Periodico di informazione religiosa

Il futuro dell’Europa è nei monasteri

da | 11 Lug 2024 | Europa dello spirito

Sono dodici le lampade che ardono nella grotta di San Benedetto al Sacro Speco di Subiaco, come dodici sono le stelle che compongono la corona sul fondo blu della bandiera europea. Dodici stelle che simboleggiano l’ideale di unità, solidarietà e armonia tra i popoli d’Europa, come dodici erano i monaci che popolavano ciascuno dei dodici monasteri voluti dal giovane Benedetto a Subiaco, in un tempo di caos politico e culturale non dissimile dalle dinamiche attuali. È proprio il piccolo centro di Subiaco, senza eccessiva enfasi, a poter essere annoverato come una delle culle spirituali d’Europa, perché proprio da qui è partita quell’esperienza di fede e civiltà che si è irradiata su tutto il continente e che per secoli ha svolto una funzione unificante per l’intera famiglia europea. Lo stesso papa San Paolo VI si era reso conto che non si poteva non partire dal messaggio di Benedetto, se si voleva scavare fino alla radice più profonda di quella complessa realtà che chiamiamo Europa. Ed ecco che il 21 marzo del 1964, con la lettera apostolica Pacis Nuntius proclamava San Benedetto patrono principale dell’intera Europa, esaltando il santo di Norcia come messaggero di pace, realizzatore di unione e maestro di civiltà. In questi giorni in cui ci si affanna tanto per la composizione del nuovo parlamento europeo e per delineare il futuro del vecchio continente, non sembri vano ricordare quanto Benedetto e i suoi monaci abbiano contribuito alla formazione dell’ethos europeo. Il modo migliore per capirlo è guardare da vicino la sua Regola.

Armonia e ordine sono alla base della vita in monastero, come dovrebbero essere nella vita di qualsiasi popolo e singolo uomo. Pensiamo alla celebre pianta dell’abbazia svizzera di San Gallo e alla stupenda armonia delle sue architetture, che lasciano intravedere un senso di sicurezza e di pace dei suoi abitanti. C’è tutto ciò che serve all’uomo: dal mulino alla biblioteca, dalle officine alla chiesa. L’armonia spirituale dell’anima si crea anche quando la casa è ben ordinata. Il tempo è scandito secondo un criterio sacro, della preghiera e dalla liturgia e a questo ritmo sono sottoposte tutte le altre attività. Così sarà per l’intero Medioevo e oltre, il calendario liturgico diverrà la magna charta dei diritti e delle feste dei lavoratori. E proprio nella visione del lavoro si trova una delle più grandi novità dell’insegnamento benedettino: lavoro non come sfruttamento, ma come atto personale, come un tempo in cui l’uomo dimostra e mette a frutto i propri talenti. In un momento in cui esistevano ancora residui di schiavitù – che sotto diverse forme e diversi nomi si stanno pericolosamente riaffacciando in Europa – Benedetto esprime una visione unitaria dell’essere umano e del mondo. E contro certe visioni eccessivamente aziendali, San Benedetto ricorda: “ogni cosa si venda sempre un prezzo più basso di quello usato dei secolari, perché in tutto sia glorificato Dio“. Stupisce come l’unica frase che parla esplicitamente della gloria di Dio capiti in un discorso sulla vendita dei prodotti. Benedetto non è un tecnico, né un economista, né uno scienziato. Benedetto è un contemplativo, che ci ricorda come il lavoro non sia sterile andirivieni di uomini indaffarati che producono tanti oggetti senza fine, ma è opera creativa per la crescita integrale della persona, per il suo sviluppo spirituale e corporale. Per questo ai suoi occhi non c’è contrasto né separazione tra ora et labora, tra vita attiva e vita contemplativa. Tutto ciò che il monaco fa, sia che stia pregando, sia che stia compiendo un lavoro quotidiano, serve alla realizzazione dello scopo principale della vita monastica, la glorificazione di Dio. 

Proponendo una visione della vita e del mondo come realtà armoniosa e completa, dove ogni persona e cosa sono indispensabili tessere di un unico mosaico, la cultura benedettina divenne nei secoli una vera e propria cultura del lavoro e dell’economia. Forse è proprio a questo tipo di cultura che l’Europa dovrebbe guardare, perché il lavoro ritorni ad essere un valore e non solo un mezzo per il profitto (il più delle volte di qualcun altro). Cultura concepita non come vorticosa produzione di beni di consumo e di fatuo successo, sotto la spinta del consenso o del profitto economico. Creare cultura per Benedetto significa coltivare l’uomo e custodirlo dalle tempeste che minacciano la sua crescita e la sua felicità. Per questo il lavoro tipicamente benedettino e, diremmo, europeo abbraccia tutto ciò che costituisce la vita umana e permea ogni sua attività: dal coltivare i campi al copiare libri, dall’educare i giovani al curare la bellezza dei luoghi abitati, dal ricevere ospiti e forestieri, alla relazione con Dio. Di qui l’esplicazione della simbologia benedettina della croce, del libro e dell’aratro, di qui la chiarificazione del binomio e del motto ora et labora. 

Il patrono d’Europa non era un sognatore, ma un umile realista e dalla torre di Montecassino Benedetto continua a contemplare le vallate e prega, osserva, capisce, ama il mondo e spera nel suo futuro. L’Europa del terzo millennio o si riconoscerà figlia di San Benedetto, oppure è destinata a scomparire come realtà spirituale e culturale, rimanendo luogo di ricchezza materiale – ancora per poco o per pochi – e di povertà spirituale, un’appendice dell’Asia o un partner altalenante degli Stati Uniti. Chissà se il futuro dell’Europa non si deciderà nei grandi centri del potere politico ma, come un tempo, nelle abbazie benedettine ora sparse in tutto il mondo.

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