«Vi ringrazio per la gentile e gioiosa accoglienza in questa bella terra di Timor-Leste»: sono le prime espressioni pronunciate da papa Francesco al suo arrivo a Timor-Leste. Il suo primo Incontro è stato con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, avvenuto nel Palazzo Presidenziale lunedì 9 settembre.
Il Pontefice, dopo aver brevemente ricordato le vicende storiche del popolo del Paese, ha incoraggiato tutti, affermando: «Ora davanti a voi si è aperto un nuovo orizzonte, sgombro da nuvole nere, ma con nuove sfide da affrontare e nuovi problemi da risolvere. Per questo voglio dirvi: la fede, che vi ha illuminato e sostenuto nel passato, continui a ispirare il vostro presente e il vostro futuro»; e ha proseguito, dicendo: «Tuttavia, se i problemi non mancano – come è per ogni popolo e per ogni epoca –, vi invito ad essere fiduciosi e a mantenere uno sguardo pieno di speranza verso l’avvenire. E c’è una cosa che vorrei dirvi, che non sta nel discorso, perché la porto dentro. Questo è un Paese bello, ma che cos’è la cosa più bella che ha questo Paese? Il popolo. Abbiate cura del popolo, amate il vostro popolo, fate cresce il popolo! Questo popolo è meraviglioso, è meraviglioso. In queste poche ora dal mio arrivo ho visto come il popolo si esprime, e il vostro popolo si esprime con dignità e con gioia. È un popolo gioioso».
Martedì 10 il Vescovo di Roma ha incontrato – nella cattedrale della Immacolata Concezione – i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate, i seminaristi e i catechisti. Egli ha affermato, all’inizio del suo Discorso: «Nel Vangelo, i confini sono il centro e una Chiesa che non è capace di andare ai confini e che si nasconde nel centro è una Chiesa molto malata. Invece, quando una Chiesa guarda fuori, manda missionari, si mette su quei confini che sono il centro, il centro della Chiesa. Grazie perché state ai confini. Perché sappiamo bene che nel cuore di Cristo le periferie dell’esistenza sono il centro: il Vangelo è popolato da persone, figure e storie che sonoai margini, ai confini, ma vengono convocate da Gesù e diventano protagoniste della speranza che Egli è venuto a portarci»; e ha, quindi, indicato ai presenti – a partire dalla pericope evangelica della casa di Marta, Maria e Lazzaro (cfr. Gv 12,1-11) – le importanti azioni cristiane della “custodia del profumo” e della “diffusione del profumo”. Francesco ha incoraggiato tutti, affermando: «Care sorelle, cari fratelli, c’è bisogno di questo sussulto di Vangelo; e oggi, perciò, c’è bisogno di religiose, religiosi, sacerdoti, di catechisti appassionati, catechisti preparati e creativi. Serve creatività nella missione». Francesco ha spiegato le dinamiche della Parola, affermando: «Sorelle, fratelli, voi siete il profumo di Cristo, un profumo molto più prezioso dei profumi francesi! Voi siete il profumo di Cristo, voi siete il profumo del Vangelo in questo Paese. Come un albero di sandalo, sempreverde, sempre forte, che cresce e produce frutti, anche voi siete discepoli missionari profumati di Spirito Santo per inebriare la vita del santo popolo fedele di Dio. Tuttavia, non dimentichiamo una cosa: il profumo ricevuto dal Signore va custodito, va curato con molta attenzione, come Maria di Betania la aveva messo da parte, lo aveva serbato, proprio per Gesù. Allo stesso modo noi dobbiamo custodire l’amore, custodire l’amore. Non dimenticate questa frase: dobbiamo custodire l’amore, con cui il Signore ha profumato la nostra vita, perché non si dissolva e non perda il suo aroma. E questo cosa significa? Significa essere consapevoli del dono ricevuto –tutto quello che abbiamo è un dono, essere consapevoli di questo –, ricordarci che il profumo non serve per noi ma per ungere i piedi di Cristo, annunciando il Vangelo, servendo i poveri, significa vigilare su stessi perché la mediocrità e la tiepidezza spirituale sono sempre in agguato». Traducendo il secondo invito evangelico, il Papa ha detto: «La Chiesa esiste per evangelizzare, e noi siamo chiamati a portare agli altri il dolce profumo della vita, la vita nuova del Vangelo. Maria di Betania non usa il nardo prezioso per abbellire sé stessa, ma per ungere i piedi di Gesù, e così sparge l’aroma in tutta la casa. Anzi, il Vangelo di Marco specifica che Maria, per ungere Gesù, rompe il vasetto di alabastro che contiene l’unguento profumato (cfr 14,3). L’evangelizzazione avviene quando abbiamo il coraggio di “rompere” il vaso che contiene il profumo, rompere il “guscio” che spesso ci chiude in noi stessi e uscire da una religiosità pigra, comoda, vissuta soltanto per un bisogno personale».
Nello stesso giorno, durante la santa messa, celebrata sulla Spianata di Taci Tolu, Francesco ha detto nell’omelia: «Fermiamoci a riflettere su questa immagine: Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio. […] La vicinanza di Dio è attraverso un bambino. Dio si fa bambino. E non solo per stupirci e commuoverci, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarcene plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza». Il Pontefice ha esortato tutti i fedeli presenti, pronunciando queste parole: «Perciò, cari fratelli, care sorelle, non abbiamo paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, non abbiamo paura di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi e ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri».
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