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Giugno e la devozione al Sacro Cuore di Gesù

da | 1 Giu 2025 | Vita ecclesiale

Giugno e il Cuore che arde d’amore: la devozione al Sacro Cuore di Gesù

Giugno, nel calendario liturgico cattolico, non è solo il tempo delle giornate più lunghe e del sole che inonda i campi, ma è anche il mese consacrato a uno dei simboli più potenti e struggenti della fede cristiana: il Sacro Cuore di Gesù. Un cuore che palpita e sanguina, coronato di spine, trafitto, sormontato da una croce e avvolto da fiamme: così la tradizione iconografica ha rappresentato da secoli l’amore ardente e incondizionato di Cristo per l’umanità. È un amore che non si esaurisce nell’astrazione, ma si rivela attraverso la carne e il dolore, nella passione, nella morte e nella resurrezione.

La devozione al Sacro Cuore non è nata all’improvviso. Ha radici profonde nella vita contemplativa medievale. Già nel XII secolo santi come Bernardo di Chiaravalle e Gertrude di Helfta si chinavano interiormente sul petto trafitto del Salvatore per ascoltarne il battito. Ma fu solo nel XVII secolo, attraverso le visioni mistiche di Santa Margherita Maria Alacoque, che questo culto ricevette una precisa fisionomia teologica e liturgica. Il Cuore di Gesù si rivelò a lei non come una metafora, ma come un fuoco vivente, desideroso di infiammare l’anima di ciascuno con la sua tenerezza misericordiosa: «Il mio divin Cuore è tanto appassionato d’amore per gli uomini e per te in particolare…».

Queste parole, scritte tra il 1673 e il 1675 a Paray-le-Monial, non sono rimaste isolate. Da allora, la spiritualità del Sacro Cuore ha attraversato secoli, popoli, congregazioni religiose e famiglie. La festa liturgica del Sacro Cuore, celebrata il venerdì successivo al Corpus Domini, cade quasi sempre a giugno, sottolineando la connessione profonda tra Eucaristia e Cuore di Cristo: il corpo offerto nel sacramento è mosso da quel cuore, ferito ma vivo, che pulsa per ciascuno di noi.

Il Cuore di Cristo è il luogo dove il divino si fa vicino. È lì che si sono rifugiate grandi sante come Santa Lutgarda, Santa Angela da Foligno, Santa Caterina da Siena, fino a Giuliana di Norwich, cercando ristoro nel petto squarciato del Signore. Santa Gertrude, in un momento di preghiera, vi posò il capo e ne ascoltò i battiti. Chiese a San Giovanni Evangelista perché non avesse parlato nel Vangelo di quell’esperienza mistica: «La dolcezza di questi battiti è stata riservata ai tempi moderni», rispose lui, «affinché possa rinnovarsi il mondo invecchiato e tiepido nell’amore di Dio».

Quante volte oggi, in un’epoca segnata dalla frenesia, dal cinismo e da un amore liquido e incostante, sentiamo il bisogno di un rifugio che non vacilli? Il Cuore di Gesù non è una devozione superata, ma una dichiarazione d’amore eterna, personalissima. San Francesco di Sales ne ha fatto il centro della sua spiritualità. Per lui, quel cuore non era solo simbolo, ma realtà viva che accoglie ciascuno con il proprio nome inciso a fuoco: «Questo adorabilissimo cuore […] è un argomento di grandissima consolazione: essere amati con tanto affetto da Nostro Signore che ci porta sempre nel suo Cuore».

Una delle immagini più belle della sua predicazione è quella della “caverna della tortorella”, metafora dell’anima che trova riposo nel fianco squarciato del Cristo. Un’immagine che richiama l’intimità di Giovanni nell’Ultima Cena, reclinato sul petto dell’Amico. Non solo nella contemplazione, ma anche nella vita quotidiana, diceva il santo di Ginevra, ogni azione può essere immersa in questo abbandono fiducioso: «Abbandonando tutta la loro anima, le loro azioni e i loro successi alla volontà di Dio…».

Anche i certosini, monaci del silenzio e della solitudine, trovarono nel Cuore trafitto di Cristo una via di affetto e di ardore spirituale, incoraggiati da Ludolfo di Sassonia. La contemplazione della ferita del fianco si trasforma così in una porta spalancata verso un amore che consola, guarisce, brucia ma non consuma.

Il mese di giugno, allora, diventa un tempo propizio per tornare a quella sorgente. Non è solo una parentesi liturgica: è un invito permanente a lasciarsi trasformare dall’amore, a imparare la compassione, a far battere il nostro cuore all’unisono con quello di Cristo. Il mondo ha urgente bisogno di cuori nuovi, meno calcolatori e più accoglienti. Forse è proprio questo che Santa Gertrude voleva dirci: «affinché possa rinnovarsi il mondo invecchiato».

Nel cuore di Cristo ci sono scritti i nostri nomi, ci dice Francesco di Sales. Non quelli delle masse indistinte, ma i nostri. Con la nostra storia, le nostre ferite, le nostre speranze. È un cuore che ci pensa, che ci guarda, che ci ama “con tanto affetto” da non poterne contenere la passione. E che, nel mese di giugno, più che mai, ci invita a rispondere a questa dichiarazione d’amore eterna.

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