Periodico di informazione religiosa

San Giovanni Battista nella tradizione monastica

da | 24 Giu 2024 | Monasteria

La tradizione cristiana ha visto in San Giovanni Battista un precursore dell’ideale monastico e della sua perfezione più alta dall’antichità cristiana a tutto il Medio Evo, come una corrente carsica in pressoché tutte le correnti del monachesimo medievale, dai cenobiti agli eremiti, da Cluny a Cîteaux, dai monaci del deserto alle congregazioni tardo-medievali. Come prototipo di vita monastica, Giovanni Battista non è stato considerato in quella che fu la sua missione specifica, quella di battezzatore, laddove un simile aspetto avrebbe facilmente contribuito ad approfondire un tema ben familiare alla spiritualità del monachesimo antico: la vita monastica come un secondo battesimo, inteso nel senso di battesimo di penitenza. Invece la figura di San Giovanni Battista è stata vista principalmente come quella del solitario e del penitente, fuori dell’esercizio di ogni attività rituale e anzi a volte anche contrapposto ad essa.
La tradizione monastica ha integrato i grandi ideali mediante l’elaborazione di “tipi” o “figure” che di quelle forme esemplari costituiscono l’attuazione storica e particolare. Ciò si è verificato nel caso dei grandi modelli di vita religiosa e spirituale che i monaci trovavano tra i personaggi del Primo Testamento, come i Patriarchi ed i Profeti, in special modo Abramo, Giacobbe, Mosè, Elia ed Eliseo, considerati come i “precursori” dell’ideale monastico. Ne è nato in tal modo il tema della vita profetica, frequentemente sfruttato dalle antiche fonti monastiche e messo in luce da dom Jean Leclercq nella sua suggestiva presentazione dei più salienti temi spirituali della tradizione monastica. Fra tali personaggi il posto di maggiore rilievo è senza dubbio occupato dalla figura di Giovanni Battista: per la sua funzione di precursore di Cristo e specialmente per il genere di vita da lui condotto, il Santo infatti venne presto considerato dalla tradizione monastica come un prototipo di simile ideale di rinuncia e di separazione dal mondo, parendo poi il personaggio più opportuno per collegare, anche dal punto di vista ascetico, gli uomini della Nuova Legge con quelli dell’Antica.

La tradizione monastica antica e medievale ci ha lasciato su S. Giovanni Battista una catena ininterrotta di testimonianze e di interpretazioni. Le più remote allusioni al Battista considerato come simbolo della verginità sono contenute, per l’antichità cristiana, nel De Monogamia di Tertulliano, che contrappone la figura del Santo simbolo della continenza a quella del padre Zaccaria, visto come integro esempio di monogamia. Gli stessi grandi padri del monachesimo orientale fanno a gara nel presentare S. Giovanni quale antesignano di quell’ideale di vita perfetta che si attua nel monastero, vero Carmelo di Elia — dice S. Basilio – e vero deserto di S. Giovanni Battista. Dal canto suo, S. Giovanni Crisostomo osserva come il Santo, subito dopo la nascita, si ritiri nel deserto e sia ivi allevato, non avendo bisogno di lavorare per procurarsi il cibo dato che con lui doveva cessare l’antica maledizione caduta sull’uomo in conseguenza del peccato: persino il suo abito, composto di pelli di cammello, insegna a non avere nulla in comune con la terra, ma a ritornare alla dignità della vita primigenia, ossia alla condizione angelica e paradisiaca, con cui l’esistenza dei filosofi di questo mondo non può essere neppure paragonata, laddove il Santo ha dato prova della vera « filosofia. In un altro passo il Crisostoma osserva che la vita di Elia e San Giovanni in nulla differiva da quella degli angeli, se non per il fatto che essi erano ancora astretti alla natura umana, offrendo un esempio sublime di purezza verginale. S. Onofrio, il leggendario monaco dell’Egitto del sec. IV-V, si entusiasmò per l’ideale eremitico dopo aver conosciuto la vita di Elia e di Sam Giovanni Battista e visse poi nel deserto per sessanta anni: aveva il viso scavato, la pelle rinsecchita e color bronzo e i capelli che si confondevano con la barba, vivendo in una grotta e nutrendosi di datteri, quasi a riprodurre l’esempio di vita mortificata del Battista.

In Occidente la figura di S. Giovanni Battista non desta minore interesse tra i maestri dell’ascesi e della spiritualità. Sant’Ambrogio ne tesse le virtù per la sua vita ascetica condotta nel deserto, come monito alla lascivia del mondo; anche S. Agostino sente il bisogno di esaltare “Johannem mirabili abstinentia praeditum“, ma nessuno però dei grandi dottori dell’antico ascetismo cristiano ha dimostrato tanta simpatia per la figura di S. Giovanni
Battista quanto S. Girolamo. Tanto nei trattati quanto nelle lettere, il ricordo del Precursore, caratterizzato quale prototipo dei monaci, è frequentissimo. Già nella celeberrima Epistola 22 ad Eustochio, esponendo i diversi generi di monaci, il Santo è considerato come il “princeps” degli anacoreti, al di sopra di Antonio e di Paolo, modello della vita angelica, anticipando la futura condizione dell’umanità. Quando Antonio vede venirsi incontro Paolo eremita, esclama: “Povero me peccatore, che porto ingiustamente il nome di monaco. Io ho visto Elia, io ho visto Giovanni, io ho veramente visto Paolo in Paradiso“. Cassiano, poi, afferma esplicitamente che i monaci devono imitare il Battista dimorante tutta la vita nel deserto e per San Massimo di Torino il Battista costituisce addirittura il culmine di tutte le umane virtù e l’esempio supremo della vita perfetta, già prefigurata dai patriarchi e dai profeti, dagli apostoli e dai martiri, dalle vergini e dai dottori, mentre Eucherio di Lione ne trae spunto per cantare le lodi dell’eremo e della vita solitaria. Questa tradizione è ormai divenuta talmente diffusa e generale che in ossequio al Battista si intitoleranno chiese e monasteri tra i più celebri del monachesimo medievale, in Oriente ed in Occidente, a cominciare dall’oratorio di S. Benedetto a Montecassino, fino al Laterano, allo Studion e oltre. Non va tuttavia dimenticato che negli edificanti racconti agiografici contenuti nelle Vitae Patrum il Precursore compare spesso ai monaci liberandoli talvolta dalle tentazioni, iniziando una tradizione agiografica che arriverà fino a S. Bernardo, a cui il Battista compare chiedendogli di inviare dei monaci in Spagna e di fondare un monastero a lui intitolato. 

La crisi del cenobitismo nel tra XI e XII secolo favorì la rinascita dei movimenti eremitici che sentono per conseguenza il bisogno di giustificare la loro posizione: ecco il richiamo in prima linea a Giovanni Battista. Sarà il grande fautore e teorico della vita eremitica, San Pier Damiani, a presentare la figura del Precursore come antesignano dell’eremitismo e della penitenza più rigorosa, in perfetto accordo con la propria propaganda a favore della vita solitaria. Anche nella biografia di S. Romualdo S. Pier Damiani ha modo di ricordarsi di tale modello. Un tale esempio vale anche per i chierici, che devono estraniarsi dalle cose mondane alla maniera dei monaci, perché la solitudine è necessaria per ricevere i carismi divini. L’efflorescenza monastica del secolo XII vedrà ben presto il sorgere della tradizione cistercense, segno di un ulteriore sviluppo dell’ideale ascetico presentato da S. Giovanni Battista. Il Santo è ricordato già nelle prime righe dell’Exordium Magnum di Cîteaux 8ed è ripetutamente proposto come modello ai monaci da parte di S. Bernardo e della sua scuola. La vita monastica riproduce infatti e rinnova, al dire del Santo Dottore, lo spirito degli antichi Profeti, i quali, come la Legge, hanno perdurato fino a Giovanni ed è a questo grande genere di profezia che i monaci sono particolarmente dedicati. Perfino nella polemica con Abelardo, il termine di paragone per giudicarne l’illegittima appartenenza all’ordine monastico è ancora S. Giovanni Battista, da Bernardo sempre ritenuto come simbolo di virtù altissime.
Guglielmo di S. Thierry ritroviamo nuovamente il tema della vita profetica applicata alla vita monastica e solitaria, mentre Isacco della Stella prende lo spunto dalla figura del Battista quale amico dello sposo per esortare all’obbedienza ai superiori.
Viene poi esaltata nel Santo la pratica della mortificazione simboleggiata dalla pelle di cammello, l’astinenza, la preparazione alla morte, l’amore di Dio pronto a seguirne i consigli ed in genere la rinuncia agli agi del mondo, tutto ricordato dall’anonimo autore del De XII portis Jerusalem con le identiche espressioni usate da S. Gregorio a riguardo di S. Benedetto.

Tali echi della singolare importanza attribuita al Battita li ritroviamo in seno alla corrente cluniacense negli scritti di S. Pietro il Venerabile, quanto alla questione dell’abito monastico: Pietro il Venerabile prescrive che i monaci non portino altre pellicce che di agnello e si riferisce chiaramente al testo di Luca 7, 25 relativo alle vesti del Battista. Anzi, per legittimare l’uso delle pellicce presso i suoi monaci, l’abate di Cluny cita l’esempio di Elia, di S. Giovanni Battista e di S. Benedetto nello Speco di Subiaco. 

Anche nel resto del monachesimo del grande secolo XII la figura di S. Giovanni continua ad essere d’attualità. Pietro delle Celle lo colloca tra i fondatori della vita claustrale, insieme con i grandi padri dell’ascetismo cristiano e ai Certosini di Mont-Dieu ricorda che l’animo del monaco deve imitare il Battista, lontano dallo strepito del mondo e dedito alla mortificazione
della carne. Ruperto di Deutz esalta la vita austera e solitaria del Battista per mostrare la superiorità dell’ordine monastico su quello clericale ed affermare l’esistenza dei monaci già prima dei tempi di S. Benedetto; infatti la caratteristica figura del Battista ben si prestava ad essere utilizzata nelle polemiche tra monaci e canonici, dato che il Battista, pur essendo figlio di sacerdote ed erede di tale dignità, preferì ritirarsi nella solitudine del deserto. QuestaTale vita, poi, è anche apostolica, dato che i monaci hanno operato la conversione dei popoli, pur non cessando di coltivare, come il Battista, l’amore alla solitudine: l’affermazione è dell’autore del De vita vere apostolica, probabilmente Onorio di Autun. L’anonimo Sermo Sancti Macharii ad monachos, di incerta datazione, ribadisce l’idea della necessità di imitare quello che ormai può chiamare il monaco del Nuovo Testamento, che rinnova la virtù di Elia, mentre in un elenco di una ventina di padri del monachesimo, S. Giovanni Battista figura al primo posto.

Infine anche la scuola certosina dimostra larga simpatia verso la figura del Precursore in quanto simbolo della vita solitari: il primo monastero italiano di S. Bruno, l’eremo Turritano in Calabria, riconosciuto da Urbano II nel 1092, aveva una chiesa dedicata a San Giovanni Battista. Del resto lo stesso Bruno nel 1084, aveva cominciato ad abitare nel deserto della Chartreuse il giorno della festa del Battista. Il certosino Ludolfo di Sassonia, nella sua classica Vita Christi, esaltando la solitudine del Precursore, afferma che egli fu il primo eremita e l’iniziatore della vita monastica, traendo da tali considerazioni motivo per rimproverare quei monaci che abbandonano la solitudine, per tessere un magnifico elogio della vita solitaria e condannare quei religiosi che cercano le vesti delicate e le comodità. La sede del Battista fu invece il deserto, “via intermedia tra l’Egitto e la terra promessa”, così come la vita monastica è uno “stato intermedio tra il mondo e il cielo”. Nell’ambito di questa corrente spirituale non si può non ricordare Dionigi il Certosino, che scorge nel Precursore un perfetto modello di vita monastica nell’amore e nell’esercizio della contemplazione, di cui vengono enumerate le diverse specie e distinzioni.

Dopo tante interpretazioni allegoriche ed apologie, la figura del Battista è divenuta ormai un simbolo della stessa vita religiosa in generale, anche fuori dell’ordine monastico. 

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