noi, ad essere originaria semmai sarebbe l’aggressività difensiva, non la distruttività, che ne è solo una perversione che si verifica quando c’è incuria, violenza precoce a cui il bambino viene esposto dagli adulti, dalle figure genitoriali o più prossime a lui. Fromm mostra l’infanzia di Hitler per sostenere questa tesi, mostrando come Hitler sia il prodotto di violenze e diseducazione ricevute da piccolo. Diventiamo distruttivi a certe condizioni, per cui è possibile prevenire la distruttività. La si può disinnescare prima di tutto nelle relazioni in famiglia, nelle relazioni tra uomini e donne, nelle relazioni a scuola, in quelle relazioni che sono alla base della grammatica della vita.

3)Erich Neumann (1900-1960), psicologo e psicanalista, sostiene invece che la distruttività non è originaria, ma originaria semmai in noi sarebbe l’angoscia, nemmeno l’aggressività difensiva, a differenza di Fromm, né una pulsione di morte, a differenza di Freud. Il contemplare la nostra fragilità e la nostra mortalità ci rende, sin da piccoli, angosciati; non appena ne prendiamo consapevolezza, così come prendiamo consapevolezza di non sapere come funziona il mondo, la vita, il futuro, in noi si genera questo sentimento di angoscia. L’angoscia è una paura radicale, senza oggetto; è il sentimento totale della propria fragilità. L’angoscia in noi è originaria e diventa ideologia distruttiva quando forme di potere politico la sfruttano per ottenere consenso. Hitler ha sfruttato la paura della crisi economica, l’umiliazione della Prima Guerra Mondiale; ha sfruttato questa angoscia profonda fino a mostre se stesso e la sua politica come antidoto a questa angoscia. Attraverso un abile demagogia si è rivelato come colui che avrebbe fatto giustizia, avrebbe salvato la Germania, il popolo riscattandolo dai suoi dolori e umiliazioni. Dunque è la politica che tende a moltiplicare l’angoscia sociale per presentarsi come soluzione ed ottenere consenso.

A partire da Freud, questi tre pensatori, hanno saputo interpretare la pulsione di morte diversamente da lui, asserendo che la pulsione distruttiva nell’uomo non è originaria, ma è un’eventualità in cui cadere e che può diventare pericolosa distruttività se condivisa collettivamente e se si impossessa delle strutture democratiche della società, della mentalità sociale con cui individui e gruppi ragionano. Pericoloso è stato quando la distruttività e l’angoscia sono diventate violenza collettiva. Noi non siamo impotenti di fronte al male. Questo è ciò che apprendiamo dalla lezione di questi tre pensatori del Novecento, che hanno sviluppato la loro filosofia anche a partire da Freud, dal quale invece, per concludere, apprendiamo che:

1) il male ci tenta dall’interno, diventiamo adulti quando affrontiamo dentro di noi responsabilmente la sfida, la pressione del male, iniziando ad essere noi, coi nostri limiti ma anche col nostro desiderio, la nostra volontà e le nostre forze, il cambiamento che vogliamo nel mondo.
2) Il percorso educativo è fondamentale, ovvero più si direziona sul sentiero dell’accoglienza, dell’ascolto, del riconoscimento, della cura, della pazienza, e più ci porta a crescere in umanità. Più è all’insegna della violenza e dell’individualismo, dell’irresponsabilità, dell’incuria, dell’egoismo, dell’indifferenza, più è generatore di distruttività.
3) Anche l’azione politica dice la persona che sei. Se non sei un umano formato, adulto, libero, consapevole, ti lascerai schiacciare dal potere. Dietro i nostri ruoli, occorre anzitutto prima una formazione umana, una presa di coraggio concreta sulle politiche dell’ascolto, della cura, della non-violenza, dell’insegnamento e della trasmissione delle competenze necessarie a chi viene dopo di noi in quanto ne necessita per abitare bene questo mondo. Il potenziale di trasformazione che abbiamo è quello di essere migliori di quello che siamo stati ieri e di ciò che siamo oggi, non perché capaci, a prezzo di sforzi sovrumani, ma perché amati.

© photo Finizio https://flic.kr/p/rLgmog

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